Negli anni ’60, a Reggio Calabria, le case popolari erano prive di riscaldamenti. Si costruiva in economia per applicare affitti bassi. Il punto è che gennaio, febbraio e, in parte marzo, dal punto di vista climatico, sono, spesso e volentieri, mesi crudeli anche nel profondissimo Sud. Ci si proteggeva con il doppio maglione, la maglietta di lana e, soprattutto, con il braciere. Bacinella a forma circolare di ottone o rame con il carbone acceso e una scorza d’arancia per attutirne le esalazioni. Le stufette erano un lusso come anche la TV. Quindi, dopocena, tutti seduti intorno al braciere a chiacchierare, narrare, ricordare. Ah…se i bracieri di Reggio potessero parlare, come nelle novelle incantate di Singer, chissà quante storie racconterebbero.
Una di queste, però, siamo in grado di narrarvela. Grazie a  un vecchio, annerito braciere che stava abbandonato in un angolo della soffitta che, come nel mondo magico di Harry Potter, dopo uno sbuffo di fumo, ci ha raccontato la storia di Nino, Franco e Nuccio. Tre ragazzi del Sud, diciassettenni, con un cassetto pieno di sogni e pochissime risorse. Vanno a scuola grazie ai sacrifici immensi dei genitori. Nel loro caso, tanto per rendere l’idea, l’espressione togliersi il pane di bocca non era una metafora. Nino, Franco e Nuccio sono insieme, in una di quelle case popolari, senza termosifoni e parlano davanti a un braciere che, ogni tanto, sprigiona  le sue faville intorno, come tante stelline cadenti, troppo veloci per esprimere un desiderio.

CALCIO E SOGNI
Nino, Franco e Nuccio,
 intorno allo sfavillante braciere, ma avarissimo in quanto a tepore, fumano le tre nazionali senza filtro che hanno comprato prima da don Ciccio il tabaccaio che, come al solito, l’ha tirata per le lunghe prima di dargliele per via della giovane età del terzetto. Va precisato che, in quegli anni, le sigarette si vendevano anche sfuse, dentro sottilissime bustine di carta. Tra una tirata e l’altra i tre parlavano della partita di domenica. La Reggina, giocava in casa, viaggiava nelle prime posizioni della classifica di serie C1 e tutto lasciava sperare che il sogno della Serie B fosse a portata di mano. L’allenatore degli amaranto era un certo Tommaso Maestrelli.
Come fare per vedere la partita di domenica? Andare allo Stadio era  fuori discussione, non ne parliamo proprio. Il biglietto per la Tribuna era  roba per ricchi. In Curva ci volevano  350 lire e ben 750 in Gradinata. Chiedere soldi a mamma e papà non si poteva. Quell’anno  i libri per la scuola erano  stati comprati di seconda mano e a rate. Il papà di Nino era un operaio edile, quello di Franco un lustrascarpe e il padre di Nuccio  un meccanico. Occorreva, dunque, escogitare un piano  per andare a vedere questa partita casalinga della Reggina che poteva risultare decisiva per l’agognato approdo alla serie B senza tirar fuori una lira che, comunque, i tre non avevano.

JUVE, ROMA E MILAN
Nino, Franco e Nuccio, oltre al tifo, diciamo così, domestico, quello per la Reggina, tanto per capirci, avevano le loro passioni calcistiche’ collocate’ in Serie A. Nino era juventino, Franco tifava per la Roma (non abbiamo mai capito il perché) e Nuccio per il Milan.
Ora, a proposito di questa ‘doppiezza’del tifo, che, intendiamoci, riguarda la gran parte degli appassionati di calcio meridionali, negli anni se n’è discusso molto e qualcuno ha scomodato anche la psicoanalisi. Non abbiamo le carte in regola per affrontare la questione dal punto di vista psicanalitico. Per dirla tutta, in tale ambito, abbiamo una competenza che conta quanto il due di coppe quando la briscola è a denari.
Mettiamola così: tifare per la Reggina -o, chiaramente, per un’altra squadra del Sud- è un moto affettivo, se volete identitario. Ovvero, la squadra della città dove si è nati, l’orgoglio di passare alla serie superiore perché così è promossa tutta la città. Città che quasi sempre stanno in fondo alla classifica del reddito, del benessere, dei servizi e della qualità della vita. Vogliamo definire la promozione sportiva come una forma di riscatto sociale? Diremmo proprio di sì. Tifare invece per la squadra del Nord, lo squadrone ovvero Juve, Milan, Inter è un qualcosa che gli addetti ai lavori definirebbero ‘aspirazionale’. Sia chiaro, questa è la spiegazione che abbiamo noi di questa duplicità di tifo. Perchè ‘aspirazionale’? Perché il desiderio profondo è andare a vivere nella città dello squadrone: a Milano, a San Siro a veder giocare Gianni Rivera o Sandro Mazzola oppure a Torino a vedere la Juve (siamo negli anni ’60 rammentatelo). Ma anche perché sono le città dove si lavora, si guadagna e, se hai stoffa e capacità, realizzi te stesso. La riprova? I tre protagonisti del nostro racconto -Nino, Franco e Nuccio- lasciano Reggio e vanno, rispettivamente, a Torino, Roma e Milano. Ma, questa è un’altra storia.

