“Quando vedo giocare Pirlo, quando lo vedo col pallone tra i piedi, mi chiedo se io posso essere considerato davvero un calciatore.”

In questa frase è racchiusa tutta l’umiltà di un uomo: Gennaro Ivan Gattuso nasce il 9 gennaio 1978 a Schiavonea, una frazione di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. Gennaro, che eredita il nome dal nonno, è il primo maschio di una numerosa famiglia di sole donne. Suo padre, Francesco, tifoso milanista, è stato un calciatore in Serie D, prima di diventare falegname. I primi calci li tira nel suo paese, poi si trasferisce a Perugia, nelle giovanili, dove esordirà prima in B poi in A. In seguito emigra per una stagione a Glasgow, sponda Rangers, per poi tornare in Italia, con la maglia della Salernitana, con cui retrocederà dal massimo campionato alla cadetteria.
Ma Rino è destinato a restare in Serie A, e così verrà acquistato dal Milan, realizzando il grande sogno del padre. In maglia rossonera vincerà tutto, diventando il simbolo della quantità, il simbolo della grinta, della volontà, che va oltre il talento, e può portarti ovunque. Per due volte sul tetto d’Europa con il Milan, in cima al mondo con la casacca azzurra, “Ringhio “ è quel tipo di persona che non si ferma davanti ad una difficoltà, ma neppure davanti a mille difficoltà: nel 2008 giocò una partita intera con il crociato rotto. Il suo “difetto”, che poi in realtà è quello che lo ha reso ciò che è, è l’eccessiva impulsività ed aggressività, che gli ha portato 144 cartellini nelle sue 537 partite giocate in carriera. Molti ricorderanno il “battibecco” avuto nel 2011 con il vice-allenatore del Tottenham durante gli ottavi di Champions League, che gli costò 4 giornate di squalifica.

Tuttavia Gattuso, crescendo, metterà da parte l’agonismo, divenendo maggiormente maturo e pacato, ma senza dimenticare la garra che lo ha reso “Ringhio”. Questo gli permetterà di intraprendere la carriera da allenatore. Carriera che risulterà più complicata di quello che si possa pensare: la prima esperienza è al Sion, in Svizzera, dove ha concluso la carriera da giocatore, ma durerà la miseria di 3 partite; poi il Palermo, probabilmente la peggior squadra per un allenatore in rampa di lancio, vista la tendenza del presidente Maurizio Zamparini a collezionare esoneri: e infatti l’esperienza del campione del mondo in terra siciliana si concluderà dopo sole 8 gare, venendo sostituito da Beppe Iachini che, ma lo dico solo per informazione, avrebbe poi vinto il campionato cadetto.

La carriera da allenatore sembra non decollare per Rino, ma lui, lo sappiamo, non è uno che si arrende facilmente e così il decollo avviene, ma è fisico, perché l’avventura successiva lo porta in Grecia, sulla panchina dell’OFI Creta, in prima divisione nazione, ma anche qui l’avventura sarà di breve durata, seppur maggiore di quelle affrontate in precedenza, concludendosi dopo 17 panchine. Così, dopo aver trascorso circa un anno di inattività, l’ex mediano torna nei radar, ma non lo fa da campione di tutto con club e nazionale, lo fa con l’umiltà che non lo ha mai abbandonato, nonostante i successi raggiunti, lo fa dalla Lega Pro italiana, all’ombra della Torre di Pisa. Stavolta il lavoro premierà il tecnico calabrese, che porterà il Pisa in Serie B al primo tentativo, battendo in finale il Foggia di un altro allenatore emergente, e meritevole di rispetto, come Roberto De Zerbi, ed io, essendo originario della provincia di Foggia, quelle due partite le ricordo molto bene. Quando anche la carriera da allenatore sembra decollare, però, a travolgere la nave di capitan “Ringhio” arrivano i problemi economici della società, che lo spingono ad abbandonare la sua ciurma. Strano, per uno come lui, ma le motivazioni sono condivisibili e verranno ampiamente esplicate nella conferenza d’addio, in cui dichiarerà la decisione “irrevocabile”, e anche questo non è propriamente da lui, tornerà sui suoi passi prima dell’inizio del campionato, lanciandosi in un’impresa disperata: quella di salvare un Pisa in grave crisi societaria, con calciatori e staff che non percepiscono diverse mensilità. Lui fa davvero il possibile, e, nonostante l’ultimo posto, con 39 punti, e la conseguente retrocessione, il suo Pisa si rivelerà essere la seconda miglior difesa del campionato, con sole 36 reti incassate. A fine stagione l’addio, stavolta definitivo, ai toscani.

