4 maggio 1949. Fu il giorno pù funesto per il calcio italiano, il giorno in cui si spense per sempre il cuore del grande Torino, il giorno della tragedia immane di Superga.

Quel giorno uggioso e freddo immerso in uno scenario simile più a un pomeriggio autunnale piuttosto che primaverile, lasciò presagire un evento luttuoso che la storia ricorderà per sempre!

Tante vite umane spezzate. Dirigenti, giocatori, staff tecnico, medici, massaggiatori, giornalisti ed altri accompagnatori oltre all'equipaggio di quell'aereo che si schiantò sulla collina di Superga.

A Vittorio Pozzo allenatore della nazionale Italiana di allora fu assegnato il gravoso e ingrato compito del riconoscimento delle salme. Lui che aveva vinto il precedente mondiale del '38, avrebbe vinto pure quello del 1950 con quei forti ragazzi del Torino, i quali costituirono la quasi totalità della nazionale italiana di quel tempo.

Fu una notizia che invase il mondo alle 17.05 di quel giorno, orario in cui avvenne l'impatto dell'aereo che rientrava da Lisbona, riportando a Torino la squadra e il suo seguito. Fu un lutto per tutta l'Italia che stava vivendo un difficile dopoguerra e che in quella squadra aveva trovato un simbolo per esserne tutti orgogliosi.

Questo è l'elenco dei giocatori che furono le vittime di quella tragedia, assieme allo staff tecnico composto dagli allenatori, dai massaggiatori, dai fisioterapisti e dai dirigenti.

Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert.

 

Ernest Egri Erbstein

Erno Egri Erbstein, direttore sportivo e allenatore di quella squadra, perito anch'egli quel giorno in quella sciagura, era ungherese di nascita. Fu un grande precursore del calcio totale olandese. Egli fece del Torino una squadra invincibile, capace di dare spettacolo di gioco in ogni campo dove si esibì. La sua filosofia di gioco fu quella di attaccare anche con i centrocampisti e difendersi alla stessa maniera. Valentino Mazzola fu il capitano che guidò in campo la sua squadra al successo, conquistando 5 scudetti consecutivi. Ferruccio Novo, industriale, presidente ed ex giocatore di calcio individuò in Erbstein l'uomo giusto per costruire qualcosa di straordinario. Affascinato dai suoi metodi innovativi per gestire le squadre di calcio, secondo una metodologia rivoluzionaria, Novo convinse il tecnico a guidare il suo Torino e fu un successo storico irripetibile.

Fece scalpore il primo giorno in cui Erbstein si presentò agli allenamenti della squadra dicendo ai giocatori testualmente: “ Voi non sapete calciare il pallone”. Ma poi spiegò che questa sua affermazione non era intesa in modo offensivo e denigratorio, bensì si riferiva alle metodologie di gioco, al modo di allenarsi e persino al modo di condurre una vita più consona a dei grandi atleti. Trattando tutti i giocatori come un padre tratta i suoi figli, Erbstein si fece amare già dall'inizio da tutti i componenti della sua squadra, i quali seguirono attentamente e assiduamente i suoi consigli. Ben presto egli formò un gruppo di ragazzi molto unito, un collettivo felice di apprendere nuove tecniche di gioco, di preparazione fisica e persino di alimentazione. Fu proprio Erbstein a consigliare il presidente Ferruccio Novo ad acquistare i giocatori Loik e Mazzola. Nacque così il Grande Torino destinato alla leggenda storica di un calcio avveniristico.

Valentino Mazzola

Fu il capitano di quella squadra. Sin da ragazzino, Valentino era innamorato del calcio facendosene una sua ragione di vita. Il piccolo Valentino quando per strada vedeva una lattina di conserva vuota si divertiva prendendola a calci e palleggiando con entrambi i piedi simulava la tecnica del tiro, tanto da essere soprannominato dagli amici con l'appellativo dialettale di “tulen”.

Così qualcuno lo notò e Valentino fu convocato per un provino dove si presentò a piedi nudi per non rovinare l'unico paio di scarpe che possedeva. Fece mirabilie e sbalordì tutti con i suoi virtuosismi di gioco convincendo tecnici e dirigenti ad ingaggiarlo. Era il 1939, la sua prima squadra fu il Venezia in cui conquistò la Coppa Italia. Ferruccio Novo lo volle a tutti i costi e sollecitato da Erbstein lo prelevò dai lagunari assieme al suo compagno di ruolo Loik. Mazzola diventò una grande mezzala e col Torino vinse tutto. Fu anche la colonna della nazionale italiana.

