Esistono giornate, situazioni, esperienze nella vita di ognuno di noi, che segnano una sorta di punto di svolta, di crescita, sportiva in questo caso, e la mia porta la data del 5 novembre 1986.
Per chi, come il sottoscritto, non è nato in una grande città come Milano, Roma o Torino, ma in un paesino di campagna in provincia di Venezia, ma distante gli stessi chilometri da Venezia, Padova e Treviso, non capita mai di avere a portata di mano un calciatore famoso o comunque professionista di Serie A. Li vedi per televisione, li leggi sui giornali, prendi gli album per le figurine, ma di vederne di persona uno per caso, nemmeno a pensarci. Quindi potete capire cosa ho provato quando il fratello del mio amico del cuore e vicino di casa è passato (per caso) alla Juventus.
Luciano Favero, terzino baffuto e rude, preso da Boniperti per quello che avrebbe dovuto essere uno scambio con la Lazio, in realtà poi non se ne fece più nulla e così, tra l'incredulità di tutti, sua per primo, resto' alla Juve, con il compito di sostituire niente di meno che un certo Gentile, campione del mondo.
Terzino vecchia maniera, randellatore, messo sulla destra dal Trap, con il semplice compito di fermare chiunque passasse da quelle parti, in qualsiasi modo, e di non oltrepassare mai la linea di metà campo. Considerando che dalla terrazza di casa mia, vedevo casa sua, e ci separava un pezzo di campo di frumento, ogni qualvolta vedevo la sua macchina arrivare a casa mi precipitavo dal mio amico e fratello minore, per vederlo, parlarci, chiedere qualche curiosità.
All'epoca ero un ragazzino di dodici anni, che aveva ancora negli occhi e nel cuore le emozioni di Spagna '82, primo ricordo del calcio dei grandi, e ritrovarmi un calciatore della Juventus vicino di casa e fratello del mio amico del cuore, sembrava una favola. Ovviamente lo seguivo, come si poteva fare in quegli anni, non c'era la pay tv o internet, ma radiolina, Novantesimo minuto e la Domenica sportiva.

Arrivarono i primi successi, italiani ed europei, ricordo con particolare tristezza la serata dell'Heysel, a quell'età non è che puoi capire tutto, ma l'ansia di quella sera la ricordo molto bene, e ricordo che di quella maledetta notte non volle mai parlami.
Mi portava autografi, qualche foto, ed era sempre disponibile. Ricordo che sua mamma, Bianca, sapendo della mia passione da ragazzino,  chiamava sempre mia mamma sul telefono di casa per dirgli che se volevo attraversare il campo, potevo andare che Luciano era arrivato. Mi sentivo importante pure io ad essere amico di un giocatore della Juve. Ragazzini... Era il 1986 e, la Juve trova il Real Madrid negli ottavi di finale di quella che al tempo si chiamava ancora "Coppa dei Campioni", la Juve perse uno a zero la gara di andata al Bernabeu, e ricordo che qualche giorno prima della partita di ritorno, Luciano mi disse se mi avesse fatto piacere andare coi fratelli a Torino, stadio Comunale, ad assistere alla gara di ritorno contro il Real Madrid, e se possibile incontrare qualche giocatore della Juve. Non credetti alle mie orecchie, scappai a casa di corsa, credo che se qualcuno mi avesse preso il tempo avrei battuto il migliore Bolt, chiesi a mia mamma, che ovviamente già sapeva, e che con un sorriso che solo una mamma può darti, mi disse certamente sì.
Non dormii più le notti precedenti a quella giornata.
Arrivammo a Torino nel tardo pomeriggio, entrammo allo stadio da dove solo i familiari potevano entrare, e poco dopo arrivò la squadra, diedi timidamente la mano a Platini', Cabrini, Tacconi, non toccavo nemmeno terra con i piedi.
Andammo a sederci nei posti riservati, ansia a mille. Era il Real Madrid di Camacho Chiendo, Hugo Sanchez, Butraguenho, Valdano. Comunale colmo, iniziò la partita, il cuore batteva a mille.
Ad inizio secondo tempo, l'apoteosi: Cabrini insacca su traversone di Laudrup e pareggia i conti. La Juve se la sta giocando, ma non arriva il secondo gol. Si va ai rigori. Inspiegabilmente io e i familiari in tribuna ci sentiamo sollevati. Luciano ha disputato la sua solita onesta partita, ed ora la responsabilità l'avranno i rigoristi, sì perché Luciano proprio non lo è.
Quando si è amico o parente di un giocatore ci si sente addosso gli occhi di tutti, sembra quasi che la gente sappia chi sei, e ti senti quasi responsabile per lui, una cosa strana, ma è così.

Iniziano i rigori. Parte Sanchez, parato da Tacconi. Poi Brio, parato pure quello. Butraguenho non sbaglia, è nemmeno Vignola, così come Valdano. A sbagliare è Manfredonia, Juanito segna e così si arriva al rigore decisivo. Ci si aspetta Platini o Serena, invece, davanti allo stupore di tutti, si vede Luciano lasciare il gruppo dei giocatori e avviarsi verso il dischetto.
Sembra uno scherzo, lui non ha mai tirato un rigore nemmeno in allenamento. Così penso che la favola, la serata perfetta sarebbe stata suggellata da un rigore del mio amico e vicino di casa.
Tremo tutto... rincorsa, tiro molle, debole fuori porta, Juve eliminata.

Incredibile, in un secondo mi è crollato tutto addosso, i commenti dei vicini di posto, la delusione, l'eliminazione della Juve.
Da quel momento, quella è stata la mia prima e più grande delusione sportiva, ho capito che le favole non esistono, e sono diventato grande in quella sera di Novembre. Ma resterà sempre nel mio cuore, perché servono anche queste cose.