Abbiamo parlato spesso di come l’acquisto di Cristiano Ronaldo non abbia portato in dote alla squadra bianconera solamente il suo talento, la sua tecnica e l’incredibile forza ed esplosività del suo fisico, ma anche la sua consapevolezza e fiducia nei propri mezzi. In poche parole un upgrade psicofisico fatto proprio per portare anche in Europa la mentalità che abbiamo (ormai consolidata da anni di dominio incontrastato) in campo nazionale.

Per la prima volta nell'era Andrea Agnelli, la Juventus è stata etichettata come la squadra da battere anche nella massima competizione continentale. Come ogni cosa anche l’essere considerati nuovamente una big europea a tutti gli effetti come qualche anno fa comporta onori, ma anche oneri. Ci siamo resi conto di ciò con l’inizio della vera Champions League ovvero la fase ad eliminazione diretta. Nonostante ci trovassimo di fronte all'Atletico Madrid del Cholo Simeone, una squadra capace di giocare anch'essa 2 finali negli ultimi anni, detentrice dell’Europa League e delle Supercoppa Europea, che ci precedeva nel Ranking UEFA e con la possibilità di potersi giocare la finale di quest’anno tra le mura amiche del suo stadio, i favoriti per il passaggio del turno eravamo proprio noi per la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori. È qui che ci siamo resi conto della parte riguardante l’onere perché dopo aver sbagliato malamente la gara di andata ed aver messo a serio rischio la qualificazione, abbiamo passato 20 giorni con il quotidiano ritornello delle cassandre che definivano FALLIMENTARE la stagione in caso di eliminazione, con tanto di ipotesi tragiche sui futuri bilanci del club e giudizi pessimi su rosa e staff tecnico.

Fortunatamente sappiamo tutti cos'è successo a Torino e non mi soffermo più di tanto su quella magica notte se non per sottolineare che proprio quella partita ha dato alla luce la Juventus 2018/2019. Alla fine di quel match ci siamo resi conto di essere Golia e non più Davide, convinzione nata da un percorso di imprese completate o solo sfiorate da sfavoriti come quelle del Bernabeu 2015 e 2018, Bayern Monaco 2016 o il 3-0 con tanto di 0 gol subiti tra andata e ritorno col Barcellona nel 2017. Il 12 marzo 2019 abbiamo capito quanto siamo realmente forti, cosa voglia dire giocare insieme e non contro un extraterrestre e quanto sia valida questa rosa capace di fronteggiare assenze contemporanee di big in tutti e tre i reparti.

Quella notte è nata una Juventus capace di andare a giocarsi un quarto di finale senza cercare disperatamente di far essere Cristiano della partita, una Juventus che parla di “preservarlo per il proseguo della stagione” facendo capire chiaramente di guardare più in là dei quarti (mi sembra palese che il riferimento non fosse ad un campionato da affrontare con il pilota automatico avendo 15 punti di vantaggio a 9 gare dal termine). Una Juventus assolutamente serena ed immune ad isterismi, che ci sarebbero stati in tempi anche recenti ritrovandosi a 10 giorni dalla gara di andata con soli 13 giocatori di movimento sani.
E’ nata una Juventus con una nuova mentalità, che poi altro non è che la vecchia con la differenza che stavolta valica le Alpi, una Juve consapevole della propria forza, del proprio ruolo e che finalmente sa che, nelle grandi notti europee, il ruolo di squadra che deve tentare l’impresa non tocca più a lei, ma a chi vuol batterla.
La giovane creatura del presidente Agnelli è diventata grande, è diventata (tornata) la VECCHIA SIGNORA. Perché la coppa con le grandi orecchie si vince con il talento, le gambe, il cuore ed i polmoni, ma anche (forse soprattutto) con la TESTA.