Incuriosisce alquanto un episodio singolare successo in un derby della Mole. In quella partita Boniperti, attaccante della Juventus, al termine di una bella azione, effettuò un gran tiro per realizzare il goal a favore dei bianconeri. Il portiere granata fu battuto, ma sulla linea di porta piombò improvvisamente Mazzola intervenendo con prontezza per evitare il goal. Fu grande il disappunto di Boniperti, il quale non ebbe il tempo di rammaricarsi oltre quando sentì dopo pochi secondi il boato di esultazione dei tifosi granata. Mazzola, a seguito di quel salvataggio, si involò fulmineamente verso la porta avversaria e trovando lo spiraglio per sferrare un tiro in porta realizzò un gran goal per il Torino. Il disappunto di Boniperti divenne sbigottimento che lo spinse a congratularsi personalmente con Valentino per la straordinaria e repentina azione vincente.

Il calcio allora era bello perchè era ricco anche di questi episodi sportivi!

Allo stadio Filadelfia il Torino fu imbattibile e quando raramente capitava la giornata no, scattava il famoso “quarto d'ora granata”. Mazzola avvicinandosi alla tribuna alzava lo sguardo verso il trombettiere granata, sollecitandolo a suonare la carica. Questa era una delle caratteristiche di allora per indurre i giocatori granata a scatenarsi, superando i momenti di difficoltà. Così il Torino fu sempre capace non solo di rimontare lo svantaggio, ma anche andando oltre per vincere la partita.

 

I giocatori granata

Fu la combinazione del fato a raggruppare quell'insieme di grandi giocatori.

Fu una coincidenza ad amalgamare un gruppo compatto ben guidato dal loro capitano Mazzola.

Fu un segno del destino a stabilire che questi ragazzi dovessero formare una squadra tra le più forti di sempre. Basti pensare al ruolino del Torino di quei tempi, immortalato per sempre nella storia delle imprese calcistiche:

nel campionato 1947/48 fu realizzato un record difficilmente battibile: 37 goal in 12 gare, dopo aver realizzato nel 1945/46 ben 108 reti in tutto il campionato.

Nel campionato 1946/47 il Torino realizzò ben 104 reti.

Nel campionato 1947/48 furono realizzati 125 goal.

Questo fu il grande Torino e per dare un'idea di come tutta la squadra assorbì ottimamente le teorie straordinarie di Erbstein, non occorrono altre statistiche per sottolineare la capacità realizzativa di quella squadra. E' la storia a confermare che il Torino fu una compagine calcistica ineguagliabile.

La formazione titolare che il più delle volte scese in campo era composta dai seguenti giocatori:

Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola

I dieci undicesimi di questi ragazzi furono presenze fisse nella formazione della nazionale italiana.

Con il grande portiere Bacigalupo, autore di interventi autorevoli, la formazione granata si avvalse di due grandi terzini, Ballarin e Maroso, abili entrambi nel difendere e all'occorrenza attaccando efficacemente. Tecnicamente ben dotati, essi erano molto veloci, in grado di effettuare cross precisi e decisivi per i propri compagni dei reparti avanzati.

Grezar, grande mediano destro duttile dello schieramento granata. Onesto faticatore capace di operare nel reparto difensivo e di partecipare alla manovra costruttiva di tutto il centrocampo.

Rigamonti, centrale di difesa difficile da superare. La sua grinta e la sua precisione negli interventi mettevano a loro agio tutti i compagni del pacchetto difensivo granata.

Castigliano, come il compagno Grezar fu un mediano duttile sul lato sinistro. Capace di difendere contrastando gli avversari in linea con l'altro mediano Grezar per costruire attivamente le manovre del reparto di centrocampo.

Menti, grande attaccante schierato come ala destra nello schieramento granata. Le sue capacità realizzative furono esaltate dalla sua facilità di corsa veloce e da un dribbling stretto ed efficace.

Loik, gran corridore, mezzala destra, assieme a Mazzola, fu acquistato dal presidente Novo su richiesta del direttore sportivo Erbstein, il quale vide in lui il centrocampista ideale per completare e suggerire ai compagni di punta i suoi preziosi inviti smarcanti. Ricucitore delle azioni, era capace di realizzare anche dei goal di gran pregio.

