"Ci son cascato di nuovo", cosi recita una famosa frase di un testo di Achille Lauro, ed ora più che mai si può attribuire alla Nazionale azzurra, visto che dopo 4 anni dalla cocente eliminazione nello spareggio contro la Svezia per l'accesso ai Mondiali di Russia, l'Italia si ritrova di nuovo a giocarsi l'accesso al prossimo Campionato Mondiale agli spareggi. I campioni d'Europa in carica si sono ritrovati a chiudere il proprio girone al secondo posto, e di conseguenza a Marzo dovranno affrontare due gare che decideranno se saremo presenti in Qatar o se, per la seconda volta di fila, guarderemo i Mondiali dalla tv senza esserne direttamente interessati. 

La domanda che è nata spontanea subito dopo il pareggio, che ci ha costretto allo spareggio, contro l'Irlanda del Nord, è come sia possibile che la nazionale che solo 4 mesi fa si è laureata campione d'Europa, sconfiggendo una dietro l'altra le fortissime avversarie europee, si sia arresa a due squadre nettamente inferiori (tra cui la Svizzera, anch'essa battuta 3-0 nella competizione vinta dagli Azzurri) senza mostrare la stessa idea di gioco e concretezza (0 gol in 2 partite da parte degli attaccanti) che l'aveva portata sul tetto d'Europa? Ed è proprio il centravanti il più grosso dei problemi dell'Italia di Mancini; il primo caso riguarda Ciro Immobile, ovvero il "9" principale della nazionale, che, se in Serie A segna in modo constante da anni, è preoccupante l'involuzione che ha quando scende in campo con la casacca azzurra. Basti prendere ad esempio l'Europeo dove ha segnato soltanto 2 gol in 8 partite, ed inoltre i suoi gol non sono mai stati decisivi (il terzo gol contro gli Elvetici e il secondo contro la Turchia). Lo stesso discorso si può fare dei suoi vice, ovvero Belotti e Raspadori, a dir poco impalpabili; e neanche la soluzione di usare Insigne come "falso 9" ha portato ai risultati sperati. 
Quello dell'attaccante è un problema che da anni affligge la nazionale, incapace di avere un vero goleador che possa risolvere le partite, cosa su cui può far affidamento la quasi totalità delle grandi (e non solo) nazionali di tutto il mondo. Negli ultimi anni i vari Balotelli, Pellè, Cassano, Zaza, Eder (oltre agli altri già sopra citati) hanno provato a prendersi il ruolo di "9", ma nessuno è mai riuscito ad imporsi, specialmente per limiti tecnici o caratteriali. 

Cosa si può quindi fare per risollevare l'attacco azzurro? Se parliamo strettamente di campo, la più semplice delle soluzioni consisterebbe nel cercare di recuperare al massimo gli attaccanti a disposizione, sfruttando il più possibile le loro caratteristiche e mettendoli nella condizione di poter fare la differenza. Allo stesso tempo è però impossibile non rivolgere uno sguardo a chi potrebbe far davvero comodo a questa Nazionale, si pensi alla nuova stellina emergente (sperando mantenga le attese) dell'Under 21 Lorenzo Lucca, o il bomber del Cagliari Joao Pedro, brasiliano d'origine ma con cittadinanza italiana e quindi arruolabile per la causa azzurra; un altro nome che sta tornando in auge è quello di Mario Balotelli anche se, ad onor del vero, è reduce da stagioni molto negative, che lo hanno costretto ad andare in Turchia per rilanciarsi; e se è vero che SuperMario sia pieno di talento allo stesso tempo è una scommessa troppo grande per affidargli, a Marzo, l'attacco azzurro. 

Tornando alla domanda precedente, il problema è molto più ampio e va affrontato a partire dai settori giovanili e dalle società.
E' oggettivo affermare che il livello degli attaccanti italiani sia diminuito negli ultimi anni, basti pensare che nella spedizione mondiale del 2006 potevamo contare su gente del calibro di Totti, Del Piero, Gilardino o Toni; o tornando ancora più indietro nel 1982 con attaccanti di spessore come Altobelli, Graziani e l'indimenticabile "Pablito" Rossi. C'è da chiedersi quindi il perché ci sia da anni questo decadimento di forti attaccanti italiani. Il primo motivo sta nel fatto che nel nostro campionato giocano pochi italiani, infatti, nel 2021, in Serie A ci sono 574 calciatori di cui soltanto 226 sono italiani, quindi il 40,4%; e, giusto per citare due nazionali vincenti, basti pensare che in Spagna i giocatori nativi sono il 58,4% e in Francia il 47,3% ( dati transfermarkt.it). C'è quindi una necessità di dare una giusta formazione a livello giovanile, con un grande lavoro di scouting che permetta di scovare i ragazzi più talentuosi; ma soprattutto bisognerebbe permettergli di giocare il più possibile per farli crescere e allo stesso tempo creare , da parte dei club, delle squadre di under 21 da far giocare in leghe come la Lega Pro, cosi come già si fa in Olanda o in Germania.

Un altro problema è quello culturale, infatti nel nostro Paese i classe 1998 o 1997 sono considerati a tutti gli effetti dei giovani in rampa di lancio ma giudicati ancora acerbi per puntarci con forza, mentre all'estero già esordiscono i 2003 e i 2004, specialmente in Inghilterra. Infatti andando ad analizzare l'età media delle nazionali che hanno partecipato ad Euro 2020 possiamo notare come proprio i nostri rivali inglesi avevano un'età media di 25,4 anni (la seconda squadra più giovane della competizione) mentre l'Italia si è piazzata a metà classifica con un'età media di 27,8 anni, segno che serve trovare il più presto possibile nuova linfa verde. Secondo un articolo de "La Repubblica", nel 2018 solo 129 dei 443 ragazzi usciti dai vivai sono diventati professionisti in Serie A e solamente 10 sono rimasti nelle rose del nostro campionato, ovvero meno del 3%; numeri spaventosi che devono far riflettere tutti, dai dirigenti dei club fino ai vertici della FIGC, perchè continuando in questo modo è molto complicato trovare nuovi talenti in tempi brevi.

Aspettando che vengano trovate reali soluzioni a questi problemi, dobbiamo ricordarci che c'è un Mondiale da andarci a prendere, perchè noi siamo l'Italia, siamo i campioni d'Europa in carica, ed è inconcepibile non presentarsi per 2 edizioni consecutive nella più grande e importante manifestazione calcistica al mondo. In caso di mancata qualificazione, la catastrofe non sarebbe solo a livello sportivo, con un danno d'immagine incredibile a livello mondiale, ma anche a livello economico, con una grandissima perdita tra premi ed altre opportunità commerciali; per non parlare dell'effetto che avrebbe sul PIL nazionale, infatti l'eventuale assenza ai Mondiali interesserebbe, in negativo, tutte quelle attività che guadagnano indirettamente dalle partite, come i bar, le pizzerie o i pub.
La cosa che ora tutti insieme possiamo fare è solo una: stringiamoci a coorte, ancora una volta.