“Io sono un supercapitalista. Il supercapitalista vuole tutti più ricchi. E io sono così. Io voglio che diventano tutti ricchi nel calcio, così posso offrire grandi contratti a grandi giocatori, il sistema diventa più ricco, diritti tv più ricchi, tutti più ricchi”.
Con questa frase, pronunciata dal noto procuratore italo-olandese Mino Raiola, possiamo riassumere la piaga che sta prendendo l’intero sistema del mondo del pallone da ormai alcuni anni a questa parte.
Se dovessimo trovare un punto cruciale che ha dato la svolta decisiva verso questa direzione, dobbiamo risalire all’estate del 2013: dopo una lunga ed estenuante trattativa, il Real Madrid riuscì ad acquistare dal Tottenham le prestazioni del gallese Gareth Bale per la cifra record di 100 milioni di euro.

Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: la prima commissione di trasferimento della storia del calcio risale al 1893, quando Willie Groves passò dal West Bromwich Albion all’Aston Villa per 100 sterline, tra polemiche delle persone che credevano che i trasferimenti dovessero rimanere senza coinvolgimento di denaro. Da qui nacque l’era dei trasferimenti dei calciatori dietro pagamento di una commissione, arrivando, in tempi più moderni, al passaggio di Figo dal Barcellona al Real Madrid per 62 milioni di euro nel 2000, e al trasferimento nel 2009, sempre sponda Galacticos, di Cristiano Ronaldo, per 94 milioni.
Ma come detto in precedenza, fu il trasferimento di Bale a dare inizio ad una nuova epoca per il calcio; infatti questo acquisto è stato definito come evento straordinario per 2 principali motivi: in primo luogo, fu la prima volta che venne sfondato il muro dei 100 milioni di euro, e seconda ma non meno valida motivazione, si trattava di un acquisto record per un giocatore certamente dalle doti straordinarie, ma ancora dalla giovane età e che soprattutto ancora doveva dimostrare di poter giocare con continuità ad altissimi livelli. Per quanto incredibili potessero sembrare quei numeri, con il passare del tempo il record è stato battuto per ben 9 volte: con il trasferimento di Neymar dai blaugrana al PSG, nel 2017, si è arrivati alla sbalorditiva cifra di 222 milioni di euro.
Di pari passo con l’aumento del costo di cartellini, sono andati anche lo stipendio dei calciatori e le commissioni degli agenti sportivi: i giocatori più forti del pianeta, Lionel Messi e CR7, guadagnano oltre 70 milioni di euro lordi all’anno, numeri astronomici fino a qualche decennio fa. Ma come appena detto, a beneficiare di questo immensa giostra di denaro, non ci sono solamente i calciatori, ma anche i procuratori degli stessi.
Dando un’occhiata al podio dei 3 agenti che hanno guadagnato di più nel 2020, troviamo al terzo posto proprio Mino Raiola, con 84,7 milioni di dollari di commissioni percepiti, per un totale di contratti chiusi pari a 847,7 milioni. Al secondo posto vediamo Jorge Mendes, l’uomo dietro a Cristiano Ronaldo, con 104 milioni di dollari incassati su 1 miliardo totale di contratti chiusi. Al primo posto, Jonathan Barnett, il re degli agenti incoronato da Forbes, l’uomo che ha probabilmente inventato questo “gioco” e che ora dall’alto della sua influenza indiscutibile ne detta le regole. Ha percepito nel solo 2020 ben 142 milioni di dollari, su un volume di affari e contratti chiusi di circa 1 miliardo e mezzo.

È bene però soffermarsi un momento su come sia stato possibile un incremento sempre maggiore dei soldi nel mondo del pallone.
Il calcio sta diventando sempre di più un business capace di generare degli incredibili movimenti di denaro: la tendenza alla “globalizzazione” economica del calcio aveva iniziato a palesarsi già nei primi anni del 2000 quando sempre più squadre appartenenti all’élite del calcio europeo vennero acquistate da ricchi sceicchi o da magnati russi o cinesi. Dunque le nuove tecnologie e il fenomeno della globalizzazione hanno permesso ad un pubblico sempre più numeroso di avvicinarsi al calcio (pensiamo alla finale dei mondiali del 2018 Francia-Croazia, che è stata vista in diretta da 1,12 miliardi di spettatori in tutto il mondo), attirando persone che hanno deciso di investire in questo sport. Ovviamente nessun uomo, per quanto ricco, decide di dedicare le proprie risorse ad un investimento perdente: il calcio, come ogni business che si rispetti, muove quantità immense di denaro, generando, di conseguenza, enormi guadagni. Le entrate più ingenti di ogni società sportiva, al giorno d’oggi, derivano principalmente dalla spartizione dei diritti televisivi e dalle sponsorizzazioni. Immaginiamo quindi di essere all’interno di una spirale, simbolo di espansione e sviluppo, ma anche di rinascita/morte: dal suo punto di origine si genera un movimento circolare in grado di autoalimentarsi, generando un ciclo che sembra infinito e senza fine, ma che potrebbe interrompersi in qualsiasi momento. Possiamo rappresentare il calcio moderno con questa metafora, in quanto i soldi che sono entrati nel mondo del pallone, finiscono inevitabilmente e generare altri soldi, aumentando di continuo spese ed introiti delle squadre, in un circolo che sembra non finire mai, ma che potrebbe distruggere tutto da un momento all’altro.
Infatti le cifre stratosferiche sui trasferimenti dell’ultimo decennio hanno destato molto scalpore, al punto che FIFA e UEFA hanno introdotto misure per proteggere la salute finanziaria delle squadre di calcio. Il Fair Play Finanziario è il più famoso di questi provvedimenti: introdotto nel 2010, si tratta una serie di regole progettate per frenare le spese eccessive dei club; regole che non si sono rivelate così efficaci come molti speravano. Inoltre è stato lanciato un grido d’allarme sulla sostenibilità dell’intero sistema a fronte di un peso del costo del personale che si avvia per molte società a sfiorare l’80% del fatturato. A tutto questo si è aggiunta la pandemia data dal virus del Covid-19, che ha avuto effetti a dir poco devastanti su tutto l’universo calcistico: secondo la Deloitte, totem delle aziende di consulenza e revisione contabile, nella stagione 2019/2020 le società hanno dovuto fronteggiare una contrazione dei ricavi pari a 1.1 miliardi di euro, un dato destinato a peggiorare e che, alla fine di questa stagione, arriverà a sfondare quota 2 miliardi. L’assottigliamento dei ricavi è dovuto a più fattori. Il più incisivo riguarda i diritti tv, che fra sconti richiesti dai broadcaster e differimento delle entrate ha prodotto una contrazione dei ricavi di 937 milioni di euro, facendo registrare un -23% rispetto alla stagione precedente. Le conseguenze di tutto ciò si sono riversate su diverse società, il Barcellona su tutte, che ha accumulato oltre un milione di debiti. Dunque un futuro fatto di trasferimenti folli e di ingaggi monstre non è più possibile, ed è necessario intervenire il prima possibile per non far crollare il sistema.

