Nel corso della nostra esperienza di non più giovanissimi appassionati di calcio, abbiamo avuto modo di prendere visione, durante i vari decenni, delle diverse versioni delle nostre squadre e, inevitabilmente, siamo rimasti legati a quelle, che più ci hanno colpito, principalmente per i loro successi, ma non solo.

E’ scontato immaginare, ad esempio, che un tifoso milanista sia (e resterà) innamorato del mitico Milan di Sacchi; quello interista della squadra del Triplete; quello capitolino, di fede giallorossa, della Roma di Falcao e quello laziale della squadra degli aquilotti del clamoroso scudetto 1999/2000.

Le squadre che, per contro, possono aver stregato un tifoso bianconero nel passato recente sono, forse, più di una, in quanto tutte fortemente caratterizzate: ad esempio, la Juventus di Platini o quella di Lippi o quella attuale, che ha scritto la storia.

Per quanto mi riguarda, però, per riscoprire la Juve che ho amato di più bisogna risalire ai tempi dell’adolescenza e, nello specifico, alla Juventus della stagione 1976/77.

E’ una formazione che mi è rimasta nel cuore e nell’anima. Il motivo del mio attaccamento a quella squadra è semplice: era composta da giocatori, che praticavano un calcio basato sull'estetica ma incardinata nel massimo agonismo. Era composta, insomma da Uomini e, onestamente, metteva paura agli avversari per un gioco caratterizzato, da una parte, da tecnica e virtuosismo ma, dall’altra (e soprattutto) da dinamismo, aggressività e forza fisica, che si esplicava, ma non solo, nella particolare durezza nei contrasti: una squadra tecnica ma guerriera.

Mi è sembrato naturale, quindi, condividere, in questa sede, il ricordo di quella compagine, rammentando i tratti dei calciatori, che le generazioni successive alla mia e magari tanti tifosi ospitati in questa community, non hanno avuto modo di apprezzare dal vivo.

La formazione tipo era la seguente: Zoff, Gentile; Cabrini (Cuccureddu), Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega.

Era una Juventus, per la prima volta sotto la guida di Giovanni Trapattoni, reduce dal secondo posto in campionato nella stagione 1974/75, dove fu superata da un irriducibile Torino nelle ultime giornate. La Juve riuscì a dilapidare in sole tre giornate (perdendo a Cesena, nel derby e a San Siro con l’Inter) un vantaggio di 5 punti sui granata, che si laurearono (con pieno merito) campioni d’Italia dopo 27 anni dall’ultimo titolo.

Il Presidentissimo dell’epoca, Giampiero Boniperti, decise, al termine di quella stagione, di operare il cambio dell’allenatore (Carletto Parola fu sostituito da Giovanni Trapattoni) e un duplice scambio con le milanesi (Boninsegna per Anastasi con l’Inter e Benetti per Capello con il Milan). Apparentemente, sembrò un’operazione poco convincente, in quanto gli entranti erano più anziani e considerati ormai in parabola discendente. In realtà, si rivelò una delle migliori operazioni di mercato mai condotte dalla Juventus.

Infatti, la stagione 1976/77 si rivelò un’autentica cavalcata trionfale (forse una delle migliori annate della leggendaria storia bianconera), in quanto la Juventus conquistò lo scudetto dopo un memorabile testa a testa con il Torino, totalizzando alla fine 51 punti (su 60 disponibili!) contro i 50 dei cugini granata e, nella settimana, che precedette l’ultima di campionato, si aggiudicò per la prima volta una competizione internazionale (la Coppa Uefa) con due epiche partite di finale contro l’ Athletic Bilbao, di cui la seconda fu un autentico passaggio all’inferno nel catino basco del San Mames di Bilbao. Tra l’altro, quella Coppa Uefa rimane l’unico successo internazionale di una squadra, conquistato con una rosa composta esclusivamente da calciatori italiani.

Scorriamo quindi i tratti salienti di quei giocatori, soffermandoci sulle loro principali caratteristiche .

