Carlo Ancelotti ha lanciato il suo anatema: “Al Milan devono spaventare allenatori scarsi, non stranieri”. E certo che il Milan ne ha presi, di spaventi, nella sua lunga storia! Momenti bui, in un percorso illuminato da un fulgido palmares, che sono stati inevitabilmente contraddistinti da panchine scricchiolanti, divenute scomodissime nel giro di poco tempo, travolte dal quel frullatore impietoso che è San Siro. Vediamo quanto è lunga la lista di allenatori scarsi approdati a Milan; meglio, allenatori che al Milan si sono rivelati scarsi. Non può esserci, infatti, un assunto di scarsezza assoluta, certamente non ho intenzione di arrogarmi, io, la titolarità a dare patenti di scarsezza. Il calcio non è una scienza esatta, l’unica cosa che c’è di scientifico in questo meraviglioso sport sono i numeri, quindi i risultati. Atteniamoci perciò a quelli e solo a quelli.

Tralasciamo, in questa triste hit parade del flop rossonero, l’ultima sporca mezza dozzina ( o giù di lì) di allenatori macinati tra gli ultimi anni dell’era Berlusconi e i primi anni del dopo: Giampaolo, Gattuso, Montella, Brocchi, Mihajlovic, Inzaghi e Seedorf (cui andrebbe aggiunto il già esautorato Pioli). Onestamente, la sensazione in questi casi è che, più che di allenatori scarsi, sarebbe più giusto parlare di dirigenti scarsi (o stanchi, nel caso dell’ultimo Berlusca). Ma anche questa è un film già visto altre volte, nella ultra centenaria storia rossonera.   

IL TURCO CHE ODIAVA IL CULATELLO
Andando a ritroso nel tempo, come in un banale rewind che azioniamo col telecomando della nostra memoria (e delle nostre ricerche), incontriamo Fatih Terim, il turco che nel 2001 approda alla corte di Berlusconi, dopo aver vinto la coppa Uefa, e tanto altro, col Galatasaray. Arriva in Italia grazie, o a causa, di Cecchi Gori, che lo ingaggia per la sua Fiorentina e subito dopo ci litiga. Questo per la dirigenza rossonera non è un campanello d’allarme, anzi, lo ingaggiano e … patatrac. Quell’anno vanno via Bierhoff e Boban, ma arrivano Pirlo, Rui Costa e Inzaghi (anche Javi Moreno e Contra, ma non tutti gli acquisti riescono col buco). A settembre si perde a Perugia, poi i pareggi con Atalanta e Venezia, un po' d’ossigeno nel derby (vinto 4-2) e poi pareggio dentro casa col Bologna, sconfitta a Torino ed esonero: era Novembre, cadeva così l’imperatore turco che voleva conquistare l’Italia e che non riuscì a mangiare il panettone. A proposoto di mangiare, gli subentra Carletto Ancelotti (proprio lui), che in una delle primissime conferenze stampa dice: Fatih Terim non lo sa, ma ha perso il Milan per una questione di forchetta. L’ha fregato il culatello. Galliani mi aveva scelto perché con quell’altro si mangiava male. Terim campava a brodaglia e ad acqua naturale. E poi adorava il Grande Fratello, motivo per cui spesso abbandonava Galliani durante il pranzo e correva a chiudersi in camera, davanti al televisore: voleva vedere se quelli dentro la Casa trombavano ... E’ successo, poi il Milan ha trombato lui

