Poca sorpresa per questo ritorno al calcio "pubblico" in campionato, dopo un anno e mezzo di porte chiuse o giù di lì e dopo, soprattutto, gli Europei fortemente voluti che, al netto di investimenti petroliferi o cinesi dovrebbe convincere i campioni a tornare in Italia nella consapevolezza che ivi si gioca un calcio di prim'ordine. E' anche una giornata che si inscrive in una epoca di dubbi, soprattutto sulla tenuta alla base di idoli che per troppo tempo hanno dominato il palcoscenico della palla-piede. Messi sta affrontando una nuova esperienza, per la prima volta, su una scena che non sia il Barcellona e sottovoce ci si chiede se riesca a ripetere certe celebri gesta. Ronaldo sta chiedendosi, amleticamente, se sia meglio accettare la panchina bianconera senza reagire, piuttosto che cimentarsi in diverse intraprese che, data la fase avanzata della carriera, non darebbero certezza di successo; anzi, ne lederebbero in qualche modo una popolarità che fino a poco tempo fa sembrava inossidabile. Gli eredi di questo blasone - M'Bappè in testa - al di là di un doveroso "the show must go on", non ritengo in grado di scaldare gli spalti al pari dei già detti.

Su queste malinconiche premesse si apre, appunto, lo scenario calcistico europeo in generale e italiano in particolare, dove l'Internazionale, dopo i rodimenti e i patimenti dei nove scudetti di seguito degli eterni avversari, alza subito la voce sconfiggendo il Genoa, dando luogo alla vittorià più netta della prima giornata. Seguono, anche se meno vistosamente, le romane, i soliti bergamaschi Gasperin-dipendenti, un Milan pioliano seppur di misura a Marassi, con l'altro versante della lampara. Il Sassuolo si conferma pur senza Locatelli, un Napoli di normale amministrazione in casa col Venezia e mi scusi il resto. In questo sottolineerei l'esordio della Fiorentina commissiana con un allenatore in ascesa e già autore del miracolo della salvezza dello Spezia a stagione avvenuta: una società che ancora, però, non dispone di quel volume pecuniario in grado di farle sostenere un campionato insidioso per le prime della classe.
Molti aspettano la Juventus, come da copione acerrima concorrente nerazzurra. Ma c'è il pensiero che se anche l'Inter di quest'anno mantenesse la costanza di profitto dell'anno passato, un punto seppur minimo, pur senza sembrare decisivo, getterebbe almeno un'ombra di dubbio sulla capacità di Allegri di promuovere la riscossa su basi, prevalentemente, già poste da altri. La Juve pareggia con un Udinese in rimonta e vano sarebbe addossare la sola responsabilità alla guasconeria del suo portiere. I giocatori la squadra li ha. La struttura viene impostata dal redivivo coach, per l'ottanta per cento, bene. Dybala come timone viene azzeccato. Ma orfani di Pirlo (giocatore) e Pjanic, i bianconeri perdono non la spinta o il colpo di classe, ma la direzione e i tempi e il dettato del gioco. Buona è l'idea di far riposare Ronaldo per un tratto per accrescerne le motivazioni e la densità delle giocate.
Personalmente scioglierei a malincuore il quintetto che ha collaborato decisivamente per la Nazionale: Bonucci-Chiellini-Locatelli-Bernardeschi-Chiesa, sebbene così subentrino problemi sull'utilizzo del giocatore che più ha brillato nelle recenti stagioni juventine. Cuadrado, insieme a Dybala, costituisce un magico affiatamento. E' nella riduzione di questo dubbio, tra una Juve simil-nazionale e una tradizionale, inscindibile dalla coppia Cuadrado-Dybala, che sta per giocarsi l'assalto alla corona interista.