OPERAZIONE STADIO
Lo stadio comunale di Reggio (oggi si chiama Oreste Granillo in memoria di un  presidente  storico della società amaranto) si trova nella zona sud della città. Nel 1965 era un impianto, anche a livello di capienza, progettato  per la squadra di una città che militava  in Serie C. Verrà profondamente modificato, nel 1999, quando la Reggina approdò in Serie A.  
Ma, torniamo ai nostri tifosi bipolari . Come vedere la partita ‘a gratis’ ? Nino disse che aveva lungamente studiato la struttura dello Stadio e s’impancò in dettagli di progettazione (studiava per diventare geometra) che a Nuccio e Franco sembravano inutili. “Ninoooo – urlò Franco – ma perché ci devi triturare i cabasisi cu tutti sti dettagli da capomastro… il punto è questo: come facciamo a vedere la partita senza pavari…u capiscisti o no? “Nino si mostrò un tantino offeso,  ma  la piantò con la sua relazione tecnica. Allora Nuccio, dopo la tirata finale alla nazionale senza filtro, rivelò il suo piano. “Devo confessare – disse con qualche esitazione – che mi capita spesso di venire da queste parti in determinati pomeriggi, ma anche in certe sere

CERCHEZ LA FEMME
-E come mai? Chiese subito  Franco? “Posso rispondere che sono affari miei - risposta piccata di Nuccio - …o dobbiamo aprire un dibattito fino a notte? A questo punto Nino, che finora se n’era stato zitto, chiuso in un orgoglioso e sdegnato silenzio, disse: “Ho capito, la biondina della squadra di basket… nella palestra, a fianco dello stadio, c’è lo ‘scatolone’, ìmpianto dove si gioca a basket e volley. Nucciceddu ha una ‘cottarella’ per la pivot del Jolly…ah ah…cerchez la femme…”
Nuccio incavolatissimo: “Ma quanto sei cretino…ma pirchì non ti fai i fatti toi…vuoi sapere come vedere la partita o no?
“Ecco arriviamo al punto – disse Franco – e lasciamo perdere queste discussioni… senti Nuccio, ma nel Jolly mi pare ci siano due biondine… tu a chi punti?
Meno male che non si doveva dibattere – replica Nuccio indispettito - comunque andiamo  al quaglio. Dietro la gradinata c’è un palazzo di 5 piani, nuovo con terrazza che domina tutto il terreno di gioco, meglio della tribuna...
“Sì e come si entra… suoni il citofono e ti dicono si accomodi prego…- intervenne Nino gradisce un caffè o un te’ nell’intervallo…
“Nossignore… - replica Nuccio - . Milena mi ha spiegato…
Chi è Milena? Chiedono in coro Nino e Franco?
“La mia amica che gioca nella squadra di basket, abita da queste parti…
“Ah…ah…la sua amica…” Altro coro, ma stavolta con intonazione ironica.
“Va bene…ho capito. Volete vedere la partita o no? Allora. Milena mi ha detto che la domenica, quando la Reggina gioca in casa,  a partire dalle 13 il palazzo viene praticamente blindato e per entrare bisogna citofonare e naturalmente il portone viene aperto solo ai parenti e agli amici stretti.“
“E allora che si fa?”Chiedono ansiosamente Nino e Franco?
“Milena ha una compagna di scuola che abita nel palazzo. Spesso, la domenica, pomeriggio, si vedono per studiare insieme o anche solo per chiacchierare. Mi ha detto che lei può farci entrare… suona il citofono dice ciao Rosalba… sono Milena. Il portone si apre e noi saliamo fino in terrazza… in silenzio assoluto. Alle 13, 30 appuntamento davanti al portone. La partita comincia alle 14,30…chiaro?
“Chiarissimo… - esultano Nino e Franco – quando si dice che l’amore apre tutte le porte è una grande verità!

SERIE B, SERIE B!
Quell’anno, il 1965, la Reggina guadagnò la serie cadetta. Per la squadra dello Stretto, guidata da Tommaso Maestrelli fu una promozione storica. L’allenatore amaranto vinse “Il seminatore d’oro” come miglior allenatore della serie C. L’anno dopo la Reggina sfiorò una clamorosa promozione in serie A. Giunse quarta dopo un pareggio a Lecco (0-0) primo in classifica.
La Serie A arriverà molti anni più tardi. Il 13 giugno 1999. Al Delle Alpi, la compagine calabrese batté per 2 a 1 il Torino e conquistò, per la prima volta nella storia, la Serie A. Quel giorno, 30 mila tifosi amaranto affollarono le tribune del mitico stadio piemontese. A Reggio migliaia di persone si riversano festanti sul Lungomare, quello stesso che D’Annunzio definì come Il più bel chilometro d’Italia.

E Nino, Franco e Nuccio? Dopo il diploma, la vita e il destino, comune a milioni di altri ragazzi meridionali, li separarono. Lasciarono Reggio e inseguirono i loro sogni a Roma, Torino e Milano. Non si videro più.
La notte del 13 giugno 1999 ho fatto un sogno. Tre ragazzi su una terrazza davanti allo Stadio che sventolavano un bandierone amaranto.
Ciao Nino, Ciao Franco… ci rivediamo lassù !