  • Dino Zoff (detto “Dino”): ogni commento sulle qualità tecniche e umane di questo portiere inarrivabile sarebbe superfluo. Sul Portierone friulano si sono già spesi “fiumi di inchiostro”. In tale ambito, stante il contesto dell’articolo, posso solo evidenziare che (tenuto conto anche del ruolo) la sua era una durezza “interiore”, scandita da un linguaggio ermetico ma molto efficace. Pare infatti che il suo discorso più lungo (ovviamente solo sussurrato) fu l’intervista dopo il termine della stagione 1976/77, in cui disse: “Abbiamo meritato di vincere il campionato e la Coppa Uefa”. Anni dopo, quando fu attuato il silenzio stampa dei giocatori della Nazionale nel Mundial 82 e fu deputato il solo Zoff a parlare con la stampa, ci furono scene di vero panico tra i giornalisti al seguito e il record planetario di brevità delle conferenze stampa: 2 minuti, presentazioni incluse;
  • Claudio Gentile (detto “Gento” o “Gheddafi”, stante i natali tripolini): era un marcatore a uomo impressionante, un “francobollatore” per eccellenza. Tra l’altro non si limitava a difendere ma attaccava da moderno laterale, roteando le gambe come un mulino. Ma la sua specialità era ovviamente la marcatura asfissiante ed aggressiva, giocando di anticipo o aggrappandosi all’avversario. In sostanza, adottava il metodo del licaone che, quando caccia, pare si attacchi ai “gioielli” della vittima e non li molla più…Per referenze si può chiedere a Maradona che Gentile annullò nel Mundial 1982 con una marcatura che il fuoriclasse argentino ricorda con terrore ancora oggi, tenuto conto che Gentile continuò a stargli addosso nell’intervallo della partita e anche al termine, fino al rientro in albergo;
  • Antonio Cabrini (ribattezzato il “Bell’Antonio”): al di là del tratto estetico (sembrava uscito da una copertina di Vogue Uomo), Cabrini si rivelò uno dei più forti terzini mondiali della sua generazione per tecnica, velocità, agonismo ed applicazione. Attaccava ma difendeva altrettanto bene, entrando, senza troppi complimenti, in scivolata sugli avversari con feroce determinazione. L’unico inconveniente era rappresentato dal fatto che, quando si involava sulla fascia con i suoi riccioli al vento, si verificavano da parte delle fanciulle presenti, svenimenti di massa
  • Antonello Cuccureddu (detto “Cuccu”): il terzino sardo si alternò nel ruolo di difensore di sinistra con Cabrini. Era dotato di un tiro da fuori area dalla potenza impressionante. Naturalmente eclettico (poteva giocare terzino, stopper, centrocampista, ala). Dabuon sardo, era di poche parole ma di tanta sostanza, soprattutto in termini di agonismo. Già il cognome assicurava il rispetto da parte degli avversari
  • Giuseppe (Beppe) Furino (detto“Furia”): un mediano granitico davanti alla difesa, che distribuiva calci al pallone e agli avversari, senza privilegiare l’uno rispetto agli altri. Era piccolo di statura ma veramente uno dei più duri della squadra e la fascia di capitano gli riconosceva il giusto carisma. A sentirlo parlare, sembrava un docente universitario di letteratura inglese (linguaggio forbito e toni bassi), ma quando scendeva in campo era una… furia. Terminava gli allenamenti al Combi (il campo attiguo al Comunale dove all’epoca la Juve si allenava), scambiando regolarmente cazzotti con Boninsegna, con il quale entrò subito in sintonia…
  • Francesco Morini (detto “Pirata Morgan”): stopper (difensore centrale) quasi imbattibile di testa, giocava con i piedi (poco) e con le braccia (tanto) per arginare i centroavanti avversari. Sembrava disarticolato, una sorta di Tiramolla del pallone ma aveva uno strapotere fisico fuori dal comune (caratteristica tra l’altro tipica dagli anni 60 ad oggi dei centrali della Juve: da Bercellino a Chiellini) e randellava senza requie chiunque si trovasse nei pressi. Fortissimo, ma, se gli avessero chiesto di iniziare il gioco come viene richiesto oggi ai difensori, avremmo assistito a “oggi le comiche”…ma non era necessario, bastava e avanzava che stesse in difesa,
