VIII puntata

Il 1976 non fu solo l'anno del terribile terremoto in Friuli, che sentimmo perfettamente quel 6 maggio anche a Mestre, ma anche di un nuovo cambiamento. Mia mamma aveva acquistato una casa nuova, più grande e bella, ma in una zona periferica e a settembre, prima che riprendesse la scuola, avremmo traslocato. Per muovermi agevolmente mi aveva regalato un'automobile. La mia Innocenti A112 era blu, con interni rossi in finta pelle, e con essa potevo scorrazzare liberamente, andando al Liceo Scientifico Giordano Bruno e specialmente al ritrovo delle diciannove in Piazza Ferretto, al tempo aperta al traffico, per lo spritz, la tipica bevanda locale.                                                                                                                                                               

Gli interessi erano notevolmente aumentati e restava poco tempo per giocare a Subbuteo. Ciò accadeva proprio mentre il gioco si espandeva notevolmente. A Mestre il numero di praticanti era talmente numeroso che era stato preso in affitto un negozio al piano terra, in via Fiume, che con quattro campi da gioco era diventato la sede ufficiale di uno dei club più prestigiosi dello “stivale”. C'erano sempre tanti ragazzini, molti giovanissimi. Continuai a frequentarlo ancora per un anno, ma capii che era giunto al capolinea quando, in occasione di un torneo  valido per le qualificazioni ai campionati Italiani fui eliminato in semifinale. Logico che fosse stato "Cruijff" a battermi, meno le mie lamentele sull'arbitraggio e questo mio calo di stile, mi amareggiò più della sconfitta che potevo preventivare. Il livello si stava alzando costantemente, non era sufficiente dedicargli i ritagli di tempo libero per continuare a vincere, quindi  non sarei più riuscito a giocare come i più forti e a perdere non mi ero mai divertito. Se ero ancora incerto, la frase detta della mia ragazza: "ma giochi ancora con i soldatini? Non è ora di crescere?", cancellò ogni titubanza.

 A vent'anni, il Subbuteo ebbe la peggio. Erano i primi mesi del 1977 e la F.C. Velox, venne riposta in un cassetto. Appendevo non le scarpe al chiodo, ma era il dito indice, che concludeva la sua carriera. Anche se avevo smesso di giocare non rinunciavo a qualche tappa al club di via Fiume. Bellotto Eduardo detto Eddy, era diventato Campione d'Italia nel finire del 1977. Due anni dopo nel 1979 fu il turno di Nicola Di Lernia. I tornei più importanti venivano organizzati, oltre che in singolo, dove ogni giocatore rappresentava se stesso, anche in una nuova formula, a squadre. Formate da tre giocatori, due senior che si affrontavano in quattro incontri ed uno junior che giocava una partita secca. I punteggi dei cinque incontri determinavano il risultato finale. Una formula avvincente, similare a quella usata dal tennis per la Coppa Davis.
Il movimento ebbe un ulteriore slancio con l'organizzazione di un vero e proprio Campionato Nazionale, con la partecipazione di formazioni da tutta Italia. Non era quindi sufficiente avere un solo giocatore forte. Il club di via Fiume fu una vera fucina di campioni e nel periodo di massimo apice poté contare su centoventi iscritti, trovando un importantissimo sostegno economico dalla nota ditta di liquori, la Jaegermaister. Il Club Mestrino ne prese la denominazione, conquistando successi inaspettati, ma graditi.

Campioni, Campioni, Campioni, con questa triplice esclamazione, Nando Martellini concludeva il commento televisivo della trionfale finale dei Mondiali di calcio del 1982 in Spagna. L'Italia vincendo per tre a uno sulla rivale di sempre, la Germania, conquistava per la terza volta, il titolo calcistico più prestigioso. Pertini, Presidente della nostra Repubblica, gongolava in tribuna, dove i "ragazzi" di mister Bearzot salivano per ritirare medaglie e Coppa. Un Mondiale incominciato fra mille critiche. Passando il girone di qualificazione solo per differenza reti, per poi trasformarsi in una cavalcata trionfale, un crescendo. Trascinati dalle parate di capitan Zoff, dai giovanissimi Bergomi e Cabrini, dalla esperienza di Scirea, Oriali, Antognoni, dalla fantasia di un Bruno Conti mai così forte e specialmente da Paolo Rossi, soprannominato Pablito, che incominciò a segnare gol a grappoli, partita dopo partita. Argentina, Brasile, Polonia e Germania, superate, annientate, relegate, da protagoniste, a comparse nel nostro trionfo. Certo la nazionale Italiana di calcio viene sempre inserita tra le formazioni candidate alla vittoria finale, per rispetto, per il blasone e per la consapevolezza dell'importanza che il gioco del calcio ha per gli Italiani.                        

Di tutt'altro pronostico poteva avvalersi la squadra di subbuteo dello Jaegermaister Mestre, nel panorama nazionale, benché annoverasse due Campioni Italiani. Erano altre le formazioni favorite a cucire sulle proprie maglie lo scudetto tricolore di Campioni d'Italia del 1985. La formula vedeva al via diciotto compagini in rappresentanza di altrettante città. Suddivise in due gironi da nove, uno composto da squadre del centro-nord Italia e l'altro, del sud e delle isole. Genova, Milano e Torino erano le più accreditate, Reggio Emilia e Mestre le outsider. Dopo un vero e proprio campionato, con partite di andata e ritorno, la squadra di Mestre si presentò all'appuntamento di Genova, consapevole della propria forza, così come di quella degli avversari. Per vincere bisognava superare la squadra di casa, Genova, quindi Torino ed aspettare la vincente del girone meridionale, che risultò essere Palermo. Due a uno, tre a uno, tre a zero, con questi risultati lo Jaegermaister Mestre superò gli ultimi avversari e conquistò il titolo di Campioni D'Italia. La Coppa Italia vinta due anni prima ora era in ottima compagnia.  
Quella fredda domenica di marzo a rappresentare Mestre, il club e la passione di tantissimi ragazzi erano stati tre senior, Edoardo Bellotto, Nicola Di Lernia e Bruno Beltrame e due junior, Davide Cattapan e Alessandro Sanavio.
Quando arrivarono a Mestre, presso la sede del Club, con il pullman che aveva portato a Genova oltre a loro, dirigenti ed amici, una marea di persone li aspettava per tributargli il giusto riconoscimento ed un grido partì spontaneo, CAMPIONI, CAMPIONI, CAMPIONI.  

Si usa dire che il sapore della vittoria sia dolce. A Mestre, in quegli anni, la vittoria aveva il gusto dell'amaro, ma ugualmente inebriante.  ....................

Continua






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