Il numero dieci, sin dalle origini della sua storia, ha da sempre rappresentato un simbolo mitologico per eccellenza che va ben oltre la semplicistica identificazione di un “numero stampato su una maglietta”. È sempre stato visto da tutti gli amanti del calcio come una specie di “armatura alata” in grado di dare forze e capacità soprannaturali al “campione prediletto” che per talento e carisma si è mostrato ben superiore rispetto a tutti gli altri componenti di una squadra; come una sorta di “guida spirituale” che indirizza i suoi “discepoli” verso la conquista della vittoria finale anche quando si è ad un passo dalla sconfitta. Rappresentare il numero 10, non è per tutti, un simbolo così unico ed evocativo allo stesso tempo, non può essere “portato” da chi non è degno di poterlo indossare. Ma ultimamente, almeno in Serie A, i “veri” numeri dieci cominciano a scarseggiare e coloro i quali hanno conquistato con “merito” sul campo, l’onore di poter portare quel “peso” sulle proprie spalle corrono il, serio, rischio di “bruciarsi” ancor prima di diventare delle vere e proprie “divinitá” da idolatrare per i tifosi di tutto il mondo. Nonostante tutto, oggi il numero dieci è sempre più solo, e a lui soltanto si chiede di andare oltre ciò che risulta impossibile agli occhi dei tifosi. Vivono in una stato di perenne equivoco tattico, una vera e propria metamorfosi, causata da quella tipica frenesia insita in tutti gli allenatori di oggi che li spinge a perseguire, con tenacia, i propri schemi tattici talvolta proprio a discapito della fantasia ed estro di cui godono i loro fuoriclasse. Ed è per questo infatti, che il numero dieci, nei meandri della sua “solitudine”, nel calcio di oggi, deve trovare la forza per potersi rialzare e ricominciare a “lottare” se un giorno vorrà prendere il posto, che gli spetta, nell’Olimpo del calcio.

Come detto una metamorfosi, un vero e proprio “limbo” dal quale risulta difficile emergere se non si è dei grandi campioni. Ed è forse questo quello che sta affrontando uno dei più forti e talentuosi giocatori del nostro campionato il numero dieci bianconero, Paulo Dybala. L’argentino, soprattutto negli ultimi anni è stato al centro di molte critiche e in tal senso, colpiscono, particolarmente le parole pronunciate, qualche anno fa nel 2017, da Pelé in occasione di un’amichevole giocata tra Argentina e Brasile, in cui Dybala partiva titolare:

Il mio pensiero su Dybala? Non è così forte come dicono. Potrebbe essere l’erede di Messi? Forse l’unica cosa che hanno in comune è il fatto di calciare con il piede sinistro

Parole che fanno rumore se a pronunciarle è stato uno dei più forti giocatori del secolo; espressioni che sinteticamente racchiudono il dubbio esistenziale con il quale Dybala forse dovrà convivere per il resto della sua onorata carriera da calciatore professionista: è solo un’eterna promessa oppure è anche un grande campione? Nessuno può dirlo con certezza ma In un calcio aperto al “romanticismo”, quindi non al passo con i tempi, non ci sarebbero stati nemmeno poi così tanti dubbi soprattutto oggi che la parola “campione” ha perso gran parte della sua “sacralitá” e del suo vero significato. Non a caso anche la Juventus, come una buona parte dei suoi tifosi, questo dubbio se lo sta, oramai, ponendo da tempo visto e considerato che la sua permanenza in bianconero, mai come quest’anno, sembra davvero giunta al capolinea.

