Il primo gol segnato da Rafael Leão con la maglia del Milan è stato davvero di pregevole fattura: un diagonale sinistro di precisione chirurgica, scagliato a rete al termine di un'iniziativa personale da urlo. Fin qui, la più bella rete messa a segno dai rossoneri, senza alcun dubbio.

Ma chi è davvero il giovane portoghese classe 1999 nativo di Almada?
Si potrebbe rispondere che è un talentoso attaccante, una punta cresciuta calcisticamente nelle giovanili dello Sporting Lisbona, transitata al Lille e finita al Milan per la “modica” cifra di 36 milioni di euro. Sarebbe facile, ma non si comunicherebbe niente di nuovo ai tifosi rossoneri.

I sostenitori, infatti, imparano rapidamente vita, morte e miracoli di ciascun volto nuovo della loro squadra del cuore. Divorano informazioni biografiche con la ferocia e la velocità con cui i lupi affamati sbranano le loro prede. Non ha senso, perciò, snocciolare altri fatti e dati statistici che lo riguardano. I milanisti, in questo momento, sono per lo più interessati a capire l'impatto che Rafael Leao può avere sulle prestazioni sportive del diavolo.

Va ammesso, per ora il portoghese è un po' un elemento misterioso. Fosse un oggetto volante apparso sopra il cielo di milanello, lo si classificherebbe UFO, unidentified flying object, ma visto che è un calciatore, ci si può limitare a definirlo un giocatore senza ruolo. È difficile da digerire, forse, ma è così. 

È verissimo, Leao ha mostrato un'eleganza nel controllo e nella conduzione del pallone che pochi possiedono. Ha estro e fantasia. Ha classe. Ha quella classe che una volta, nelle movenze, contraddistingueva i nobili. È in grado di compiere con naturalezza gesti caratterizzati da un elevatissimo coefficiente tecnico di difficoltà, eppure, al momento, sul terreno di gioco ha lo stesso potere di un monarca senza terra. Non è in grado di dettare legge, né di arrecare qualsivoglia beneficio alla squadra.

Forse, c'è qualcosa di storto nei settori giovanili portoghesi. All'interno della fabbrica lusitana del calciatore professionista, una delle tante macchine presenti, una di quelle della catena di montaggio deputata a sfornare i numeri 9, deve avere qualche malfunzionamento. Qualche ingranaggio deve essersi inceppato, non può essere diversamente, altrimenti come si spiega questa atavica difficoltà a produrre prime punte di successo? Sembra essersi trasformata, questa macchina, nell'università italiana. Continua a formare giovani di un certo valore, le cui caratteristiche non combaciano con quelle ricercate all'interno del mercato del lavoro. 

Leão, a quanto pare, non fa eccezione.

Marco Zunino, capo scout del Bologna calcio e docente di metodologia dello scouting, in proposito del mestiere dell'attaccante scrive: <l'attaccante è un calciatore speciale: è l'uomo deputato a segnare i gol della squadra […] per questo diventa facilmente l'idolo dei tifosi e, inevitabilmente, il riferimento dei compagni. Ѐ il calciatore più desiderato, sognato, fotografato e intervistato, più premiato, più pagato della rosa, quello con il cartellino più costoso, ed è sensibile della massima valorizzazione economica e, di conseguenza, della massima svalutazione. […] Una regola non scritta del calcio dice: l'attaccante non si può sbagliare>.

Invece, il Milan scegliendo il portoghese ha commesso un errore, perché le sue caratteristiche non combaciano con quelle tipicamente ascrivibili all'ala, alla mezza punta, alla seconda punta o alla prima punta di posizione né tantomeno con quelle tipiche della prima punta di movimento.

Infatti, non utilizza quale punto di riferimento la fascia sinistra o destra del terreno di gioco e non ricerca istintivamente la linea di fondo campo, al fine di finalizzare l'azione offensiva con un cross o un traversone, come sono solite fare le ali. Non svaria da sinistra a destra, coprendo interamente la zona rifinitura, e non possiede l'alto profilo mentale richiesto tradizionalmente alla mezza punta. Non agisce prevalentemente alle spalle di una prima punta di posizione, a cavallo del corridoio interno e dell'asse centrale del campo, come fanno le seconde punte. Non è capace, nonostante la sua altezza, di agire come una prima punta di posizione, poiché fatica a difendere il pallone, a reggere il contrasto e a giocare di sponda. Manca, inoltre, di una spiccata attitudine alla finalizzazione (le statistiche in proposito non mentono) e difetta nel colpo di testa, debolezza che non può appartenere alle moderne prime punte di movimento.

Dunque, determinare chi sia, o meglio ancora, a cosa serva veramente Rafael Leão, è difficile.

Potenzialmente, può rivelarsi devastante in campo aperto, nell'attacco della profondità in fase di transizione positiva e nel gioco di rimessa, ma queste abilità non giustificano l'esborso economico sostenuto dalla società. Purtroppo, allo stato attuale Leão è un ibrido. È un calciatore senza una precisa collocazione, un corpo avulso in possesso dei “numeri”. È un peccato, davvero, perché il business aspetta pochi e il suo talento rischia, quindi, di andare sprecato.

Chi scrive, perciò, auspica che Pioli “il normalizzatore”, intervenendo sodo sul portoghese in allenamento, riesca velocemente a colmarne le lacune e le debolezze, anche se è del tutto evidente che non sarà facile, poiché l'intera squadra sta attraversando un momento difficile e le priorità, dal punto di vista del tecnico, risiedono probabilmente altrove.