Lo scorso 4 marzo una giornata di profondo dolore e di atroce amarezza stava lentamente declinando. Un momento unico, propiziato da una sorta di malessere interiore che si intersecava con il calcio, sport in grado di unire intere generazioni con un po’ di tifo, ma soprattutto con il piacere di stare in gruppo, per lo spettacolo, ma anche per l’amicizia. E proprio questo sentimento di fratellanza si è distaccato dagli schermi, perché un angelo della difesa è stato chiamato a fare il proprio ruolo nell’Universo infinito, quello delle stelle e delle costellazioni, quello della magia, ma anche della nostalgia per gli affetti terreni.

Ci lasciava Davide Astori, cuore d’oro della Fiorentina e maestro di vita, simbolo di virtù e sapienza, qualità che oggi nel mondo del calcio vengono spesso spazzate via dal denaro e dalla codardia nascosta nei social. Lo sapeva anche Davide, ma con il suo sorriso smorzava le più acute critiche per indirizzarle in direzione del vuoto assoluto, perché la squadra contava più di tutto e ciò che si trova alla fine di una corsa non ha un valore più alto di quello che si prova durante il percorso.

Subentrava la rabbia, entità che se desidera inasprire il buonsenso dell’anima può essere distruttiva, folle e ricca di dannazione pura. Subito i commenti di tutti i tifosi: non è possibile portarsi via un campione del genere a seguito di un beffardo certificato firmato, con oggetto un arresto cardiaco. È troppo, Astori doveva stare in campo per insegnare a vivere, come del resto faceva con la piccola Vittoria, bellissima bambina che adesso vivrà nel ricordo di Davide, perché suo padre era un esempio, un nobile mandato dalle stelle.

Rimembrare il passato per assaporare ancora i gusti del piacere e le giornate passate con gli amici più cari. Un po’ quello che è capitato al sottoscritto nella scorsa estate. Ho già avuto modo di parlare di questo fatto, ma quando l’amore combacia con il forte legame dell’amicizia è difficile dimenticare gli incontri passati, quelli che ti fanno riflettere e che soprattutto ti consentono di capire il vero valore, anche tragico, che a volte la vita ti riserva. Mi trovavo al mare, rilassato sotto l’ombrellone del mio stabilimento balneare. Era una giornata brillante, il sole copriva con i suoi raggi l’ambiente marino, l’acqua salata mostrava la sua purezza e la spiaggia accoglieva bagnanti che provenivano da qualunque zona d’Italia. Tra il marinaio che sogna di effettuare una buona pesca per la famiglia e il venditore che mira a rinfrescare i turisti con un po’ di “cocco”, si collocano i bambini, le gioie più grandi dell’Universo e gli esseri ai quali vuoi un bene dell’anima, come cantava qualcuno in un’epoca passata. E così, agevolato dalla posizione del mio ombrellone, vidi davanti a me un gruppo di ragazzini che stavano giocando a biliardino. Pur essendo un gioco da tavola che si distacca dai fatti di mercato o dai problemi societari di cui tutti noi parliamo, mi avvicino e inizio ad osservare la scena. Ci sono bambini più piccoli, altri che avranno frequentato la scuola media, ma soprattutto c’è un “cucciolotto” che mi osserva con un abbozzo di sorriso. Sta giocando con gli altri, ma vedo che desidera parlare con me: non so di che cosa, ma forse nella mia figura trova un punto di forza e un senso di fiducia. Capisco subito il momento come sapeva fare Zidane sulla panchina del Real Madrid e aspetto la fine della partita, vinta tra le altre cose proprio dalla squadra del bambino. Al termine della sfida mi avvicino e comincio a chiedere commenti su quanto era appena avvenuto; senza neanche entrare nel merito, il ragazzino comincia a confidarsi con me sull’argomento calcio. Mi racconta che giocava in una squadra e che avrebbe frequentato nell’anno a venire la 5 elementare. Il calcio, la sua passione preferita, lo aveva indirizzato a sposare la Fiorentina, club toscano dotato di grande orgoglio per il cuore che mette in campo in ogni battaglia. All’improvviso però l'argomento sportivo presentava anche una sorta di malessere nel suo animo, non dovuto a conflitti di spogliatoio come accade all’Inter, ma relativi alla scomparsa di un compagno di squadra per una malattia incurabile. Continua il racconto sfogandosi apertamente e approfittando del fatto che, avendo 19 anni, potessi aiutarlo a superare questo difficile momento; mi confessa infatti di aver smesso di giocare a calcio e di non riuscire più a trovare quel coraggio necessario per ricominciare.
In un primo momento rimango totalmente spiazzato, scrivevo di calcio già da un po’, ma una storia del genere mi condusse verso una strada isolata e priva di supporti per poter contattare qualcuno.
Tirai fuori la mia breve esperienza e, nei giorni seguenti, dopo gli abbracci naturali che mi presentava ogni pomeriggio decisi di tornare ancora sull’argomento. Mentre gli altri miei coetanei giocavano a beach volley, scelsi di dare al mio nuovo amico un consiglio, non tanto da conoscente, ma da fratello maggiore. Pronunciai pertanto la seguente frase: “Ricomincia a giocare a calcio, non tanto per te, ma soprattutto per lui. Non devi sentirti mai solo perché ognuno di noi vive nella mente di chi ci ha voluto bene. Fino a che c’è il ricordo nessuno muore mai davvero, come Davide Astori, che continuerà a brillare nel cielo insieme a tutti gli dei del calcio".

