Come on Leicester, come on Leicester, come on Leicester, come on Leicester, come on Leicester, come on Leicester, come on Leicester...

Era il 2 Maggio del 2016, quando il canto di battaglia dei filberts risuonò in tutto il mondo. Si chiamano cosi i tifosi delle volpi azzurre del Leicester e da quel giorno smisero di essere cacciate.
Era il 2 maggio, quando le rive del fiume Soar furono lambite da un’acqua miracolosa, che dissetò cuori ed orgogli di un’intera cittadina.
Era il 2 maggio di quattro anni fa, quando una matricola sovvertì le leggi della logica, azzerando le distanze, sfottendo il blasone, irridendo i giganti della gigantesca Premier.
Era il 2 maggio, quando nomi semi sconosciuti varcarono le porte dell’Olimpo, divenendo Dei per sempre. Il francese Kanté, Drinkwater, Mahrez. Schmeichel, Okazaki... Chi erano costoro? Come osavano alzare la testa ed in cielo quel trofeo? Erano calciatori venuti dal nulla, che la fame del nulla spinse fin la’, oltre un limite invisibile chiamato sogno.

Era il 2 maggio quando un ragazzo di nome Jamie Wardy scrisse la pagina più incedibile di quella storia infinita che è il calcio, compose i versi di un canto mai udito prima. Giocava a calcio nei sotterranei del dilettantismo, giocava con una vita da metalmeccanico nelle fabbriche di Sheffield. Giocherà con i grandi della terra, dopo quel fatidico 2 maggio e le 24 reti gonfiate alle spalle di guardiani poderosi.

Era il 2 maggio quando il normalizzatore più normale di tutti raccontò ai soloni del pallone che si sbagliavano, che un allenatore può far la differenza e che non era affatto normale. Da Roma giunse fino alla Contea di Leicestershire (territorio noto per la caccia alla volpe), conquistando sorrisi ed immortalità. Ranieri ooo, Ranieri ooo, he comes from Italy, to manage the city. Così cantava la sua nuova gente, mentre i ragazzi macinavano vittorie e i ragazzini di Leicester si dipingevano le mani e la faccia di blu. Lui, della gens Claudia, ma di quella popolana e genuina che a San Saba mastica duro e sputa valori, fresco d’esonero in terra ellenica, che schiaffeggia senza pudore i Patrizi inglesi. Il Manchester City, il Chelsea, il Manchester United: tutti dietro... dilin dilòn! 

Era il 2 maggio quando il Leicester si laureò campione d’Inghilterra. Solo un anno prima le foxes avevano conquistato una sofferta salvezza, dopo essere tornati in Premier. Clamorosamente in testa alla 13esima giornata, iniziò un percorso impressionante: 81 punti e solo 3 partite perse. Eppure, la conquista di quella Premier arrivò senza giocare; sì perché il Leicester si laureò campione d’Inghilterra grazie al pari tra Tottenham e Chelsea, un 2-2 che consegnò agli annali del calcio una favola pressoché irripetibile.  

Era il 2 maggio del 2016 e ancora oggi, e chissà per quanto tempo ancora, sentiamo l’eco di quella vittoria.

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La sentiamo ancora oggi, la udiamo chiaramente rimbombare tra le pareti della memoria, ne assaporiamo il retrogusto dolcissimo che solo un autentico esempio di revanscismo sportivo può regalare ai palati più romantici. Ce l'abbiamo ancora qui, davanti ai nostri occhi, quando si sperdono nell'immaginazione di una favola che è realmente accaduta. E' ancora qui, quella favola, nonostante ciò che dopo accadde. Sì, perchè poi tutto svanì e la favola fu inghiottita dalla realtà. La realtà di un calcio folle e schizofrenico, a tal punto da esonerare il demiurgo romano a pochi mesi dai quei canti giubilanti. La realtà di una vita che non risparmia nessuno, nemmeno il presidente thailandese, che come Icaro volò in cielo e dal cielo cadde giù, bruciato dal fuoco di un elicottero infame.

Ma quel canto risuona e risuonerà per sempre.  

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Per sempre. Come il murale su Kate Street. Come il motto della città: semper eadem, sempre la stessa. Perché una favola è così, per sempre. Come la credenza popolare che sia tutto merito di una reliquia. Da quelle parti si dice che siano state le ossa di Riccardo III, ritrovate nella città ed esposte proprio nei mesi che precedettero la favolosa annata, a dare ai foxes la forza e il potere necessari per compiere quelle gesta; e che nessuno insinui che lo stadio si chiama King power per motivi di sponsor, perché da quelle parti la questione la prendono abbastanza sul serio. Ranieri a questa cosa qui non ci ha mai creduto.
Praticone com’è, se gli chiederete come sia potuto accadere che il Leicester abbia vinto la Premier, sorridendo sardonico vi risponderà che prima o poi deve pur capitare che la volpe arrivi all’uva.