Giocare contro un avversario che non c’è e addirittura segnare un gol.
Non si tratta di un allenamento con le sagome, ma di una vera e propria partita di calcio disputatasi in 11 contro nessuno, quindi contro un fantasma. Il 21 Novembre 1973 era in programma la partita tra Cile e URSS (l’ex Unione Sovietica) allo Estadio Nacional di Santiago del Cile - valevole per l'accesso alla fase finale del Mondiale 1974 in Germania - e successe un qualcosa che nessun giocatore o spettatore avrebbe mai potuto immaginare. Tuttavia procediamo per gradi affinché si possa comprendere cosa successe veramente quel giorno, un avvenimento che passerà alla storia, oltre che per i fatti in sé, soprattutto per il segnale dall’enorme valenza politica, in cui il calcio era solo un mezzo attraverso il quale imporre la propria autorità, il proprio potere e farlo vedere al resto del mondo.

È importante l’antefatto storico per inquadrare al meglio la vicenda.
L’11 settembre del 1973 con un violento golpe - colpo di stato - il generale Augusto Pinochet prese il potere rovesciando il governo presieduto dal capo del partito di Unidad Popular (Unità Popolare) Salvador Allende ed instaurando una dittatura militare anticomunista. Decisivo fu l’ “occulto” supporto della CIA, che voleva impedire a tutti i costi il cosiddetto “incubo socialista”, beneficò anche del benestare del governo retto da Nixon dato che il Palazzo Presidenziale, in cui morì con tutta probabilità lo stesso Salvador Allende (in merito al decesso di quest’ultimo esistono varie versioni, tra le quali c’è chi riporta che costui si suicidò pur di non farsi catturare dai militari), fu bombardato da aerei USA. Troppo importanti per gli americani erano le riserve minerarie e petrolifere cilene, che Allende aveva nazionalizzato per cercare di risollevare il paese in piena crisi economica.
La repressione avvenne nel sangue per destabilizzare la consolidata supremazia di Unidad Popular molto radicata nel paese. Iniziarono le torture e l’eliminazione degli oppositori politici e l'Estadio Nacional si trasformò in quei giorni in un vero e proprio mattatoio, purtroppo le vittime erano persone, uomini, donne, ragazzi, bambini, che non sarebbero mai più ritornati a casa dai loro cari trovando la loro tomba in quello che doveva essere un luogo di divertimento e svago.
Lo stadio era diventato un gigantesco campo di concentramento per chi aveva idee diverse da quelle del generale, gli spogliatoi diventarono camere di tortura e di fucilazione, sugli spalti le emozioni di una partita di calcio si tramutarono in paura e sconforto per tanti che scomparvero nel nulla. I condannati cileni sotto la dittatura di Pinochet, nelle cifre stimate ed attendibili, furono complessivamente 130.000, di cui 40mila desaparecidos. Una delle pagine più brutte della storia dell’uomo in un delirio ideologico senza senso.

In questo scenario così drammatico la nazionale di calcio cilena si ritrovò ad affrontare lo spareggio per approdare alla fase finale della Coppa del Mondo in Germania nel 1974 contro l’URSS. Quell’anno i gironi europei di qualificazione erano nove, i primi otto promuovevano la vincitrice direttamente, mentre la vincitrice del nono era costretta ad uno spareggio con la vincitrice di uno dei gironi della Conmebol (capitò quello del Cile che assurdamente comprendeva solo lei ed il Perù). L’andata si disputò a Mosca il 26 settembre 1973, pochi giorni dopo il golpe, ed il risultato fu un pareggio a reti inviolate. Lo 0-0 dava una grossa opportunità alla nazionale sudamericana che avrebbe avuto la possibilità di staccare il biglietto per la Germania giocando il ritorno in casa a Santiago del Cile. Nel frattempo, però, la situazione politica mondiale era precipitata e l’URSS chiese alla Fifa, presieduta da Stanley Rous, di far giocare la partita in campo neutro o in caso contrario non si sarebbe recata in Cile. Prima dell’arrivo degli ispettori inviati dalla Fifa, i militari in fretta e furia spostarono tutti i prigionieri politici via dagli spalti e ripulirono lo stadio. Ma il sangue non si smacchia così in fretta, il sangue degli innocenti non lo cancelli mai fino in fondo. Le verifiche furono positive e la richiesta di campo neutro fu respinta al mittente senza alcuna motivazione ufficiale, ma in realtà ufficiosamente la massima federazione internazionale non voleva inimicarsi i potenti regimi dispotici presenti nel panorama geopolitico internazionale, al fine di non incrinare i delicati rapporti tra sport e politica, il tutto infischiandosene dei diritti umani.