Subito dopo la separazione con il Pisa, per Rino si riaprono le porte del Milan, la squadra per cui ha dato tutto, la squadra di cui era tifoso il padre, la sua squadra. Allenerà la primavera, ma per poco, perché a fine novembre 2015 verrà promosso in prima squadra, a seguito dell’esonero di Vincenzo Montella. Un sogno che si avvera per quest’uomo, che non ha mai mollato, è passato per le serie inferiori, ed ora si ritrova sulla panchina che avrebbe sempre desiderato. Tuttavia, la favola non si conclude qui, anzi, perché l’inizio dell’avventura rossonera è shock: il 2-2 a Benevento, agguantato dai campani all’ultimo secondo con Brignoli (il portiere, ma credo vi ricordiate tutti bene di quella rocambolesca partita) , con la conseguente pioggia di critiche sui calciatori e sul tecnico calabrese. Ma Gattuso non è proprio il tipo suscettibile alle critiche, e va avanti per la sua strada, riuscendo a rimettere in carreggiata un Milan che si rivelerà la terza miglior squadra del girono di ritorno dopo Juventus e Napoli, giungendo al sesto posto, si fermerà agli ottavi di finale di Europa League contro l’Arsenal, e raggiungerà la finale di Coppa Italia, pur perdendola malamente per 4-0 contro i bianconeri. Il bilancio è molto positivo e, anche se serpeggiano nell’ambiente critiche relative al calcio troppo difensivista e poco propositivo di Rino, la volontà di tutti è quella di proseguire anche per la stagione successiva.

Il Milan sta prendendo sempre più i connotati del suo mister e, fra alti e bassi, come l’eliminazione ai gironi in Europa League, e nonostante Ringhio si trovi nuovamente a fronteggiare problemi economici, in questo caso inerenti al fair play finanziario, e nonostante il cambio di proprietà che vede il misterioso Yonghong Li cedere le quote al fondo Elliot, non potendo saldare il prestito richiesto, i rossoneri si trovano a metà stagione al quinto posto, vicini all’obiettivo Champions. Purtroppo però sarà quella la posizione finale, poiché ad un periodo di vittorie seguirà un periodo nero post-derby, e nonostante ciò il Diavolo arriverà ad una sola lunghezza da Atalanta ed Inter, rispettivamente terza e quarta. Tuttavia le critiche di cui abbiamo già parlato nella prima stagione si fanno ancor più pesanti, con l’allenatore ritenuto primo responsabile del fallimento Champions. Così, con un ennesimo atto di onestà, Gattuso rescinde consensualmente il contratto, lasciando spazio al bel calcio di Marco Giampaolo…

Il periodo da disoccupato dura ben poco, perché l’11 dicembre dello stesso anno Rino viene scelto da Aurelio De Laurentis come nuovo allenatore del Napoli, dove avrà l’arduo compito di succedere al suo maestro, sia come calciatore che come allenatore, Carlo Ancelotti. Il Napoli in quel momento è una “cortina di ferro” (prendo in prestito la locuzione usata da Winston Churcill riguardo al conflitto fra l’Oriente e l’Occidente nel periodo durante la cosiddetta “Guerra Fredda”). Il tecnico calabrese, ve ne sarete accorti, non ama le sfide semplici, anzi, sembra avere un’attrazione naturale verso le difficoltà: la strada in Campania è in salita, con un Napoli in caduta libera e che non vince da quasi due mesi in campionato ed uno spogliatoio in pieno conflitto. Il cambio di rotta non è immediato, ma avviene, lo spogliatoio si ricompatta attorno al campione del mondo, e i partenopei riusciranno a salvare una stagione che sembrava fallimentare giungendo in Europa, seppur non in Champions League, e soprattutto strappando ai calci di rigori la Coppa Italia alla Juventus dell’ex pupillo Maurizio Sarri. Inoltre gli azzurri sfioreranno il miracolo della qualificazione ai quarti di Champions, traguardo mai raggiunto nella loro storia, venendo fermati soltanto da Messi, che li regolerà per 3-1 al Camp Nou, dopo l’1-1 del San Paolo pre-lockdown.

A Napoli Gattuso si è preso la sua rivincita, contro chi lo criticava, definendolo un semplice motivatore, incapace di dare un gioco alle sue squadre, con un inizio di stagione da incorniciare, fatta eccezione per la parentesi nera, di cui non parlerò, perché non si tratta minimamente di calcio, o quantomeno di quello che io intendo per questo sport, della polemica per la gara contro la Juventus. Il trionfo di sabato per 4-1, contro l’apparentemente infermabile Atalanta di Gian Piero Gasperini, è solo il culmine raggiunto fin ora dai partenopei, pronti ad una stagione da assoluti protagonisti.

Grazie Ringhio, da tifoso juventino, per averci insegnato cosa siano il duro lavoro, l’umiltà, i sacrifici, come porsi sempre con tenacia di fronte ad ogni ostacolo, perché prima che un professionista esemplare, tralasciando qualche follia dettata dall’agonismo, quando eri in campo da calciatore, sei un uomo, un esempio per tutti. Grazie Ringhio, per averci insegnato tutto ciò, in un mondo, nello specifico quello del calcio, che da troppi anni pullula di persone desiderose soltanto di arricchirsi, senza guardare in faccia a niente e nessuno, neppure allo sport stesso.