La terra dei cachi e dei raccomandati. Da sempre specializzata in disastri collettivi, talvolta riparati dall'eroismo, dall'abnegazione o dal genio individuale. Un Paese che si specchia nel calcio. Ed ecco il suo calcio ricalcare fedelmente i vizi del Paese. Piccola e povera Italia, piccola e povera Juve, anche stavolta vi siete guardate nelle tasche e non ne è uscito nulla.

Il dramma non è l'eliminazione con un modesto Porto, dopo un'ora di superiorità numerica. Non è neppure la sontuosa traversa timbrata da Cuadrado a una manciata di minuti dalla fine né il malinconico e astioso tramonto di CR7. Il dramma è nelle dichiarazioni del dopo partita: "Io sono l'allenatore della Juve e sono qui per un progetto pluriennale".
Ci vuole pudore. Già la prima affermazione (sono un allenatore) è impegnativa, ma la seconda e la terza lo sono ancor di più: c'è tutto il senso di intoccabilità, di immunità che percepisce chi occupa un ruolo non per merito e competenza, ma per investitura da parte del Re. 
Quanti allenatori, al suo posto, avrebbero rimesso ogni scelta alla società (nel senso di Juve), oppure avrebbero sottolineato le difficoltà affrontate o propri meriti oggettivi nell'affrontarle... Qualcuno avrebbe addirittura avuto la dignità di dimettersi. Chi l'ha preceduto, fresco di scudetto, s'era appellato alla competenza dei dirigenti, perché consapevole dei propri meriti e della propria competenza.
Il dramma sta proprio qui: il merito e la competenza, qui e ora, non contano nulla. In questo lembo remoto di terra, sappiamo che se ne può fare tranquillamente a meno per raggiungere il potere e fruire del diritto di far danno a piacimento: a un Paese, un'azienda, una società calcistica, foss'anche la più seguita dai tifosi. Implicitamente, anche Pirlo ha rimesso ogni scelta alla società (ma nel senso di comunità nazionale), consapevole che la decisione essa l'ha presa definitivamente e il privilegio è il fondamento unico del presente.
Non ci sarà mai più un Bearzot che lascia a casa giocatori spinti dalla stampa e dai potentati locali e torna a casa campione del mondo. Il futuro Bearzot tornerà a casa con la sua selezione di raccomandati, bastonato dagli avversari ma protetto comunque dalla stampa,  rivendicando con protervia il suo diritto a proseguire il "progetto".

Ah, già, il progetto. In cosa consiste, di grazia? Nel dissolvere quel poco di abitudine acquisita l'anno scorso a difendere in linea e palleggiare penetrando il centro del campo? Nel calcio liquido, e quindi liquefattosi di fronte a un Porto generoso, organizzato da un vero allenatore? Ovviamente no, il progetto di cui parla Pirlo è qualcosa di molto più ambizioso. È la volontà di dimostrare che possiamo tranquillamente tapparci gli occhi e le orecchie di fronte ai risultati e alla realtà, miserevoli aspetti di cui si occupi pure il resto del mondo. Noi italiani siamo oltre, e proseguiamo tronfi sulla nostra strada, che è quella giusta.
E poco importa se nessuno vince una Champions per decenni, se al Mondiale sono scoppole per l'eternità. Ci piacciamo così: più furbi, più concreti. Perché sforzarsi tanto, se basta trovare qualcuno che ci collochi dove non meritiamo di essere e poi, proteggendo noi, proteggerà se stesso?