"Siamo rimasti in tre, tre somari e tre briganti sulla strada longa longa di Girgenti...
Siamo sempre tre, tre somari e tre briganti un, due, tre...
Ahi Ahi Ahi...".

Sir Accountant Nedi Lae, signore di mezza età della città di Lily, aveva da poco lasciato il proprio posto di lavoro, dopo una vita, per motivi di salute e dignità. Una malattia improvvisa, come un sasso dal Cielo che lo aveva colpito in piena fronte, aveva fatto "capolino". Proprio oggi, diversi anni or sono, avrebbe scoperto quanto è lungo un corridoio che dalla Sentenza conduce alla porta d'uscita. 
Al nuovo amministratore delegato della Fin Afan, apparato che si occupava di Friendly Societies, aveva chiesto la possibilità di spalmare le ore di lavoro in modo da poter controllare situazione fisica e, soprattutto, psicologica. Pensava che il Male fosse solo un racconto; lo aveva sfiorato ma era "merce di altri". Adesso lo stava vedendo con i propri occhi. 
Dopo oltre trent'anni, di cui ventitré quale responsabile amministrativo, era considerato "uno dei figli", come sottolineava spesso il vecchio capo deceduto pochi mesi prima. La risposta, da quello che si evinse, fu pressappoco questa: "Mi dispiace ma il problema non è di nostra competenza; del resto siamo una società e non una onlus...".
Poteva mettersi a casa, chiedere aspettativa, intentare una causa, mandare un certificato "vita natural durante". 
Dette le dimissioni. Bisbigliò appena fra sé e sé: "Mi sta bene. Non ho dato loro nemmeno la soddisfazione di mandarli affanc...".
Nessuno capì, tranne pochi, continuando nel tempo a non capire, nemmeno tra i suoi; avevano altri problemi, o presunti tali.
C'era chi si riempiva la bocca con la parola "famiglia" molto più simile a una establishment mafiosa piuttosto che a una telefonata davvero di conforto. Le nuvole nere che si addensano, per qualcuno, portano sempre temporale nel cielo della propria anima; del resto, per un principio naturale, intellettivo ancora prima che di convenienza, non ci si mette mai contro i mulini a vento.
Lo intuì anni dopo...
L'unica, come sempre, fu la sua metà, il suo occhio destro, l'amore più grande: la moglie avallò la scelta, dolorosa ma necessaria.
Aveva un carattere che, solo a spiegarlo, per la complessità, ci vorrebbe un abecedario. Un cipiglio severo con se stesso che trasmetteva verso chiunque. Usava spesso, anche con i suoi collaboratori ("centellinamente" ricercati), il seguente messaggio: "Chi dice la verità non ha bisogno di ricordarsi di nulla". Schietto, fin troppo, con la schiena dritta e una moralità, unita al rispetto, veramente, doverosamente di altri tempi. 

Preferì uscire dalla porta principale, piuttosto che cercare escamotage che potessero protrarre la sofferenza nel tempo. Il termine elemosina non lo accettava; gli era più consono e familiare (grazie alle umili origini) "dare una mano" (e tante volte, in silenzio, lo aveva fatto anche con i colleghi). Figuriamoci se avesse approvato di essere etichettato quale "soggetto sopportato", dopo che aveva supportato, usando un eufemismo, un'azienda che, più di una volta, aveva avuto bisogno della sua competenza per fare il classico gioco delle carte, che lo divertivano da ragazzo, "il vinciperdi". Aveva chiuso dei bilanci che anche il suo mentore, un vecchio direttore di banca di Pasi Town, riteneva impeccabili per conoscenza e, a volte necessariamente, per destrezza e scaltrezza.
Si ritrovò solo.
Aveva cominciato a lavorare dopo essere stato al servizio della Beneamata Regina ed era uscito presto dalla casa patriarcale per sottolineare la propria indipendenza; soprattutto economica, oltreché mentale. 
I primi giorni furono da ergastolano in libertà poi, una volta passata la sbornia, cominciò a guardarsi intorno. La malattia si era "sopita" come Biancaneve dopo aver addentato la mela cattiva (oppure la mela era buona e la Signora malvagia...), adagiandosi ai controlli trimestrali sempre pesanti da affrontare per un responso che faceva trattenere il fiato (come Cenerentola quando provò la scarpetta...). Non poteva accettare la patologia (il "perché io" era diventata una nenia di fanciullesca memoria) e non lo aveva fatto. Qualcuno ha mai avuto la sensazione di svegliarsi e, per un istante, un soffio di vento, pensare: "Sarà stato un sogno o è davvero successo?". Ecco, quello era il suo stato d'animo. Si stava tristemente abituando anche se, quattro volte al giorno, aveva bene in mente, e nelle proprie mani, quello che doveva subire. Sempre. Per sempre...