TABAREZ NON E’ DA OSCAR
Nel 1996 approda sulla panchina dei meneghini, lasciata incolmabilmente vuota da Fabio Capello, Oscar Washington Tabarez, il Maestro uruguagio già messosi in evidenza col Cagliari (dove tornerà nel 99’ per sole 4 partite, un punto e un esonero). Arriva con la qualifica di direttore tecnico, allenatore al suo fianco (e solo sulla carta) è Giorgio Morini. Il mercato porta ai suoi ordini, tra gli altri, Michael Reiziger (terzino di belle speranze, se non altro perché olandese e al Milan questo non può non voler dire qualcosa), Edgar Davis (anche lui olandese), Pietro Wierchovod e il francese Dugarry; per il resto l’impianto è quello vincente dell’anno precedente: Franco Baresi, Dejan Savićević, Roberto Baggio, Mauro Tassotti, Sebastiano Rossi, Zvonimir Boban, George Weah, Paolo Maldini, Demetrio Albertini, Marco Simone, Alessandro Costacurta e Marcel Desailly. La stagione inizia con la sconfitta in Supercoppa italiana contro la Fiorentina (1-2) e prosegue con risultati altalenanti in campionato e con l'eliminazione dalla Coppa Italia nei quarti di finale per mano del Vicenza (poi vincitrice finale del trofeo). Dopo l'11ª giornata di campionato il Milan, sconfitto dal Piacenza, si ritrova al nono posto in classifica e a 7 punti dalla Juventus capolista. Lui si dimette, lasciandosi mestamente alle spalle il cancello automatico che separa Milanello dal resto del mondo, a bordo di una Opel color acciaio; la dirigenza lo sostituisce con Arrigo Sacchi, appena dimessosi dall'incarico di commissario tecnico della Nazionale (la stagione comunque non si risolleverà). Nel 2016 colpito dalla sindrome di Guillain-Barré, una malattia neuromuscolare rara che colpisce il sistema nervoso e che comporta disturbi ai muscoli delle gambe, del tronco e delle braccia fino a incidere sulle funzioni respiratorie e cardiache. Tabarez colpì tutti quando si presentò in stampelle in Coppa America e ai Mondiali, portando a conoscenza dell’opinione pubblica questa sua difficoltà. Il Milan gli dedicò un “Forza Maestro!”, che dimostra come la parentesi negativa non scalfì la stima verso l’allenatore e l’uomo. Però, se si parla di allenatori scarsi di cui il Milan deve spaventarsi, certo lui è sul podio.

IL BARONE NO! MA QUEI TRE ANNI …
No, il barone Nills Liedholm decisamente no; e non solo perché vince alla guida del Milan il campionato del 1979, ma anche e soprattutto per l’eredità calcistica che ci ha lasciato. Tuttavia, abbiamo detto che ci saremmo attenuti ai risultati, perciò coerenza vuole che non si sottacciano le tre stagioni, dall’84 all’87, in cui il suo Milan confeziona rispettivamente un quinto, un settimo e di nuovo un quinto posto. Sono anni difficili, quelli, per la società, che è indebitata fino all’osso. Sono gli anni della transizione da Farina a Berlusconi, le ultime gelate prime di un ventennio splendente. Questo basta per sollevare Liedholm da ogni sospetto di estemporanea scarsezza… chiamiamola così. No, il Barone no. Lui la hall of fame del calcio italiano se l’è meritata tutta.

OTTANTA SPAVENTO
I tre anni infausti di Liedholm non sono nulla a confronto coi primissimi anni 80’. Sono anni duri, di calcioscommesse, retrocessione in serie B e calci in faccia ai tifosi rossoneri. In questa baraonda ci lasciano le penne due allenatori di rango come Gigi Radice e Ilario Castagner. Radice (ex calciatore del Milan) arriva coi galloni di allenatore scudettato (Torino, stagione 75’/76’) e coi gradi del sergente di ferro tutto grinta e pressing a tutto campo. Ma inizia malissimo in Coppa Italia e va anche peggio in campionato. Due pareggi e una vittoria nelle prime tre giornate, poi, tra ottobre e metà aprile, arrivano tre successi, sei pareggi e tredici sconfitte, con la squadra che arriva anche a toccare l'ultimo posto in classifica. Le incomprensioni tra allenatore e giocatori e la sconfitta interna nella prima partita del girone di ritorno contro l'Udinese spingono la società a sostituirlo con Italo Galbiati; ma il Milan scende lo stesso in serie B, classificandosi terzultimo.
Emblematica la frase pronunciata da Rivera (rimasto in società come vicepresidente) al termine della partita persa contro la squadra friulana: Non potendo esonerare tutti i giocatori, cambiamo l'allenatore. Castagner (l’eroe di Perugia) allena il Milan nelle due stagioni dall’82 all’84. Il primo è quello della promozione dalla B, ma il primato nella cadetteria sta al Milan come un’addizione in colonna sta ad un premio Nobel per la matematica. Il secondo anno è un disastro. Per intendere la portata di quel disastro basti pensare che quello è l’anno del più grande brocco (sono parole dei tifosi) della storia rossonera: Luther Loide Blisset! Una stagione altalenante, che porterà al Milan un misero ottavo posto. Castagner viene esonerato anzitempo (anche perché si era già accordato con l’Inter) e il suo posto, per quello scialbo finale di stagione viene preso ancora dal tappabuchi aziendalista, Galbiati.

