L’Inter è retrocessa nel 1922. Uno dei grandi mantra dei sostenitori delle storiche avversarie per sminuire uno dei record appartenenti alla società neroazzurra si rifà ad un episodio che avrebbe visto la Beneamata cadere nella odierna Serie B, scalfendo dunque quel titolo che dal 2006 appartiene solo al club nato nel 1908: l’unica ad aver disputato tutti i campionati della massima serie fin qui esistenti. Ben vengano gli sfottò e le ironie taglienti, sono il sale del calcio, ma oggi vorrei definitivamente sfatare il mito di uno dei grandi pilastri dell’anti-interismo. Veniamo al dunque.

GLI ANTEFATTI

Siamo nel 1921, oltre un secolo fa, e la struttura calcistica italiana è ben lontana dall’attuale assetto. Mentre il mondo lotta per uscire dai nefasti eventi della Prima Guerra Mondiale e della febbre spagnola, il nostro sport preferito comincia a prendere consapevolezza che il dilettantismo che lo aveva contraddistinto fino a quel momento doveva scomparire per sempre in luogo di un professionismo che sicuramente permetteva di migliorare il livello qualitativo e di intrattenimento del gioco. La popolarità del “football” cresce a dismisura e le squadre partecipanti incrementano all’inverosimile, con il contemporaneo aumento di costi e requisiti per le iscrizioni da una parte e degli incassi derivanti dai botteghini dall’altra. Le big (già all’epoca esistevano) chiedono un intervento alla Federazione per ridurre il numero delle partecipanti, che in quell’anno sfonda completamente ogni criterio logico: sono ben 88 le iscritte (64 al Nord e 24 al centro-sud). Anche il meccanismo non è paragonabile al campionato che tutti noi conosciamo. Vi sono delle qualificazioni a carattere regionale, poi per area geografica e infine la finalissima che proclama la squadra campione nazionale. Più una coppa che un vero e proprio campionato, con un allungamento devastante dei tempi, a causa del termine fissato a luglio inoltrato per far rientrare tutto. Insomma, così non si può continuare. Si fa pertanto largo il “Progetto Pozzo”, elaborato dal futuro CT bivincitore della Coppa Rimet con la Nazionale negli anni ’30. Una sorta di antenata della Superlega: le grandi squadre non ne possono più delle qualificazioni regionali e spingono per una competizione a carattere nazionale che possa rendere di più in termini di stimoli e, ca va sans dire, finanziari. Analogie incredibili con quanto assistiamo in questi anni: i top club vogliono più incontri di cartello e inseguono l’impostazione del campionato inglese, già avanti con la creazione della sua First Division con gironi di andata e ritorno e tessuto aderente a quello attuale.

IL PATTO DI MILANO

Il 24 luglio 1921 le 24 società autoproclamatesi elette del panorama calcistico nazionale sanciscono un accordo (Patto di Milano) per costituire una nuova “Prima Divisione” aristocratica, con una solo retrocessione e una promozione da quella che sarebbe stata denominata la “Seconda Divisione”. Ovviamente, oggi come ieri, la decisione sollevò (legittimamente, aggiunge il sottoscritto) un polverone: oltre alle scarse possibilità di accedere al campionato “elitario”, sono in diversi a ritenere che l’inserimento di alcune società sia assolutamente fuori luogo rispetto ad altre meno blasonate in termini di bacino d’utenza ma che per meriti sportivi possederebbero tutte le condizioni per poter entrare nel novero. Non solo, il problema è (si, sempre lui, naturalmente) economico: le piccole squadre traevano enormi benefici dai match contro le grandi e non intendono rinunciare a quel serbatoio importante fornito dalle partite eliminatorie.

Si va al voto: il Consiglio Federale boccia la proposta di Pozzo (113 voti contro i 65 a favore), con la seguente motivazione: «Non al progetto Pozzo in sé e per sé sono contrari, ma al patto di Milano, che 24 squadre hanno stretto, per proclamarsi appartenenti all’élite del football italiano, senza diritti di appello alle altre». Il sogno della “Superlega” sembra infrangersi. E invece…

LA CCI

Stavolta, al contrario di quanto accaduto nel nostro recentissimo passato, le 24 società ribattezzate “scissioniste” non ci stanno e decidono di dar vita ad un campionato privato, slegandosi dalla Federazione. Nasce la Confederazione Calcistica Italiana, che attrae tantissimi altri club che mollano la FIGC, lasciandola composta da pochi club e di minor prestigio. La struttura del neonato torneo prevede una Prima Divisione per quanto riguarda il Nord composta da due gironi da 12 squadre, mentre al Centro-Sud permane il meccanismo federale delle qualificazioni regionali, per motivi organizzativi e infrastrutturali. Nel caso del Nord, le vincitrici dei due gironi si sarebbero affrontate per la conquista del titolo del Settentrione, per poi affrontare in finalissima la vincitrice del titolo del Meridione, che avrebbe proclamato la squadra campione nazionale.