Si ha paura del male o del malato? Basta il tono della voce affranto o il "ti capisco" per chiuderla lì? Perché, si chiedeva, il cieco viene chiamato non vedente, il sordo non udente, lo zoppo claudicante, creando una supponenza pietosa verso il "poverino"? Si rendeva conto, nelle infinite attese di quelle stanze bianche, che solo fermandosi, anche un attimo, si poteva cercare di comprendere; la comprensione del cazzo era un'altra cosa.
Eseguì dei colloqui volendo far trasparire quel quid che gli altri avrebbero dovuto intravedere, se proprio non necessariamente scorgere. A volte si era seduto e, alla domanda: "Cosa sa fare?", si era alzato, ringraziando, senza nemmeno un accenno. Si stava rendendo conto che il "mercato umano" era cambiato e non se ne era accorto. Aveva firmato anche un contratto, durato un giorno, specificando sempre che "cercava un ambiente con voglia, energia, entusiasmo da trasmettere, unita all'esperienza". Era sempre molto, troppo chiaro. Le parole le centellinava con calma per essere sempre preciso. Capirono al volo: lo misero a controllare i documenti alla porta di ingresso. Chiese spiegazioni. Gli fu risposto: "Ma lei non ha bisogno di lavorare?". Non poteva rispondere; non avrebbero capito una seconda volta. Disse solo: "La mia giornata di lavoro datela in beneficenza...".

La sua grande passione era stata sempre la scrittura. Aveva collaborato con alcune testate, in età preistorica, soprattutto di politica e spettacolo; in particolare di cinema. Si stava andando verso l'inverno e le giornate si stavano accorciando. Per salute, ma soprattutto per diletto, si alzava presto la mattina e, dopo un caffè fugace, camminava, camminava, camminava prendendo, idealmente, le sembianze di Forrest Gump. Pioggia, vento, bello, brutto, il tempo non lo condizionava mai: le cuffiette per compagnia e via. Cercando stimoli e guardando; voleva vedere la gente, i luoghi, anche se conosciuti a menadito, e tutto quello che lo circondava per provare a fare ritornare quell'adrenalina per "buttare giù due righe". Si dice che, solitamente, si scrive sempre per se stessi: sacrosanta verità. Ma ci sarà qualcuno che ti offre una possibilità? Trovò una redazione giovane, brillante, disponibile che apprezzò, fin da subito, i propri pezzi. Scriveva, scriveva perché voleva raccontare tutto; tutto quello che voleva era raccontare per aprire una breccia nella corteccia di ognuno. In ogni pagina, anche se in apparenza parlava di altro, trasudava l'emarginazione, la difficoltà, il desiderio di rivalsa per una situazione che, poco dopo i cinquant'anni, l'aveva messo con le spalle al muro. E lui, appoggiato a quelle quattro mura, non ci voleva stare. Non si rassegnava mai; voleva sempre un confronto, a volte anche troppo ardito, un po' come il Sergente Barriferri nel film "La Grande Guerra" con Gasmann e Sordi quando afferma: "Ma Cristo dove sei!?...".
Lo cercarono, dopo aver vinto alcuni premi, soprattutto dopo averlo conosciuto per la sua penna e non certo per il suo volto o per la sua storia. Entrò a fare parte di una trasmissione per parlare di "tutto un po'". Lo "raccattarono" (dopo si accorse che era il verbo esatto. Sempre dopo... come prima...) per capire se poteva essere di supporto. "Tra poco verrai buttato dentro" - gli fu scritto, "dopo che gli altri avranno dato il proprio ok, visto che da noi uno vale uno e tutti hanno il proprio diritto a dire la propria. Non esiste gerarchia...". Gli altri, per inciso, li conosceva solo per aver letto alcuni articoli. 

Poco dopo, ci fu uno "scombussolamento" quando la redazione pubblicò un articolo, di una finezza e intelligenza unica, che in sostanza prendeva in giro i componenti della nuova trasmissione.
Qualcuno accusò. Più del dovuto...