SETTANTA NON MI DA' TANTO
Negli anni Settanta incontriamo Giuseppe Marchioro e Gustavo Giagnoni, due “scarsi” tra mostri sacri. I due stanno proprio lì, in mezzo al grandissimo Nereo Rocco e allo scudetto del 79’ di Liedholm. Cominciamo da Giagnoni, il quale allena il Milan nella stagione 74’/75’ con un rendimento senza infamia e senza lode: quinto posto in campionato e finale di Coppa Italia, persa contro la Fiorentina (causa anche assenza di Gianni Rivera, in aperto contrasto col presidente Buticchi, che lo vuole scambiare con Claudio Sala). Il tecnico col colbacco (lo indosserà anche a Palermo, pensate) lascia la panchina del Milan alla metà della travagliatissima successiva stagione. Il milanese Marchioro (reduce dal la storica qualificazione del Cesena in Coppa Uefa) siede nella panchina del Diavolo nella stagione 1976/1977. Rivera torna capitano e arriva a Milano Fabio Capello al posto di Romeo Benetti. Il Milan in campionato, dopo la vittoria nella prima giornata contro il Perugia, colleziona 9 pareggi, 4 sconfitte e una sola vittoria, chiudendo così il girone d'andata all’undicesimo posto (con 13 punti, 3 in più della zona retrocessione). Così, la società decide di esonerare Marchioro e chiama al suo posto Nereo Rocco, raddrizzando un po' le cose: vince infatti la sua quarta Coppa Italia (battendo l’Inter in finale per 2-0) e si qualifica in Coppa delle coppe, nonostante il decimo posto in campionato.

IL TRITTICO DI “SCARSEZZA” … DALL’ARGENTINO A SANDOKAN
Un bel trittico di scarsezza … si fa per dire … lo incontriamo anche nei favolosi anni 60’, che favolosi comunque lo sono anche per il Milan. Arturo Silvestri, Giovanni Cattozzo e Luis Carniglia. Luis Carniglia allena il Milan nella stagione 63’/64’. L’argentino aveva condotto il Real Madrid alla vittoria in Coppa dei Campioni proprio contro i rossoneri, sei anni prima. Ma la sua avventura a Milano è breve: viene infatti esonerato nel marzo del 1964 e sostituito da Nils Liedholm (che chiuderà la stagione con un terzo posto). Perde la finale di Coppa Intercontinentale contro il Santos di Pelè. Negli allenamenti e in partita urlava: «Toque, toque», «giocala, giocala» e ancora «uno, dos, tres»: questi al massimo i tocchi di palla imposti a ogni calciatore. L’anti Herrera per eccellenza voleva rapidità a tutti i costi e rapidamente fu sollevato dall’incarico, forse anche per i suoi modi troppo diretti e le sue parole solo dirette. Suo figlio, nell 66’, andrà al Milan, senza mai scendere in campo in incontri di campionato. Insomma, tra il Milan e i Carniglia rose non ne fioriranno mai. Giovanni Cattozzo è allenatore del Milan nella stagione 65’/66’. Subentra a Liedholm, colpito da epatite nel Marzo del 66’, e poi farà l’allenatore in seconda nella stagione successiva. Il suo esordio è una sconfitta interna con Lazio, la sua ultima panchina è una vittoria col Catania. In tutto, 11 gare ufficiali. Più che scarso, meteora. Arturo Silvestri allena nella stagione 66’/67’, dopo aver portato per la prima volta il Cagliari in serie A ed aver perciò scritto la prefazione di quel romanzo incredibile che avrà in Gigi Riva l’eroico protagonista sardo. Anche lui ex calciatore del Milan, vince la Coppa Italia, sì, ma si macchia dell’onta del peggior piazzamento rossonero del decennio in campionato: ottavo posto. Quanto basta per concludere in un solo anno la sua esperienza meneghina. Nella sua Cagliari lo chiamavano Sandokan, si diceva che Milano miagolasse appena.

