Il 19 Aprile 2021 potrebbe essere una data storica per il calcio. E se non lo fosse, perchè tutto è ancora possibile, sarà lo stesso ricordata come una delle giornate più frenetiche e rivoluzionarie della sua storia recente. E' stata ufficializzata la Superlega. Con il botto. Il format è ancora in fase di sviluppo, ma quel che è certo è che questo progetto visionario, nel bene e nel male, di attenzione se ne è già attirata addosso parecchia, nel pieno rispetto del famoso slogan: "Ogni pubblicità è buona pubblicità". Io di Superleghe, di bilanci e di strategie economiche non ne so praticamente nulla, quindi non vedo occasione migliore di questa per unirmi alle migliaia, anzi milioni di altre persone che, pur non sapendone nulla, ci illuminano con le loro valutazioni e sparano da una parte e dall'altra la loro mitragliatrice di teorie, opinioni e insulti.
Tuttavia, invece di focalizzare tutta la mia energia mentale sulla Superlega, penso sia opportuno ragionare un attimo su tutto il restoSì, il resto: il resto di cui parlo è tutto il mondo calcistico meno dodici squadre, ed è palesemente (e comprensibilmente) terrorizzato. Il resto sono la UEFA e la FIFA, che minacciano e imprecano, accusando di trame e cospirazioni. Ma anche la FIGC, le piccole squadre, Cairo, Draghi, i portali social. Siamo noi tifosi, che non sappiamo ancora bene cosa pensare, ma siamo demoralizzati e disillusi perchè così siamo abituati a essere.

Ebbene, quel resto mi fa salire il nervoso. Non perchè io sia d'accordo con la Superlega, quella è una conclusione affrettata a cui giungere, ma perchè chi non ne fa parte si è autoproclamato la parte giusta. La parte che fa il tifo per il popolo, per i sogni e per il romanzo calcistico. La parte da cui ti devi schierare se credi nella giustizia. Spero di non venire censurato, ma quante puttanate. Il calcio non è uno sport del popolo dagli almeno sessant'anni, e il sistema che ora spalanca gli occhi e grida all'orrore è lo stesso che per anni ha consapevolmente creato il mostro. Ha costruito un gigante gonfiato da bilanci in perdita e transazioni fittizie, economicamente insostenibile, in cui le piccole squadre galleggiano inerti, come piccole e impotenti "fabbriche di giocatori", mentre le grandi squadre storiche spendono cifre incredibili con cui cercano di tenere testa a qualche sceicco e magnate che, ben inserito nelle fitte trame della vittimista UEFA, ha potuto speculare indisturbato. E adesso si stupisce, quel sistema. Si chiede come sia possibile che giocare contro Udinese e Benevento (a stadio chiuso, per giunta) non consente alle grandi squadre di rientrare nelle spese. Se lo chiedono Ceferin, la FIGC e gli opinionisti ex-calciatori inglesi, che ieri criticavano il Manchester United per non aver speso a sufficienze nel calciomercato e ora parlano di valori e di popolo.

Il resto si erge dalla parte del popolo. Si riempie la bocca di parole come meritocrazia, dopo essersi fregato le mani mentre una squadra, una delle poche ancora fedeli, curiosamente, pagava duecentocinquanta milioni di euro (l'ho scritto in lettere per rimarcare quanto è lunga la cifra) per un giocatore e le altre annaspavano per conformarsi ad un fair play finanziario costruito ad hoc per il beneficio di pochi. Non mi piace quando si fa una distinzione troppo netta tra buoni e cattivi, forse è per quello che sento il bisogno di prendere questa posizione. Non mi entusiasma quando lo fanno nei film, figurarsi quando lo fanno nel calcio, che è un business. Lo si dice spesso, ma lo si capisce raramente. E' cominciata una guerra (mi sia concesso il termine un po' iperbolico), e non si combatte per cuore o per amore del calcio, ma per potere. Anzi, forse più che una guerra la si potrebbe definire una dichiarazione d'indipendenza. Un'egoistica dichiarazione di indipendenza, brutta e antipatica ma resa necessaria da anni di disastrosa speculazione generale.