Non capiva l'astio, il risentimento che si era scatenato anche perché, ingenuamente, pensava che leggere altri "compagni di gioco", apprezzandone il contenuto, oppure, come poteva capitare, non considerandolo un buono scritto era una situazione che nasceva e moriva senza ulteriori strascichi. Chiese al più giovane e vispo (poi si rese conto il perché abbandonò la nave...) se mai si fosse perso qualche puntata precedente. Gli rispose che la redazione era un luogo solo apparentemente idilliaco e che, pur non volendo parlare alle spalle, vista la breve esperienza di Sir Nedi, raccomandava cautela e attenzione. "Ognuno ha una propria serietà" - sottolineò, spiegando che tante teste potevano portare ad alcuni fraintendimenti. 
Sui comportamenti del gruppo di viaggio, il giovinetto specificò che uno, soprannominato Geronimo, era "un bravo ragazzo" (una specie di 'brutta ma simpatica' appellato alla ragazza di turno alla quale non toccheremo le poppe nemmeno per sbaglio), e l'altro, Nico, pur con una buona scrittura, "strano e tormentato" dove si palesava una personalità caratterizzata da conflittualità nelle relazioni interpersonali. Una sorta di paura dell'abbandono che creava all'uomo una sensazione di vuoto.
Sir Lae manco ci pensò a quelle parole; immaginava che fossero soltanto la sottolineatura di un pischello che magari voleva mettere il collo oltre la siepe, come fanno le galline quando si accorgono che la volpe se n'è andata, ma solo perché non ha più fame.
Invece...
Pochi giorni dopo la prima puntata, andata bene anche se con alcuni problemi tecnici, ci fu una elucubrazione di Nico tipica da mental blowjobs, come affermano gli anglofoni. Senza avvertire alcuno, fece entrare nel gruppo di lavoro una persona perché "ha dei bei numeri e può portare più ascoltatori" - aggiunse, senza chiedere se tutti fossero stati d'accordo. La ragazza, brava, durò quanto un gatto in tangenziale: quando si accorse dove era capitata, scavalcò il guardrail facendo perdere le proprie tracce.
A malincuore, non solo per l'egemonia, ma anche per i propri princìpi invalicabili, anche Nedi Lae lasciò.

Ingannare gli altri è come farlo con se stessi. Alla fine chi sei, come ti comporti, diventa immarcescibile; un marchio di fabbrica. 

Una sorta di fair play; come le quattro società che sono state multate per aver condotto un gioco in modo sleale. Come successe nel film "La Stangata" quando Robert Redford e Paul Newman giocarono a carte usando un mazzo truccato. E perché lo hanno fatto? Per allestire squadre sempre più competitive di quello che in realtà avrebbero potuto fare se avessero rispettato le regole.
Il Milan forse non avrebbe vinto lo scudetto, ma non certo a scapito dell'Inter, anche lei invischiata; la Juventus non sarebbe riuscita a conquistare l'ultimo posto in Champions e la Roma, arrivata solo un punto davanti alla Fiorentina e quattro sull'Atalanta, magari ora sarebbe fuori dalle coppe. La violazione delle norme, come accertato, è stato per aver acquisito posizioni di prestigio e soldi, tanti soldi, garantiti dalla partecipazione alle competizioni europee. Multare di qualche milione, come mero termine, è come vedere il dito non scorgendo la trave. L'unico modo, come appurato, per far rispettare la legge, nel calcio, è la sanzione sportiva. Hai barato? Ti tolgo punti, ti annullo il traguardo sportivo ottenuto.

A un famoso presunto campione del ciclismo hanno revocato sette vittorie del Tour de France perché si dopava; avergli chiesto la pecunia per fare "pari e patta" sarebbe stato ridicolo, increscioso e imbarazzante. Oltreché scorretto. Infrangere i parametri finanziari  è, a tutti gli effetti, doping amministrativo. Ma nel calcio chi... "sottrae" può tenersi il sacco.
Anche Sir Lae scriveva o ribatteva, con la massima educazione, questi concetti.
Cosa accadde come d'incanto? Offese, anche neppure tanto velate, solo per aver cercato un confronto; i quattro della canzone di Gino Paoli, che poi non erano certo di più, pensarono a etichettarlo per cercare la denigrazione a livello personale. 

Non poté accettarlo.
Decise che forse, pur facendo centro, era arrivato il momento di scrivere sempre meno, non interagendo più, tanto aveva intuito, ancora una volta, che di fronte agli sciocchi esiste un modo solo per rivelare la propria intelligenza: quello di non parlare con loro.
Decise di ritirarsi fisicamente in una casetta dove ogni mattina, dopo aver preparato il caffé, camminava con la propria cagnolina sulla spiaggia. Lo potete incontrare, con la moglie, anche in inverno, all'imbrunire, al piccolo bar mentre, in tuta, stanno sorseggiando, con i piedi sulla sabbia, guardando il mare, un Gin Tonic nella spiaggia di Sea Of.
Lì è il suo "buen retiro".
La sua malattia si è arresa, per il momento, all'evidenza galleggiando nelle acque torbide della stabile instabilità.
Finalmente, dopo aver coronato il sogno abbandonando il superfluo, si è reso conto che molti non sono inarrivabili, sono solo inutili da raggiungere...