Per far fronte a questi numeri impietosi e sempre più disastrosi, superata almeno per il momento l’idea della Superlega (che andrebbe a vantaggio solamente di pochi), i massimi organi governativi del calcio stanno prendendo spunto da oltre oceano, ovvero dal sistema di gestione delle leghe professionistiche americane, soprattutto della NBA, strizzando l’occhio al Salary Cap. Ma cos’è e come funziona? Uno dei principali fattori che permettono al basket americano di essere il più seguito nel mondo, il Salary Cap è la cifra massima che ogni squadra NBA può spendere per il pagamento degli stipendi dei propri giocatori. Questo viene fatto in particolar modo per fare in modo che il campionato rimanga sempre equilibrato; ciò che lo distingue da quello delle altre leghe professionistiche d’oltreoceano è il fatto che sia un cosiddetto “Soft Cap” e che quindi possa essere sforato. Si determina innanzitutto la cifra del Salary Cap, tenendo in considerazione i ricavi conseguiti dalla lega in passato e stimando quelli della stagione a venire. Individuata tale soglia viene calcolato il Salary Floor (da qualche anno il 90% del Salary Cup), il quale rappresenta la somma minima che ogni società è tenuta a stanziare per il gli ingaggi dei giocatori. Chi non dovesse raggiungere tale importo dovrà dividere il disavanzo ai propri tesserati a fine anno.
Come anticipato, poi, il tetto salariale può essere sforato, ma solo fino ad un certo limite, noto come Luxury Tax Line. Le franchigie che valicano questa soglia sono tenute a versare alla lega una precisa sanzione che viene ulteriormente aumentata in caso di recidività. Questo modello è oramai applicato dalla stagione 1984-85, dunque prima ancora che la NBA diventasse un successo assoluto anche a livello mondiale.

Vediamo adesso in che modo la Uefa sta preparando il nuovo fair-play finanziario con Salary Cap e Luxury Tax: il nuovo sistema prevede che i club nelle competizioni UEFA sarebbero limitati a spendere una percentuale fissa dei loro ricavi, forse il 70%, per gli stipendi. I club che dovessero infrangere il tetto salariale imposto andrebbero a pagare una tassa sul lusso, in base alla quale l’equivalente o una cifra superiore alla spesa in eccesso sarebbe versata e successivamente redistribuita. Il nuovo Fair Play Finanziario consentirebbe ai proprietari facoltosi di spendere oltre i ricavi del proprio club, solo se fossero disposti a pagare la tassa sul lusso. Anche la redistribuzione del denaro derivante dallo sforamento del Salary Cap ad altri club aumenterebbe la competitività, secondo la UEFA. Il Salary Cap sarà calcolato sul totale di stipendi ai calciatori, commissioni agli agenti e trasferimenti di mercato: non più del 65-70% dei ricavi, con controlli spostati dalle spese passate a quelle correnti. Inoltre per combattere le commissioni milionarie a vantaggio dei procuratori dei giocatori, la Fifa starebbe pensando ad una nuova norma, creando un nuovo organismo, la Clearing House, che gestirà tutti i pagamenti. I club pagheranno la commissione alla FIFA e questo organismo appositamente creato effettuerà i trasferimenti ai rappresentanti dei calciatori, agendo come una sorta di responsabile dei ricavi. I pagamenti non saranno più effettuati direttamente dal club all’agente, ma passeranno tutti attraverso la FIFA per garantire che le commissioni, tra club e giocatore, non superino il 6%.

È ovviamente impossibile prevedere gli effetti che ci saranno in seguito a queste riforme, com’è difficile fare anche un paragone con il Salary Cap NBA, in quanto sistema ormai collaudato da molti decenni, in uno sport che funziona in maniera totalmente differente dal calcio, che coinvolge un numero nettamente inferiore di squadre e tesserati e con un bacino di utenza differente. Solo il tempo saprà darci le risposte alle domande che ci stiamo ponendo, sicuramento però questo è un primo passo verso un ritorno ad un calcio più sostenibile.