Il giorno di Pasqua, dopo la consueta abbuffata, la cosa migliore, del resto come accade a Natale, sarebbe quella di mettersi d'accordo per "inventarsi qualcosa" per passare il resto del pomeriggio.
Le donne della famiglia decidono per "i due passi" verso il Lungarno, anche per smaltire canditi, mandorle e la granella che si trova sopra la colomba. Noi, invece, vorremmo passare un paio d'ore alla televisione, visto che l'ozio è il padre dei vizi, per vedere una partita di campionato.
La Bundesliga gioca, la Premier League idem, la Liga pure e la Ligue 1 lo stesso. E la Serie A, la B, la Lega Pro o qualche stramaledettissimo match di dilettanti o almeno campionato Primavera? Niente. Assolutamente niente; il vuoto assoluto.
Come sempre, e ne parlavamo recentemente anche nella "Stanza", il nostro paese è alla preistoria.
Fermano il campionato, come nel periodo scolastico, durante le feste natalizie. Riducono la Coppa Italia a un torneo amatoriale, fino almeno alle semifinali, e non danno alcun incentivo, una parvenza di idee, per risollevare un campionato che, a detta di molti se non di tutti, non può competere, non solo a livello di immagine, con quelli più importanti citati poc'anzi.
Calciomercato.com pose a suo tempo all'Avv. e procuratore sportivo Jean-Christophe Cataliotti, esperto di diritto calcistico e titolare dei corsi per aspiranti osservatori e procuratori, alcune domande sul diritto alle ferie dei calciatori.
Il diritto alle ferie dei calciatori come è regolato?
"Posta la premessa che i calciatori professionisti sono qualificati dall'art. 4 della l. n. 81 del 23 marzo 1981 come lavoratori subordinati, il diritto alle ferie trova la sua primaria fonte normativa nell'art. 36, terzo comma, della Costituzione che ne prescrive l'irrinunciabilità laddove sancisce che "il prestatore di lavoro ha diritto a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi". Ulteriormente, il codice civile, ai sensi dell'art. 2109, dispone che: "il prestatore di lavoro ha anche diritto a un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità". Quanto alle norme regolanti il diritto alle ferie dei calciatori professionisti, occorre più specificatamente fare riferimento ai rispettivi accordi collettivi".
Ma quanto durano le ferie dei calciatori di serie A? "I calciatori - non solo quelli di serie A - hanno diritto al godimento di un periodo di ferie annuali, in attuazione dell'art. 36 della Costituzione, la cui durata è determinata dagli accordi collettivi. Così, l'accordo collettivo per i calciatori di serie A (art. 18, comma 2) prevede che gli atleti abbiano diritto ad un riposo annuale di quattro settimane, comprensivo dei giorni festivi e dei riposi settimanali, il cui periodo di godimento, normalmente continuativo, è stabilito dalla società in relazione alle esigenze dell'attività sportiva. Il rompete le righe coincide in genere con l'ultima partita ufficiale di campionato, mentre la data di ripresa degli allenamenti pre-campionato sarà condizionata dalla partecipazione o meno ai preliminari delle coppe europee".

Con il massimo rispetto, e il mio non è assolutamente sarcasmo, bisogna anche pensare, e voglio nuovamente sottolineare la mia estraneità al populismo in questo contesto, che lavoratori, ferie, malattie, permessi devono essere sì considerate ma, sostengo da sempre, il contesto deve essere fatto salvo e preso in considerazione.
Per l'appunto, qualche giorno prima di Pasqua, ben cinque persone hanno perso la vita nel proprio luogo di lavoro, per di più, durante l'orario medesimo.
Parafrasando un famoso spot televisivo dei tempi di Carosello, si può senz'altro affermare che “la sicurezza è una cosa seria, e bisogna affrontarla in modo serio", pragmatico, pratico. Soprattutto efficace. Affermazione scontata e fuori luogo? Mica tanto, visto che l'Italia, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, continua a performare in modo assolutamente insoddisfacente, generando ogni anno lutti e sofferenze che sconvolgono e rovinano l'esistenza non solo dei poveri infortunati, ma anche delle loro famiglie. Tanto per dare qualche numero, annualmente, a fronte di oltre mezzo milione di infortuni denunciati si registrano ben oltre mille morti sul lavoro, valori che oscillano di anno in anno per molteplici cangianti ragioni ma che non si schiodano da questi ordini di grandezza. Certo, molto meglio dei primi anni 2000, quando l'Italia figurava tristemente come il paese europeo con il più alto numero di morti sul lavoro. Oggi ci classifichiamo "senza infamia e senza lode", ma ben lontano dai risultati dei paesi dove la sicurezza sul lavoro è gestita come si deve, in modo appropriato ed efficace. Meglio anche stendere un velo pietoso sugli immani costi economici a carico dei contribuenti. E' ulteriormente deprimente constatare come spesso si verifichino, in tempi ristretti, sequenze di infortuni mortali, in diverse zone d'Italia, per gli stessi motivi, per gli stessi errori.