IL MASTINO DEL “PALLA LUNGA E PEDALARE”
Non ebbe molta fortuna nemmeno il demiurgo Mario Sperone, detto il Mastino quando giocava da mediano nel Torino. Il suo motto era “palla lunga e pedalare”. Nel grande Torino intraprese la carriera di allenatore, iniziando come vice di Erbstein e vincendo poi lo scudetto nel 1948. Allena il Milan nella stagione 1952/1953. Quello è il Milan di Nordahl (quell’anno capocannoniere con 26 gol) e del grande trio svedese passato alla storia col nome di GRE NO LI; quello è il Milan che si piazza al terzo posto in campionato; ed è il Milan che perde contro lo Sporting Lisbona la finale di coppa Latina (l'antesignana della Coppa dei Campioni che, dal 1949 al 1957, era riservata alle squadre di club campioni nazionali di Francia, Italia, Portogallo e Spagna). In quella finale in panchina siede Gunnar Green e non Sperone.

IL PRIMO ARRIGO SI SCORDA SEMPRE
Dopo Sperone, l’anno successivo, approda alla panca milanista il primo Arrigo allenatore. E’ Arrigo Morselli. L’esperienza del modenese è fallimentare e non arriva neanche a mangiare il panettone (pure lui!). Il 10 novembre del 1953, dopo nove giornate, nelle quali aveva ottenuto 4 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte, viene esonerato e sostituito da Bela Guttmann. La stagione comunque prosegue tra alti e bassi e con un terzo posto che è niente se si considera che tra le file rossonere spadroneggia ancora, ed è ancora capocannoniere, il grande Nordahl (23 reti).

GUTTMANN BELA, NON RUGGISCE
Facciamo un corno ai flop del Diavolo (e al criterio dei risultati, che ci siamo imposti per questa nostra hit parade) e parliamo proprio di lui: il capolista licenziato. Come già detto, Guttmann nel novembre del 1953 assume la guida del Milan, al posto di Arrigo Morselli. Il nuovo presidente Rizzoli affida all’allenatore magiaro una formazione molto competitiva, lanciando in porta Buffon e piazzando Cesare Maldini in difesa. Il grande acquisto dei rossoneri è il fuoriclasse uruguaiano Schiaffino. Il Milan inizia alla grande e nelle prime dieci gare fa 19 punti su 20, segnando 27 reti e subendone solo cinque. Poi arriva la sconfitta contro la Roma e una serie di pareggi. In ogni caso, la testa della classifica è dei rossoneri. All’inizio del girone di ritorno, tuttavia, il Milan cade contro Triestina e Sampdoria: la flessione è netta, complice la squalifica di Schiaffino e una condizione fisica non al meglio. La notizia dell’esonero di Guttmann sorprende comunque tutti, ma pare che il rapporto con i giocatori non fosse così idilliaco. Al posto dell’ungherese fu chiamato Hector Puricelli, grande ex giocatore del Milan e vice - allenatore di Guttmann. E alla fine del torneo i rossoneri vinceranno lo Scudetto. Io ho un determinato numero di uomini con caratteristiche ben definite. Devo sfruttarli nel compito per cui sono adatti. Nordahl e Ricagni sono due centravanti e nient’altro. Sørensen è mezzala e così pure Schiaffino. Io metto il pompierone svedese e l’argentino come punte avanzate e faccio lavorare di spola il danese e l’uruguaiano Questo era Guttmann: pragmatismo al servizio del risultato. Ma non della sua panchina.