Ricorderò sempre il suo sguardo, ricco di amore e animato da un silenzio di riflessione, volto quasi a mostrare la sua spontaneità  e il suo sorriso che mai dimenticherò. Per la prima volta nella storia, pur avendo parlato con tanti bambini, ho capito che molto spesso questi ragazzini hanno un’intelligenza più profonda di noi adulti, perché sono spontanei e nella loro onestà si cela lo sguardo della scoperta, quello che portò i più grandi marinai della storia a calcare le onde con sudore, fiato, ma soprattutto cuore. Salutai il mio nuovo amico a fine luglio in un giorno particolare perché se ne sarebbe tornato nel suo paese; la vacanza era finita, e i suoi amici lo aspettavano per continuare a dirigere le usanze tipiche del borgo in cui viveva. Ci lasciammo con una promessa, dettata dall’esperienza e dalla riflessione. Chissà come saranno andate le cose, l’unica certezza è che io continuo a trattare su questo fantastico sito di questioni sportive, mentre lui passerà le giornate cupe e fredde dell’inverno con il suo sorriso, che mai deve andare via. Conservo il desiderio di rivederlo, e spero che la prossima estate mi possa portare questa gioia interna.

A distanza di sette mesi, ritornando a vivere questo 4 marzo con il soffio del ricordo, rifletto ancora sul messaggio che Davide ha lasciato a tutti noi, abitanti della Terra. Un esempio di umiltà, di intelligenza, ma soprattutto di bontà: non a caso, la celebre canzone che si stringe attorno ai familiari del 13 viola è intitolata “La terra degli uomini”, un pianto di stelle diffuso ma simbolico, volto a testimoniare la grandezza dell’Universo e la figura della luce divina, quel brillare continuo di emozioni che portò Dante personaggio a dare una risposta all’umanità nell’ultimo canto del Paradiso.

La lezione che l’ex capitano viola ha lasciato a tutti noi terrestri non verrà mai cancellata, ma dovrà essere esposta sui più alti sgabelli della sapienza, per essere omaggiata e imitata con molto rispetto. Proprio il rispetto, la qualità che Davide mostrava in campo anche nelle sfide ad alta tensione, quelle battaglie da vivere fino all’ultimo respiro, ma da vincere con la passione, evitando insulti o pettegolezzi vari. Adesso si mostrano i pugni alle stelle per il loro dissennato intervento astrale, ma come hanno scritto i genitori del campione nella commovente lettera dedicata al figlio, noi appassionati di calcio non possiamo mai smettere di raccontarlo.

Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, so solo da amici che era una vera persona e uno sportivo di alta classe; posso solo dire di aver appreso alcuni suoi insegnamenti e ripensando all’incontro con quel bambino mi auguro che il ricordo sconfigga qualunque malessere interiore, per vivere nell’amore di chi ci ha voluto bene e per la crescita personale, fonte suprema di saggezza e spettacolo come le gocce della pioggia  che penetrano nei fori delle rocce di alta montagna. Davide Astori è stato ricordato con un lungo applauso al tredicesimo minuto del primo tempo in ogni campo di Serie A. Lacrime, desideri e promesse rivolte al vento, quel flusso di aria che si spera possa innalzarsi tra le stelle umili e splendenti del cosmo. Un pianto e un urlo di ricordo mostrato sul campo, quel campo che avrebbe voluto ospitarlo ancora da protagonista. Resterà l’eterno abbraccio, e verrà ricambiato anche dall’animo del capitano, simbolo di nobiltà e di rispetto tra le stelle infinite dell’Universo.