Ad esempio, per l'ingresso in spazi confinati come i serbatoi e le cisterne, operazioni per le quali con sconcertante frequenza si verificano svariati infortuni mortali multipli in oleifici, autolavaggi, stabilimenti chimici.
La sequenza è sempre, drammaticamente, la stessa: senza applicare le necessarie precauzioni e senza indossare gli specifici dispositivi di protezione individuale entra il primo per fare un lavoro di pulizia, controllo, manutenzione, si sente male a causa dei gas velenosi accumulati all'interno, chiede aiuto, sviene, così entra il secondo per aiutarlo e si sente male anche lui, e magari poi anche un terzo, e muoiono tutti. E nonostante l'evento fosse stato ampiamente "strombazzato" in TV, ecco che, a distanza di pochi giorni, da un'altra parte, succede esattamente lo stesso, e così via.
E giù valanghe di servizi sui media, pistolotti e condanne da parte di questo o quel politicante. E giù minacce di inasprimento delle leggi, delle sanzioni, sempre rivolte a datori di lavoro, dirigenti e preposti, senza una simmetrica maggiore responsabilizzazione dei lavoratori. Naturalmente c'è sempre chi lamenta che gli ispettori del lavoro non hanno un organico sufficiente, che sono oberati, e bla, bla, bla.
Ma solo per un giorno o poco più. Poi arriva una notiziona che "rulla" tutto e la cosa finisce lì. Fino al prossimo infortunio mortale ma che per finire sulle prime pagine deve avere determinate caratteristiche di spettacolarità, o deve tornare utile a questo o a quello, altrimenti non va bene, e resta tutto confinato nel terribile oblio dei funerali, dei pianti, dei cimiteri.
Ma anche nei silenti calvari delle menomazioni, degli arti artificiali, dell'invalidità. Quella vera, però: debilitante, opprimente, che porta alla depressione e, talvolta, anche al suicidio.
Riconoscere che la sicurezza sul lavoro in Italia è impostata fondamentalmente in modo legal-burocratese con tanta carta e poca sostanza, con la sgradevole percezione che l'obiettivo reale non sia migliorare la sicurezza dei lavoratori, bensì "mettersi a paratia" per proteggersi da responsabilità e conseguenze legali.
Bisognerebbe cominciare a formare meglio il personale operativo sulla sicurezza reale, lavorando sulla cultura, sulle abitudini, sull'approccio, facendo ben capire che se accade un infortunio, chi si fa male, chi perde dei pezzi, chi perde la vita, è lui stesso, e dovrebbe quindi essere proprio lui il primo ad essere attento, attivo e propositivo quando è sul lavoro.
Cancellare così l'obsoleto ed errato approccio per cui l'operaio, l'operatore, il "lavoratore", non ha mai colpe se si fa male mentre invece, spesso, le ha anche lui, eccome. Infine, bisognerebbe smettere di registrare passivamente infortuni e morti con le solite esecrazioni e reprimenda per passare ad un approccio proattivo, visibile, trasparente, di impatto culturale, attraverso un piano ambizioso riduzione progressiva degli indici di frequenza con il target di arrivare all'unico risultato eticamente giusto ed accettabile: zero infortuni, zero morti.
La materia è complessa e nessuno ha la bacchetta magica ma se "avendo sempre fatto così", propinando le stesse cure, il malato resta tale, forse varrebbe la pena di introdurre qualcosa di nuovo e di più efficace. Chi ha la responsabilità e il potere di fare qualcosa, finalmente, lo faccia. 
Visto che nella fase "digestiva" post uova di cioccolato, abbiamo affrontato anche con mio nipote, imberbe terzino destro di una squadra giovanile, quanto descritto, ci siamo concessi due risate (ed era d'uopo, visto l'età del ragazzo) sugli infortuni più bizzarri dei "lavoratori" del calcio.
