La vittoria dell’Ajax segna l’ennesima sconfitta per il calcio italiano, non solo per la Juve di Allegri. Una lezione di calcio che deve far riflettere, anche se le avvisaglie erano chiare da tempo. Bastava non essere – volutamente - miopi.
Eppure si è voluto insistere su modello che non fa scuola da tempo, ma che soprattutto non tornerà mai più come riferimento. Può andar bene il modello spagnolo, è rinato il calcio totale olandese dell’Ajax, potrebbe tornare quello tedesco e perfino quello inglese, ma non quello italiano, ormai morto e sepolto.
Facciamocene una ragione. Perché il calcio si è evoluto come un fenomeno globale. Basandosi su logiche di spettacolo di uno sport tra i più belli al mondo, ha sviluppato un business eccezionale, ha generato una gigantesca macchina da soldi che, ogni anno, produce un giro d'affari superiore al Pil di moltissimi stati, con interessi legittimi anche nella politica economica.
Di conseguenza, difficile immaginare che si possa ancora insistere con un prodotto noioso e antiestetico, buono solo per il calcio di provincia e per i libri di storia. Soprattutto non si può proporre un progetto inadeguato agli standard europei che, da sempre, costituiscono un riferimento mondiale. Perché alla fine, prima o poi, prendi mazzate.

Il calcio è intensità, schemi, gioco, bellezza, gol. Altrimenti non si spiega il motivo per il quale i giocatori offensivi sono diventati icone di un calcio globale. Chissà perché Ronaldo, Messi, ecc... guadagnano 30 milioni l’anno, e no Chiellini o Barzaglione.
Sembra una banalità, ma non lo è. Il compimento del calcio perfetto è la “manita”, ovvero la goleada ricercata attraverso ritmo, fraseggio veloce e giocate di classe, dominando l’avversario. Da noi ci si esalta per gli uno a zero, o giù di lì.

Ricordo una Juve baldanzosa che passeggiò a Udine un paio di anni fa, con un rotondo 6 a 2. Nel dopo partita arrivarono critiche aspre da parte di Buffon e Barzagli, ovvero dal reparto arretrato, nonché dal tecnico bianconero. Il bello è che tutti, e dico tutti, ne esaltavano la mentalità sottolineando l’importanza della solidità difensiva, messa a dura prova dalla ricerca dello spettacolo e del gol, con impertinente leggerezza. Cose da pazzi.
Eppure, per Allegri, chi deve mettere la camicia di forza sono quelli come me, che da anni contestano una mentalità troppo conservativa. Ma la colpa è di chi, in questi anni, ne ha fatto di Allegri il maggiore esponente di un sistema di gioco, evidentemente fallito. Di chi appoggia una filosofia sparagnina che, al massimo, ti regala giusto un paio di partite e una manciata di mezz'orette giocate decentemente, su una cinquantina l’anno. Di chi magnifica la longevità di Barzagli, l’intelligenza di Khedira, la fisicità di Mandzukic, la disciplina da buon soldatino De Sciglio, che poi non giocherebbero titolari in nessun club con ambizioni da top. Di chi esalta il calcio “gestito” a scapito del calcio giocato. Che poi contribuisce ad avvilire le caratteristiche dei giocatori più dotati tecnicamente.

Ma il fallimento europeo dei bianconeri, l’ennesimo, non riguarda solo la Juve. Agnelli può continuare a collezionare scudetti e sbattere sul palo in Europa per i prossimi decenni. A meno che non investa altri 4-500 milioni per portare a Torino anche Messi, Pogba, De Ligt e Isco per riproporre in Champions lo stesso rapporto di forza che lo aiuta a trionfare in Italia, ovvero essere almeno due volte più forti degli avversari. Oppure può svegliarsi, e ripartire con un progetto tattico più potabile, senza dover rischiare il default finanziario.
Ma poi senti lo stesso Agnelli esaltare l’Ajax per un calcio efficace e sostenibile, provare a ad attingere dai diritti TV internazionali rilanciando il brand del calcio nostrano oltre confine, ma poi dichiara che le luci e il manto erboso degli impianti sportivi (riferito alla Premier) rappresentano il problema di un calcio poco esportabile, e no dello spettacolo pietoso offerto sul rettangolo di gioco. Sembra alquanto confuso. Intanto le milanesi, le romane e il Napoli, sono ancora indecise se guardare avanti o scimmiottare la mentalità provinciale della Juve, giusto per regalare ai propri tifosi l’ebrezza di un trofeo nazionale. Di più, il calcio sparagnino, non porta.
È così che l’Inter, con un vezzo tutto cinese, prova a copiare gli odiati juventini pescando dai bianconeri ex giocatori, dirigenti e, da giugno, anche i tecnici. Investe sui parametri zero pensionabili a breve, parla di stadio. Per carità, sono tutte ottime idee, ma il progetto tecnico diventa accessorio.
Il Milan vuol proporre il modello dell’Arsenal, ma poi si affida al “raccomandato” Gattuso per sviluppare gioco.
La Roma pensa di risolvere tutti i problemi con lo Stadio e poi ripropone Ranieri in panchina, e da giugno saranno ancora cessioni importanti e investimenti, a ribasso, su scommesse buone per assicurarsi plusvalenze future.
La Lazio non va in Champions per un disegno oscuro, almeno così la pensa lo staff tecnico e la dirigenza. E il Napoli paga un ego del presidentissimo inversamente proporzionale alle finanze messe a disposizione degli azzurri, che “fa a pugni” con qualsiasi personalità che non sostenga la linea societaria, la sua. Dividersi da Sarri è stato un errore, per tutti e due.

In conclusione, sarebbe opportuno fare tesoro del fallimento europeo della Juve e decidere cosa fare del calcio nostrano. Meglio avere la pazienza di ripartire, con competenza e lungimiranza, anche a costo di dover attendere qualche anno prima di vedere la luce, piuttosto che aspettare di sprofondare - con i nostri principi di un calcio desueto - così in basso, da non poter più risalire la china.