E le retrocessioni? Il regolamento adottato collegialmente da tutte le società prevede che le ultime due classificate dei due gironi della Prima Divisione affrontino in uno spareggio contro le due squadre che risultino vincitrici della Seconda Divisione del Nord. Attenzione a questo dettaglio: il regolamento prevede esplicitamente prima dell’inizio dei giochi che le ultime in classifica disputino l’embrione di ciò che definiremo play-out contro le due potenziali promosse dalla serie inferiore. È una regola non creata appositamente per l’Inter, bensì valevole per tutte le contendenti fin dal principio.

IL CAMPIONATO

L’Inter, inserita nel girone B, disputa un campionato pessimo, chiudendo in dodicesima posizione: scatta pertanto l’obbligo di disputare uno spareggio per proteggere la neonata categoria. O almeno così dovrebbe essere, se non che, durante la stagione, i due tornei non smettono di cercare un’intesa, già all’indomani della fuga.
I problemi erano molteplici: il campionato federale si era tecnicamente impoverito e il suo valore era drasticamente ridotto, complice l’assenza delle squadre top; dall’altra parte, però, la CCI aveva un ostacolo insormontabile: il mancato riconoscimento della FIFA rendeva il torneo delegittimato. Ciò aveva provocato la reazione della FIGC, che aveva deciso di non convocare in Nazionale gli atleti confederati. Sostanzialmente, la scissione rendeva tutti scontenti. Iniziarono così le trattative per riunificare i campionati, anche con l'aiuto di gesti simbolici (come il riconoscimento del campionato del 1915 al Genoa, club anch'esso scissionista, o le progressive convocazioni in corso d'opera per i calciatori confederati) mentre si correva su entrambi i binari nell’unica stagione “doppia” del calcio italiano. Vi furono proposte e controproposte, bocciate da entrambe le parti le quali, pur con la consapevolezza che un accordo fosse necessario, non riuscivano a trovare il punto comune. Seppur con sfumature differenti in vari momenti, i grandi blocchi erano i seguenti: la Federazione premeva per un campionato a 50 squadre, muovendo a suo favore il fatto che aveva ridotto le sue pretese originarie che prevedevano 72 società ai nastri di partenza; sull’altro versante, la Confederazione non voleva saperne e continuava a sostenere l’idea di far partecipare 24 team come da “Progetto Pozzo”. Per risolvere la controversia, i rappresentanti delle due entità si affidarono ad Emilio Colombo, padre del giornalismo calcistico e all’epoca direttore della Gazzetta dello Sport. Il 22 giugno 2022 l’arbitro di questo match tesissimo emise il suo verdetto che prenderà il suo nome, riempiendo la bocca di tanti che non conoscono a fondo tutta la storia: il “Lodo Colombo”. Con tale atto, viene decretata la riunificazione delle due entità sotto l’egida federale (necessaria per il riconoscimento internazionale), con un campionato ampliato al Nord a 36 squadre (mentre al Sud permaneva il meccanismo delle qualificazioni regionali). Ed è qui che accade un evento che nessuno sottolinea: di queste partecipanti, 12 sono provenienti dal campionato federale, mentre altre 18 provengono dalla confederazione. Restano 6 posti, e per farlo si procede ad uno spareggio tra sei squadre federali e sei confederali, tra cui l’Inter. I neroazzurri, dunque, per potersi salvare dovranno disputare non uno, bensì due spareggi: ecco il grande beneficio del “Lodo Colombo” paventato dai più. In molti hanno sempre parlato di un atto salvifico nei confronti dei neroazzurri, quando in realtà si è trattato di un sistema peggiorativo. Il resto della storia è intuibile: l’Inter vince a tavolino il primo spareggio contro lo Sport Club Italia, società polisportiva milanese che in quel periodo vede molti dei suoi calciatori essere chiamati per il servizio militare ed essendo ad organico ridotto decide di rinunciare alla chance di entrare nell’Olimpo per evitare sanzioni più imponenti da parte della Lega. Poi, la schiacciante vittoria casalinga contro la Libertas Firenze (società che verrà incorporata dalla Fiorentina nel 1926) per 3-0 (doppietta di Aliatis e Aebi) e il pareggio in Toscana per 1-1 sempre griffato Aebi consente ai neroazzurri di evitare di finire in Seconda Divisione e poter partecipare alla Prima Divisione 1922/23.

CONCLUSIONI

Quindi, cari colleghi rosso-bianconeri, no, non c’è verso di poter smentire quello che è quasi un dogma del calcio italiano (scongiuri permettendo): l’Inter non è mai retrocessa in Serie B, Seconda Divisione o come dir si voglia. È l’unica società ad aver partecipato ai massimi campionati nazionali da quando hanno avuto origine. Che piaccia o no.
Per quanto riguarda le sorti del nostro campionato, quell’anno si laurearono campioni la Novese (FIGC) e la Pro Vercelli (CCI), nella stagione più pazza della storia del calcio nazionale. Da quel momento in poi, si gettarono le basi per vedere nascere la Serie A, con la sua alba a partire dalla stagione 1929/30, che verrà vinta proprio dall’Inter dell’astro nascente del calcio mondiale, Giuseppe Meazza.

Ma questa è un’altra storia.
Indaco32