Vi è mai capitato di farvi male, ma di brutto, compiendo un gesto consueto? Che so di slogarvi il polso mentre eravate impegnati in una sessione di zapping estremo, oppure di rompervi il naso cadendo dal seggiolone? Cose che capitano e che sono ancor più sconcertanti quando i protagonisti sono degli atleti professionisti. Sì, perché loro di occasioni per farsi male ne hanno tante, perciò ci si stupisce se le mura domestiche possano rappresentare per loro un pericolo.
E' quello che capitò a Leroy Lita, attaccante inglese, che si fece male a letto, facendo quello che comunemente viene definito "stiracchiarsi" dopo una bella dormita. Al di là della facile ironia sulla reale natura dello "stretching" fra le lenzuola, il risultato fu comunque che Lita dovette stare fermo tre settimane per uno stiramento alla gamba che, a quanto raccontò il Daily Star, dolorosissimo. Il suo allenatore, Steve Coppell, ricostruì la dinamica del bizzarro infortunio: "Leroy si è svegliato e si è stiracchiato nel letto, come fa ognuno di noi, solo che lui ha immediatamente sentito qualcosa di strano alla gamba e adesso sta soffrendo moltissimo. Non è un incidente di cui bisogna ridere o scherzarci sopra. Sembra che ci sia un problema al nervo, forse si è spostato. Di certo, il ragazzo fa fatica anche solo a camminare e non si può allenare".

Battute a parte, il perfido Star fece l'elenco dei dieci più ridicoli, mettendo ovviamente al primo posto quello dell'attaccante del Reading, mentre in seconda posizione troviamo Richard Wright che una volta si fece malissimo a una caviglia inciampando nel cartello "non danneggiate il prato" durante il riscaldamento.
Come dimenticare, poi, l'imperizia con il coltello di Darren Bent che, mentre affettava cipolle, si tagliò il tendine di una mano; o il tavolino assassino di Rio Ferdinand, che mentre stava guardando la tv con il piede appoggiato sopra fece un movimento brusco e si stirò il legamento del ginocchio. Altro curioso incidente fu quello capitato al veterano del gol Dave Beasant nel 1993 a causa di una bottiglia di salsa per l'insalata che, cadendogli dalle mani, gli recise il tendine dell'alluce, costringendolo a otto settimane di stop, per non parlare di Kasey Keller, che si ruppe i denti davanti mentre toglieva le mazze da golf dalla macchina.
E sempre i denti furono i protagonisti dello stop forzato del Nazionale inglese Alan Mullery, costretto a disertare la spedizione in Sud America del 1964 perché si infortunò alla schiena mentre armeggiava con spazzolino e dentifricio. Cuore di papà David Batty si ruppe, invece, nuovamente il tendine di Achille quando venne investito dal suo bambino che stava imparando ad andare in triciclo, mentre il campione dell'Arsenal Charlie George ci rimise un dito del piede per via di una falciatrice impazzita. Ultimo dell'elenco, ma non meno bizzarro, l'incidente occorso nel 1975 ad Alex Stepney del Manchester United, che si slogò la mascella urlando come un ossesso all'indirizzo dei suoi difensori durante il match contro il Birmingham. 

Non ho voluto confondere Sacro e Profano tra i diritti, leciti, dei calciatori e quelli, ancora di più, di lavoratori che a mala pena sanno come arrivare a fine mese stramaledicendo, proprio in questi giorni, l'arrivo della bolletta della Tasi. O della Tari? O dell'Imu? O di tutte e tre insieme visto che, ogni Presidente del Consiglio in carica, rigorosamente non eletto come accade negli ultimi anni in Italia, pensa a cambiare nome adducendo "un accorpamento per la riduzione dei costi". Lo stesso, tra l'altro, che giura sulla testa dei figli (sicuri che ce li abbia?) che non farà la riforma del catasto.
A Firenze, come sempre per dirla grossa, si afferma che non si può "mischiare il piscio con l'orina".
Giocare addirittura il sabato per "dare la possibilità ai giocatori di raggiungere le proprie famiglie", penso sia degno, come dico purtroppo spesso, del nostro sistema Italiota. E i calciatori che non andranno ai mondiali in autunno allora cosa faranno? Briscola e tresette al circolo?
La vita è piena di infinite illogicità, le quali sfacciatamente non hanno neppure bisogno di parere verosimili; perché sono vere.
In fondo, l'assurdità di una cosa non è una ragione contro la sua esistenza, ne è piuttosto una condizione.
Sempre.