VENTI DI GUERRA
Male, molto male fa anche il livornese dal cuore tenero, Mario Magnozzi, che guida il Milan nelle stagioni 41’/42’ e 42/43’: decimo posto e finale di Coppa Italia, il primo anno; sesto posto e quarti di finale di Coppa Italia, il secondo anno. A causa delle difficoltà causate dalla seconda guerra mondiale, in questa stagione il Milano disputa le gare interne all'Arena Civica, abbandonando temporaneamente San Siro. Quest'ultimo è infatti raggiungibile con difficoltà dai tifosi per via della penuria di energia elettrica, che è indispensabile per far funzionare i tram che portano i rossoneri allo stadio. A Livorno comunque lo adorano, perché non dimenticheranno mai ciò che egli fece per proprio da allenatore del Milan: siamo all'ultima giornata del campionato 1941/42 (per la precisione, il 25 aprile 1942) e il Livorno gioca a Milano contro il Milan. Il Livorno deve vincere a tutti i costi per non retrocedere e così accade, perché Magnozzi, per favorirlo, schiera un Milan con i rincalzi e perde la partita 2 a 0. Forse anche per questo, morto nel 1971, gli è stato intitolato uno dei principali impianti sportivi di Livorno, lo "Stadio Magnozzi", situato nel quartiere Sorgenti, che ospita le gare interne della Pro Livorno Sorgenti, militante in Eccellenza Toscana. Tuttavia, visti gli scarsi risultati di quelle due stagioni, il buon livornese entra a pieno titolo nella nostra hit parade del flop. E’ comunque, quello degli anni 40’ un Milan che non vince nulla per tutto il particolare decennio.

L’AUSTRIACO, L’UNGHERESE E LA MALEDIZIONE DEL PANETTONE
E che dire di Engelbert König, il primo allenatore del Milan del primo campionato di serie A? L’austriaco siede su quella panchina nel 1929\30 e nel 1930/31. Il primo anno (funestato dalla morte del capitano Abdon Sgarbi … allora il tifo era purtroppo un’altra cosa) si piazza all’undicesimo posto; il secondo anno al dodicesimo. O che dire di Adolfo Baloncieri? Nel 34’/35 arriva decimo e nel 35’/36’ arriva ottavo e centra una semifinale di Coppa Italia …un po’ pochino per una squadra che comunque è ancora lontana dai fasti che verranno. Anche Balonceri subirà la maledizione del panettone: è allenatore del Milan anche nella stagione 36’/37’ (anno in cui la società rossonera, per imposizione fascista, cambia la denominazione sociale, passando da “Milan Football Club" al più italico "Milan Associazione Sportiva”); ma a Dicembre viene esonerato e sostituito dall’inglese William Garbutt, col quale le cose vanno meglio (4° posto, dopo un inizio catastrofico, e semifinale di Coppa Italia persa ai supplementari col Genova 1983). La fine degli anni 30’ è caratterizzata dai fallimenti anche dell’ungherese József Bánás, che sostanzialmente non fa meglio dei suoi predecessori e lascerà scontenti i Casciavitt  - i “cacciaviti” - cioè i tifosi rossoneri, chiamati così dai rivali dell’Ambrosina a indicare la loro origine proletaria ed operaia (a loro volta, i milanisti chiamavano i nerazzurri “Bauscia” - "gradasso" - essendo allora la tifoseria neroazzurra composta perlopiù dalle classi medie ed altolocate, di origine prettamente meneghina).

L’ALLENATORE FANTASMA … CORREVA L’ANNO 1921
Ma l’allenatore indubbiamente più scarso della storia milanista è l’ultimo della nostra hit parade. Lo incontriamo nella stagione 1921/1922. In questa stagione ha luogo la scissione del campionato di calcio italiano. A causa dell'enorme numero di squadre partecipanti, parte delle società costituiscono la Confederazione Calcistica Italiana (C.C.I.) e organizzano un proprio campionato. A questo torneo prendono parte le società maggiori, Milan compreso, mentre al campionato della F.I.G.C. partecipano i sodalizi minori. Nel torneo C.C.I. il Milan si classifica 9º nel girone A della Lega Nord, disputando una stagione deludente (11 sconfitte su 22 partite). In questa stagione ci sono quindi due squadre campioni d'Italia: una della C.C.I. (la Pro Vercelli); e una della F.I.G.C. (la Novese, di Novi Ligure). L’allenatore di quella stagione … non c’è. La carica è vacante. Pare che fosse il capitano, Cesare Lovati, a farne le veci; in combutta col presidente Piero Pirelli, ovviamente.

 

Rangnick … a te la palla.