In questi mesi tutti quanti abbiamo seguito assiduamente su ogni social, su ogni sito dedicato ma anche ad ogni bar o in ogni chat di what’s up la vicenda di questo passaggio di proprietà che riguarda la società Sampdoria. Tanto è stato detto, scritto, ipotizzato, discusso o sognato che altre parole sarebbero superflue.

Soffermarsi sullo attuale stato delle cose è diventato un semplice esercizio giornaliero di immagazzinamento informazioni nel tentativo di creare un nuovo capitolo ad una trattativa della quale si desidera solo un epilogo.

Questo desiderio potrebbe essere realizzato da un “ragazzo” perbene assieme a due Signori tutti da scoprire.

Dire qualcosa di Gianluca Vialli è sempre molto semplice; difficile trovargli qualcosa che non piaccia. Lui sarebbe il volto della società e nei pensieri che corrono nessuno, forse sul pianeta, sarebbe migliore in quella posizione.

Dinan e Knaster invece sono commercianti. Ce lo dice la loro storia imprenditoriale. Il commerciante fa bene due cose: compra a poco e rivende a tanto oppure compra un asset che gli serve per rivendere a tanto altri asset.

La Sampdoria rientra esattamente nel secondo caso. Pensare di acquisire una società di calcio per realizzare una plusvalenza è oggi giorno impensabile come prassi. Lo fanno in NBA per esempio dove però il modello di business sport-spettacolo è da anni radicato e segue di pari passo la crescita di un paese lontano anni luce dal nostro.

Le cifre strettissime, i bonus le peculiarità che generano l’attuale offerta per la Samp ci dicono, senza nessun dubbio di sorta, che siamo nel campo della trattativa di un commerciante che non lascia nemmeno un centesimo in più su un asset la cui redditività è troppo incerta.

Non sono fondi, come nel caso della proprietà del Milan, sono persone fisiche con patrimoni enormi e nella mente del tifoso questo conta in due sensi: stabilità finanziaria sul lungo termine (quello che ora non esiste) e possibilità di sognare traguardi più ambiziosi.

In questo secondo senso però le cose andrebbero immediatamente chiarite. La Sampdoria, come detto, rientra nel secondo caso quello in cui si acquista un asset per poter sviluppare un “contorno” di investimenti sui quali generare reddito. Immobiliare, porto (del resto diamo a Genova), infrastrutture e riviera turistica quelli sicuramente più papabili. Il concetto prendo una vetrina per poi poter accedere a  ed essere agevolato su una serie di operazioni. Nulla di veramente nuovo.

Siamo a Genova e in Liguria però. Qui è difficile mettersi d’accordo per rifare un poggiolo ad ogni Santa riunione di condominio. Una città in cui i grossi investimenti, se non soggettivamente remunerativi, sono visti come “ecco un altro che si arricchisce” e che non ne ha visti, ne realizzati ne voluti da anni. Una città in cui la media dell’età della popolazione ci richiama al passato più che al futuro. Una città in cui il genovesissimo “mugugno” è in grado di vincere e schiantare qualunque ipotesi di fattibilità di un progetto. Qui non esistono uova o galline non ci sono nemmeno i pollai.

Se questa nuova proprietà arriverà i traguardi ambiziosi di cui sopra saranno necessariamente legati a quello che si potrà fare con tutto il resto della ragione; saranno legati alla volontà di Genova di ricevere delle possibili migliorie e non di negarle a prescindere, saranno legati alla voglia della città di rialzarsi sul serio e non solo a parole accogliendo per una volta il cambiamento, positivo o negativo che sia.

Per realizzare un programma sportivo di successo, migliore e diverso da quello attuale, si dovrà necessariamente passare dalla capillarità di un progetto che per l’imprenditore deve essere a trecentosessanta gradi. Altresì, una volta finita questa vicenda, ritorneremo solo a parlare in termini grigi come: bilancio, plusvalenza, ammortamento e percentuali di rivendita. Il calcio, lo Sport, La Sampdoria vorremmo invece che tornino ad essere solo emozione.