Un pareggio in casa del Bournemouth, una sconfitta, tra le mure amiche dell’Emirates, per mano del Chelsea, poi, finalmente, la prima vittoria sempre a Londra contro gli acerrimi Red Devils, targata Pépé e Sõkratïs.

L’avventura di Mikel Arteta sulla panchina dei Gunners, e la rinascita dell’Arsenal nel suo nome può davvero cominciare.

Sì perché l’impressione è, che con l’arrivo dei primi tre punti, dalla cenere possa rinascere una fenice cannoniera gagliarda, si possa posare la prima pietra nel processo di ricostruzione dell'essere Gunners, in barba agli scettici che evidenziano l’inesperienza dello spagnolo e bollano la sua esperienza nella veste di assistente alla corte di Guardiola come small things, robetta.

“Chi vivrà, vedrà. Doveva inseguire il suo sogno”, ha commentato Pep, quando ha saputo che il suo allievo stava per accettare la sua prima sfida.

Una sfida difficile, pericolosa, perché identitaria. I Gunners sono attualmente al decimo posto, hanno ancora addosso i segni di ciò che è stato l'Arsenal negli ultimi anni, della disfatta Emery, una vera è propria Waterloo per gli equilibri dello spogliatoio.

Solo ad ottobre Granit Xhaka gettava la sua fascia di capitano, poi definitivamente persa, reagendo ai fischi dei tifosi con un clamoroso “f ** k off” . Poi Aubameyang accusato di essere a capo di una faida interna allo spogliatoio intenzionata a far crollare l'ex Siviglia e Psg, le vicende legate all’aggressione di Kolasinac e Ozil.

Insomma, la sensazione, prima dell’arrivo di Arteta, era che all’Arsenal mancasse tutto: equilibrio, motivazione, professionalità, condizione d'esistenza. Il basco, però, di un carattere forte che lo ha sempre contraddistinto, non ha disdegnato l’ipotesi di indossare ancora quel biancorosso che avevo messo su quando ancora dettava geometrie in campo. È tornato.
È tornato per mettere inizio ad una storia perfetta, il figliol prodigo, cristallizzazione del passato e futuro mood Gunners, che fa nascere un nuovo sentimento di appartenenza. È qualcosa che abbiamo già visto con Guardiola al Barcellona, con Zidane al Real, con Lampard al Chelsea.

“Chi vivrà, vedrà” è vero, ma ciò che abbiamo sentito nel passato di Arteta ci restituisce una proiezione positiva di quello che potrà essere il suo cammino. A Manchester ci hanno raccontato del suo impatto da allenatore in seconda, dell’importanza avuta nella crescita di Sterling grazie ad un rapporto quasi simbiotico con l’inglese.

“È stato un punto di riferimento per tutti i giocatori del Manchester City, chiunque voleva spiegazioni sul lavoro fatto in allenamento, oppure intendeva crescere in un certo aspetto del proprio gioco, sapeva di potersi rivolgere a lui», non è altro che la conferma di Gabriel Jesus sul suo conto.

Lo stesso Wenger si diceva affascinato dall’occhio dell’Arteta giocatore per i più piccoli dettagli del gioco, permettendogli, addirittura, di partecipare come tecnico ad alcune sedute di allenamento.

Capirete che stiamo parlando di una figura totalizzante, un accentratore di attenzioni, un dogmatico, tutto ciò che serviva all’Arsenal: regole e guida intransigente contro la confusione preesistente.

Nell’avventura di Arteta la ricostruzione dell’Arsenal, la sfida, per altri impossibile, di restituire ai Gunners un’identità forte che possa scacciare il fantasma e l'incubo di un’esistenza fatalista, ovvero curare l’Arsenal dall’essere Arsenal e trascinarlo, finalmente, nel calcio moderno fatto di gioco, spettacolo e vittorie.