Gabetto, esperto centravanti molto acrobatico nei suoi interventi, era dotato di un gran tiro in porta. Fu il cannoniere principe della compagine granata realizzando parecchi goal, gran parte dei quali in area di rigore avversaria dove Gabetto non perdonava eventuali errori commessi dal difensore avversario addetto alla sua marcatura.

Mazzola, capitano della squadra granata. Di lui è stato detto quasi tutto, fu il numero 10 leader riconosciuto a furor di squadra. Mazzola fu schierato mezzala sinistra in uno schieramento dove ogni elemento non fu mai considerato inferiore al resto dei compagni, secondo le rigide teorie calcistiche e psicologiche impartite dal grande Erbstein. Mazzola fu l'elemento che rappresentò il valore aggiunto in una squadra di grandi campioni. Ebbe grandi doti di rifinitore della manovra. Dotato di fiuto realizzativo, fu il concreto trascinatore del grande Torino.

Ossola, in 181 presenze realizzò 85 reti. Ala sinistra veloce, dotato di dribbling molto rapido, cresciuto nelle giovanili del Varese arrivò al Torino nel 1939 ancora diciottenne, alternandosi in quel ruolo con l'anziano Pietro Ferraris, giunto ormai a fine carriera. Ossola subentrò poi come titolare fisso dopo circa due anni.

Ferruccio Novo, grande presidente di quel Torino non potè participare assieme alla sua squadra a quella partita di Lisbona perchè colpito da una leggera polmonite. I medici dello staff del Torino gli sconsigliarono di mettersi in viaggio e quindi il presidente si salvò, ma forse il destino volle risparmiarlo per affidargli il doloroso incarico di commemorare i suoi ragazzi. Fu molto toccante infatti il suo discorso pronunciato dalla tribuna del Filadelfia, quando la domenica successiva del disastro, la squadra fresca di scudetto già vinto con parecchie giornate di anticipo, avrebbe dovuto scendere in campo per giocare la quartultima giornata di campionato.

Ferruccio Novo presentò in campo i ragazzi della Primavera, tra i quali un paio di loro furono fatti esordire precedentemente fra i titolari, da quel grande conoscitore di calcio che era Erno Erbstein.
Quel giorno il presidente prese la parola prima dell'inizio della partita, dicendo con la voce rotta dalla commozione e intercalata da numerose pause:

Sono Ferruccio Novo, orgoglioso di essere il presidente di questa grande squadra. Oggi è il compito più difficile quello che mi aspetta e che aspetta tutti noi... Quei ragazzi che sono morti erano come dei figli per me e nulla potrà consolarmi per il dolore di averli persi... Ma c'è una cosa che voi giocatori potete fare per me, per la squadra e per voi stessi, giocare queste ultime quattro partite che mancano alla fine del campionato... Come sapete già, anche le squadre avversarie schiereranno in campo i ragazzi della Primavera e quindi giocare queste partite, forse ci aiuterà ad accettare meglio ciò che è successo... Forse ci convinceremo che la vita continua... Loro avrebbero voluto così, perciò giocate e fatevi onore!”

Tra gli spettatori presenti sulle gradinate del Filadelfia e tra i ragazzi schierati al centro del campo, un brivido di commozione percorse le loro persone, lo stesso brivido che ancora oggi attanaglia tutti noi sportivi innamorati del calcio nel ricordo di quel momento.
Sul Torino furono dette tante belle cose, furono spese tante belle parole da tramandare ai giovani a imperitura memoria, furono citati tanti episodi a testimonianza di un'epopea calcistica irripetibile.

A me, in occasione di questo triste settantesimo anniversario, piace ricordare questo mito di squadra leggendaria, pensando che tutti quei ragazzi vennero prematuramente rapiti dal destino che decise di custodirli eternamente nell'Olimpo dei leggendari eroi del calcio.

A noi mortali rimarrà il ricordo di essi, custodito per sempre nei nostri cuori.

A questo proposito mi è d'obbligo citare una bella affermazione coniata da una grande firma del giornalismo di un recente passato, il compianto Indro Montanelli, il quale commemorando gli eroi del grande Torino scrisse testualmente:

Gli eroi sono sempre stati immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto andato in trasferta! ”

 

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