Era una canzone, cantata da Adriano Celentano, in grande voga ad inizio anni settanta, che descriveva i cambiamenti di quella via di Milano. Noi, ragazzi di Mestre del Viale Garibaldi, ci sentivamo come loro.  Vedevamo diminuire il verde per far crescere palazzi e con loro, il numero di abitanti che era in grande espansione.

Arrivava gente da ogni regione, ma ciò che a noi importava maggiormente era che arrivassero nuovi amici. Abitavo al civico undici, in una bellissima villetta a tre piani.  Il mio migliore amico, Morganti, poco distante,  oltre ad essere inseparabili era la forte ala destra della squadra di calcio che avevo creato, la Folgore. Giocavamo su un campetto  senza un filo di erba, con le porte che avevano una sbarra di ferro per traversa, ma non dritta poiché il peso la curvava al centro. Bastava che venisse organizzato un torneo o semplicemente tracciate, con il gesso, le linee bianche che delimitano campo e aree di gioco, per farci sentire dei campioni. Quanti ricordi, quanti compagni di gioco, di partite interminabili. Dino Brusaferro era l’artefice di queste iniziative, con tanto di giornaletto con risultati e marcatori e quando il cemento si impossessò anche di quel campetto ci trasferimmo non lontano, davanti al Campo Santo dove diede vita alla manifestazione più bella e coinvolgente per tutti i ragazzi del quartiere, le Olimpiadi.  Morganti aveva cambiato città andando ad abitare a Manfredonia vicino Foggia, talmente lontano da Mestre che mi era difficile trovarlo anche nella cartina geografica. Ci volle molto tempo per incontrare un altro amico, così importante.

Ci volle il Subbuteo
Il gruppetto di giocatori, in possesso del gioco, si era ampliato  ma è con Vittorio Nencioni che ebbero inizio una serie di sfide infinite.                                                                                                        Giorno dopo giorno, giocavamo sempre meglio, apprendendo movimenti dei giocatori, che per altri sembravano impossibili. I nostri piccoli calciatori, grazie al tocco del nostro dito indice, sapevano ruotare sul lato curvo, come i calciatori quando eseguono i dribbling nei campi di calcio. Sapevano scoccare tiri, raso terra, alti o a pallonetto, eseguire splendide punizioni, scavalcando le barriere e cosa rarissima, che pochissimi sapevano fare, riuscivamo a toccare la pallina con un giocatore e concludere a rete con un altro, mentre la pallina era in corsa, un colpo tanto difficile quanto spettacolare.  Le mie nozioni calcistiche avevano sicuramente subìto l’influenza di un grandissimo commentatore calcistico, il più conosciuto, in quegli anni.

Mi riferisco al mitico Nicolò Carosio. Aveva fatto una lunga gavetta alla radio, commentando le partite di calcio, spesso da bordo campo, descrivendo con dovizia di particolari ogni situazione, al punto che le sue parole diventavano immagini chiarissime. Con l’avvento della televisione era stato il primo a mettersi a disposizione, ma le sue telecronache, le sue frasi ad effetto, non avevano più lo stesso fascino. Chi, come me, ha avuto l’occasione di ascoltarlo in entrambe le versioni, concorderà che l’ultima invenzione lo aveva irrigidito, un po’ bloccato, spesso sbagliava i nomi dei giocatori in possesso della palla, cosa incontestabile nelle radiocronache, ma evidente alla televisione, specialmente per le persone più esperte. Lui che era sempre riuscito a trasmettere sentimenti ed emozioni forti, coinvolgendo gli ascoltatori ad ogni incontro, che commentava con enfasi, mai banale, usando frasi diventate “storiche”, era in difficoltà. Sarebbero tantissime quelle da poter citare, ma due, in particolare, sono indimenticabili : il “quasi gol”, esclamato dopo un tiro di un attaccante e “ora andiamo tutti a bere un whiscaccio” dopo il fischio finale della partita Milan, Leeds, vinta dai rossoneri. Il mitico Carosio...  
Il progresso lo aveva spiazzato, ma io restavo ugualmente affascinato dal suo modo di commentare e quando a scuola c’era un tema libero, fingevo di essere lui, un telecronista, inventando splendide partite di calcio. Imitai il suo stile anche quando, non molti anni dopo, fui chiamato a commentare una trasmissione radiofonica che seguiva le partite della Mestrina Calcio, neo promossa in serie C.                                                                         

Carosio, venne “silurato” dalla televisione nazionale durante i Mondiali del Messico del 1970, dopo la partita del girone di qualificazione che proponeva lo scontro fra l’Italia ed Israele, finita zero a zero. Venne accusato di aver pronunciato la frase, “Ma cosa vuole quel negraccio?” Rivolta al guardialinee Etiope, Seyoum Tarekegn, che su sua segnalazione indusse l’arbitro ad annullare due gol apparentemente regolari. Lui negò sempre, a ragione, poiché la telecronaca ritrasmessa dalla Domenica Sportiva, molti anni dopo, confermò la sua innocenza, ma da quel momento il microfono televisivo venne assegnato ad un altro bravissimo telecronista, Nando Martellini. Fu lui che commentò una delle partite più belle ed avvincenti della nostra Nazionale. L’indimenticabile vittoria per quattro a tre, la semifinale fra Italia e Germania.                                                                                                                           

Così come la finale, fra Italia e Brasile, conclusasi con la vittoria dei Sud Americani per quattro a uno. Quella delle polemiche contro l’allenatore azzurro, Ferruccio Valcareggi, colpevole, secondo stampa e tifosi, di aver utilizzato il campione italiano, Gianni Rivera per soli sei minuti finali, a partita ormai compromessa. Nicolò Carosio era quindi andato in pensione, lo seguii ancora, per anni, nella rubrica che teneva sul settimanale a fumetti Topolino, dal titolo,” Vi parla Nicolò Carosio”.                                           

Vi sarà quindi comprensibile il mio stupore quando, aprendo la scatola di Subbuteo, trovai a completare il gioco, in bella mostra, quattro soldatini, che riproducevano fedelmente un cameramen, (in italiano, operatore televisivo), due poliziotti ed un commentatore, con microfono ed impermeabile, stile tenente Colombo. Posizionati come figuranti a bordo campo, non interferivano sulla partita, ma sul mio immaginario, poiché il piccolo commentatore di plastica, benché costruito in Inghilterra, non poteva che essere lui, la “leggenda”, la voce del calcio, Carosio e spettava a me, proporre uno spettacolo degno della sua presenza.......................


continua


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