Ebbene sì alla Juve hanno scoperto che si può fare a meno di Dybala. In fondo, i bianconeri hanno ripreso a vincere, ultimamente, ottenendo un buon filotto di “risultati” utili consecutivi, senza il suo numero dieci in campo per diverse partite, seppur giocando piuttosto male e con pochissimi gol all’attivo, come se li davanti avesse ancora un CR7 a tirare la carretta per tutti! Fino a prova contraria, nella penombra del gioco juventino, Dybala rimane ancora l’unico faro a illuminare il lungo e difficile cammino dei bianconeri nell’arco di questa stagione. E’ soltanto una guida a metà tra la promessa incompiuta e il campione affermato, gli gridano tutti; un po’ dottor Jekyll e un po’ Mr Hyde, un’ambiguità che si capta, si percepisce da fuori e che forse lo logora così talmente tanto, al suo interno, da portarlo ad esultare polemicamente contro “qualcuno” seduto in tribuna dopo aver fatto gol la settimana scorsa contro l’Udinese. Eppure, nonostante lo scetticismo di pubblico e critica, nel corso del suo lungo ciclo bianconero, Paulo Dybala ha più volte dimostrato a se stesso e agli altri di saper andare ben oltre i suoi limiti sia fisici che tecnici ma forse non del tutto in quelli caratteriali. È riuscito a diventare, passo dopo passo, un giocatore più completo, un atleta “totale”, un vero e proprio “tuttocampista”, visti i ripetuti cambi di ruolo, completamente al servizio della squadra. Ma nonostante tutti i suoi sforzi compiuti per il bene della squadra, la fiducia e la stima nei suoi confronti sembrano essere vanificati da quella mancata firma sul rinnovo del contratto che stenta ancora ad arrivare.Il mio personale pensiero sulla vicenda, è che probabilmente a Paulo Dybala sia stato fatto pesare, in maniera eccessiva, quel suo coraggio di essersi caricato sulle spalle la maglia numero 10. Alla Juventus tutti i più grandi campioni del passato l'hanno indossata a partire da Sivori, Platini, Baggio e per finire con Del Piero, l’ultimo indimenticato capitano prima di Paulo. Evidentemente un peso più che un numero di cui non è stato ritenuto quasi mai all’altezza soprattutto da quando quel paragone, in quella famosa serata di Champions contro il Barcellona, con l’alter ego Lionel Messi non è riuscito mai ad onorarlo fino in fondo, nemmeno nella sua amata nazionale Argentina dove le sue presenze con la maglia albiceleste si possono contare sulle punte delle dita. Così è diventato forse il simbolo, suo malgrado, di una speranza incompiuta, delle aspirazioni di tutti meno che delle sue e per questo oggi Dybala non viene considerato un grande campione ma solo uno dei tanti talenti pronto a esplodere ma che evidentemente non è riuscito a sfondare del tutto per mancanza di carattere e anche forse per quella sua insita fragilità interiore di cui troppe volte, nei momenti più difficili, ha mostrato di patire.

A sostegno di questo ragionamento tante sono le voci sprezzanti sul suo conto infatti, Dybala non sbaglia semplicemente un controllo o un dribbling, lui rappresenta la personificazione dell’errore perché non ha carisma, perché non ha grinta, non ha un carattere forte e soprattutto non mostra il giusto “atteggiamento” in campo che un grande numero dieci del suo calibro dovrebbe sempre mantenere nei momenti di difficoltà. Dybala non è mai decisivo quando conta, si sottolinea come quella famosa doppietta al Barcellona sia stata l’unica eccezione alla regola, non scritta, che lo vuole andare a rete solo contro squadre medio-piccole quando, in realtà, di gol importanti ne ha fatti anche al Bayern Monaco, al Tottenham, al Manchester United e all’Atlético Madrid; gli si imputa il fatto di essere un giocatore difficile da collocare in campo, che non può dialogare con le punte, per questo tutti gli allenatori, succeduti alla Juventus, hanno enormemente faticato a trovargli una collocazione tattica all’interno dei propri schemi di gioco. Salvo poi dimenticarsi come nella stagione da MVP della Serie A sia stato uno dei giocatori più decisivi, per la vittoria risicata dell’ultimo scudetto; proprio quando Maurizio Sarri lo mise al centro del suo progetto tattico affidandogli, di fatto, le chiavi della Juventus e chiarendo, una volte e per tutte, gli equivoci tattici sulla sua posizione. Lo si accusa di non essere un leader caratteriale per via di una sua debolezza mentale di cui non si dovrebbe nemmeno più discutere visto che anche con Cristiano Ronaldo in squadra, nel 2019, si è visto uno dei miglior Dybala dopo un’estate vissuta tra la consapevolezza di essere messo sempre in discussione per via del suo “dualismo” con Cr7 e le voci di mercato che lo davano già per un giocatore del Manchester United in cambio di Romelu Lukaku. Per questo, in conclusione, inviterei la dirigenza della Juventus a rifletterci seriamente prima di darlo via così a cuor leggero come se si trattasse di un giocatore qualsiasi. Sono sempre convinto che gli accordi si facciano in due e soprattutto che essere un giocatore della Juventus impone avere certe responsabilità difficili da poter osservare altrove. Soprattutto in un ambiente in cui non è possibile pensare di poter vivere di rendita, in cui non basta essere un giocatore di talento se poi non lo dimostri sul campo, in cui non è possibile abbattersi se non si è così tanto forti da potersi riprendere, in cui non basta vincere tanti scudetti consecutivi per continuare ad essere il leader a cui affidare le chiavi del futuro. Ma ciò che serve veramente per portare il peso di quella maglia è: il sudore, il sacrificio, il carisma, la personalità, lo stile, la classe, la voglia di mettersi sempre in gioco, continuamente ed essere più forte di tutto e tutti.

Perchè caro Paulo non basta essere un numero dieci alla Juventus per accontentare le tue richieste, nessuno può permettersi di discutere le tue qualità di tocco, di dribbling, oltre al tuo raffinato senso del gol, ma ricordati una cosa, siamo sopravvissuti alla partenza di Zidane, di Tevez, all’addio di Del Piero, alla cessione di Baggio e se non vorrai continuare dispiace, però andremo avanti come abbiamo sempre fatto.
Perché ricordati i giocatori passano, ma la Juve rimane per sempre, fino alle fine

Ciccio.