Nonostante l’assenza della nazionale sovietica Pinochet – nella sua follia senza limiti – ordinò che la partita si sarebbe dovuta disputare ugualmente, anche senza gli avversari di quel giorno. All’allenatore Luis Alamòs toccò l’ingrato compito di comunicare ai propri giocatori questa infame decisione e spiegò loro che all’azione di gioco avrebbe dovuto partecipare tutta la squadra, mentre a Francisco Valdes, capitano e idolo del Colo-Colo, sarebbe toccato lo squallido onere di segnare il gol decisivo a porta vuota, il gol più vergognoso della storia del calcio. Il giorno 21 Novembre 1973 la pantomima, con contorni macabri ed assurdi, andò in scena allo Estadio Nacional di Santiago del Cile. Lo stadio era stracolmo in ogni ordine di posti, una vera e propria idolatrazione divina del regime. Al fischio d’inizio dell’arbitro austriaco i giocatori cileni iniziarono la farsa, dopo una fitta rete di passaggi, come da copione Valdes mise la palla in rete, ma soprattutto pose fine all’agonia. Al rientro negli spogliatoi molti giocatori si sentirono male, il capitano Valdes, autore del gol, andò in bagno a vomitare e non ritornò in campo per la partita amichevole contro il Santos – nonostante l’assenza di Pelé la nazionale andina fu umiliata con un 0-5 – organizzata in sostituzione a quella ufficiale. Valdes figlio di operai e i cui valori erano ben distanti da quelli che quel giorno aveva sostenuto si sentì violato per quello che fu costretto a fare. Anni dopo Carlos Caszely (la cui madre fu sequestrata e violentata dagli uomini del regime), centravanti della nazionale, di estrazione socialista ed aperto sostenitore di Allande che non strinse mai la mano a Pinochet, parlando di quella partita si definì un vigliacco perché non riuscì ad aiutare il suo amico e capitano: avrebbe voluto mettere la palla in fallo laterale così nessuno avrebbe potuto rimetterla in gioco, purtroppo la paura prese il sopravvento e non ebbe il coraggio. Quella nazionale passerà alla storia come la squadra di Pinochet, quel giorno il calcio era stato usato come strumento di propaganda di un regime sanguinario.

Per la cronaca il risultato omologato dalla Fifa fu 2-0 a tavolino (come da regolamento in caso di forfait di una delle due squadre) in favore del Cile. Inoltre, tecnicamente il gol farsa si sarebbe anche dovuto annullare per fuorigioco – strano a dirlo dato che la partita non sarebbe neanche dovuta cominciare – poiché i passaggi, avvenuti nella metà campo avversaria, erano fatti in avanti al giocatore più avanzato che non era tenuto in gioco da nessun avversario (ci devono essere almeno due difendenti fra la linea di fondo ed il giocatore che riceve il passaggio).
Però mi domando, chi avrebbe potuto evitare tale obbrobrio? L’URSS non mandò la sua squadra in Cile.
Il gesto sicuramente è da apprezzare, ma c’è da dire che avevano accettato di giocare, ma in campo neutro. Inoltre all’andata (15 giorni dopo il golpe) scesero in campo nonostante tutto il sangue versato. Le uniche azioni che attuarono furono mere schermaglie: crearono problemi ad i giocatori, per dissomiglianze con la foto nel passaporto, prima di farli entrare nel paese, misero a disposizioni alberghi scadenti e fornirono pasti miseri. Avrebbero potuto prendere una posizione molto più netta.
È più ipocrita chi fa giocare contro nessuno o chi distingue fra dittature? Continuando nell’analisi della vicenda risulta chiaro come in primis le responsabilità siano da attribuire alla FIFA, rea di non aver squalificato il Cile, o almeno imporre un campo neutro, ma la cosa peggiore sicuramente è stata quella di prestarsi alla falsa di una partita fantasma.

Un altro protagonista che poteva ribellarsi a tutto ciò era l’arbitro austriaco, si sarebbe potuto non presentare o avrebbe potuto non fischiare l’inizio di quell’aberrante contesa rendendosi di fatto complice del regime.
Infine i calciatori furono i protagonisti più discussi: vittime o complici? Avrebbero potuto protestare non scendendo in campo, oppure come rivelò Caszely avrebbero potuto far naufragare i piani del regime buttando il pallone fuori dal campo. Certo non oso immaginare le conseguenze nefaste del dissenso, ma sarebbe stato un segnale di grande valenza di libertà, libertà dello sport che non può e non dovrebbe mai essere usato per scopi politici. Il bello del calcio, e dello sport in generale, è che nella competizione sportiva, in un campo, in una pista, o quello che sia, si è tutti uguali, chiunque può vincere e perdere, ma sempre nel rispetto delle regole e del prossimo.
Non ho la presunzione di giudicare il comportamento dei calciatori cileni, anche perché sarebbe troppo facile farlo dietro una scrivania protetto dalla trincea scavata dalla tastiera e dallo schermo del pc, tuttavia mi auguro che ciò che è stato e quindi è irrimediabilmente incontrovertibile possa servire ad evitare tali soprusi nei confronti dello sport che troppo spesso è macchiato da sangue ed atrocità di ogni genere.