  • Gaetano Scirea (detto “Gay”): Immenso. Non si può descrivere un giocatore così. Una classe innata, un modo di stare in campo regale, un libero che interpretava il ruolo con una modernità assoluta per quell’epoca. Ineguagliato ed ineguagliabile. In questa sede, vorrei solo ricordare cosa disse di Lui, Enzo Bearzot (l’allenatore italiano del Mundial 82) “ La prima volta che Gaetano Scirea stette in ritiro con me, a Lisbona con l’Under 23, dissi che un ragazzo così era un angelo piovuto dal cielo. Non mi ero sbagliato. Ma lo hanno rivoluto indietro troppo presto”
  • Franco Causio (detto “Il Barone”): nella funambolica ala leccese erano fuse tutte le principali componenti di un’ala e che oggi sarebbero ideali per un moderno esterno d’attacco: dribbling, fantasia, tecnica, velocità, tiro. Un mix perfetto. Movenze da sudamericano ma applicazione europea. Giocatore dalla classe cristallina. Il grande Vladmiro Caminiti (autentico cantore del calcio) lo descriveva così: “Causio è stato un grande, un grandissimo fantasista. In lui rivive il barocco leccese, quella forma di pittura, che evoca altezze e squisitezze del pensiero”
  • Marco Tardelli (detto “Schizzo”): un altro totem bianconero. Nasce terzino ma viene inventato centrocampista per le sue straordinarie doti aerobiche. Uno dei migliori interpreti a livello mondiale del ruolo di centrocampista. Giocatore completo, moderno, duttile, dotato di tecnica e di un raro agonismo. Resta memorabile, a livello di cattiveria sportiva, quanto accadde nell’incontro Juventus vs Milan del novembre 1978. Comunale di Torino completamente esaurito. L’arbitro D’Elia fischia l’inizio e Tardelli piomba sulle caviglie di Gianni Rivera, che aveva appena ricevuto la palla: la conseguente ammonizione a Tardelli resta il cartellino giallo più veloce della storia del campionato…
  • Roberto Boninsegna (detto “Bonimba”): come definire Boninsegna: un viso una storia (giusto per chiarire, ha perfino interpretato il ruolo di un monatto nello sceneggiato televisivo “I Promessi Sposi” del 1989). Centravanti di sfondamento, fortissimo in acrobazia e di testa ed inesauribile come impegno sul campo. Anche Lui era – a buon diritto uno dei più duri della squadra e, quando approdò alla Juve, ebbe modo di misurarsi quotidianamente e con grande gaudio con Morini, che prima affrontava solo due volte l’anno. Che botte!!!
  • Romeo Benetti (detto “Rommel”): il friulano di ferro incuteva timore solo a guardarlo. I calciatori avversari gli giravano normalmente alla larga (in sostanza la marcatura “a zona” fu inventata proprio in quel periodo per poterlo controllare, ma a debita distanza..). In una intervista ha detto “Tutti volevano picchiarmi, ma le hanno sempre prese. Grazie alla fama da cattivo sono diventato più bravo di quello che ero: molti mi lasciavano il pallone per paura”. Sembra addirittura che Benetti, che amava il francese e i canarini (!?!?) si divertisse, d’estate, a fungere da guida turistica per le visite notturne al Panier (ovvero il quartiere più malfamato di Marsiglia). La sua fama di duro, purtroppo, conta però un gravissimo incidente di gioco , occorso durante la sua permanenza al Milan, riguardante un’ “entrataccia” su Francesco Liguori del Bologna, che riportò un irrimediabile infortunio al ginocchio destro e vide la sua carriera stroncata.
  • Roberto Bettega (detto “Bobby gol”): Nato e cresciuto nella Juventus, che lo mandò “a farsi le ossa” nel Varese, per poi riprenderselo. Era un attaccante moderno per la sua generazione e un autentico trascinatore. Tecnicamente molto abile, amava anche dialogare con i compagni di reparto ma il suo tratto distintivo era il colpo di testa (in elevazione o in tuffo, non c’erano grandi differenze). Ma nell’immaginario collettivo bianconero, resta unico il goal realizzato di tacco al Milan a San Siro nell’ottobre del 1971 (un capolavoro di tecnica e di astuzia). Viene considerato uno dei più completi attaccanti italiani di sempre.

Era una Juventus per me formidabile e occorre infine ricordare che diversi componenti di quella squadra (Zoff, Gentile, Cabrini, Tardelli) furono le colonne portanti della Nazionale, che conquistò il titolo mondiale nel 1982, forse il Mondiale più bello mai disputato dall’Italia.