Erano settimane che aspettavamo quella partita, io e mio fratello, di due anni più grande. Lui tifoso della Juventus, io in via di definizione. Non eravamo mai stati a un evento sportivo dal vivo, quindi non stavamo più nella pelle. Mio padre non era tifoso di una squadra in particolare. Gran lavoratore, all’epoca era impegnato anche il sabato e la domenica mattina. Seguiva lo sport in televisione, appassionato di box aveva ceduto alle nostre insistenze e, per accontentarci, tramite un collega di lavoro, si era procurato tre biglietti per Inter-Juventus, partita in programma il giorno 01-03-1970. 

Fino ad allora per me il calcio era quello che giocavo con i miei amici nei campetti sotto casa, con poco talento ma tanta gioia. Poi c’erano le immagini. Vecchio televisore, un Radiomarelli con un manopolone per sintonizzare il primo e il secondo canale, solo quelli, dove la domenica sera si vedevano i gol. Lello Bersani, poi Alfredo Pigna, presentatori della “Domenica Sportiva”, erano di famiglia e ci raccontavano settimanalmente gli eventi sportivi.
Poi c’era la radio: “Tutto il calcio minuto per minuto”. Il titolo di una delle più belle favole che si potesse vivere all’epoca, grazie alle voci che ti raccontavano con enfasi e trasporto gli incontri di calcio. Andava in onda la domenica pomeriggio, a partire dal primo minuto del secondo tempo. 45' minuti imperdibili.
Una volta sintonizzata la radio a transistor celeste, sul frigo in cucina, si aspettava di sapere come erano finiti i primi tempi. Solo chi era allo stadio poteva saperlo prima. Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Alfredo Provenzali, Emanuele Giacoia, Claudio Ferretti etc. etc., come una formazione di calcio e dallo studio Roberto Bortoluzzi. Idealmente si passavano il pallone, tra un gol e l’altro, tra un’azione pericolosa e un cambiamento di risultato. Insomma, ci si immaginava tutto grazie alle descrizioni di queste voci calde e fantasiose, che non lesinavano dettagli. Dal “ventilazione inapprezzabile” di Ciotti, a “Nel campo per destinazione” di Ameri. Erano dei cantori, creavano delle favole sportive che facevano sognare.
Poi c’erano i quotidiani, sportivi e non, che anticipavano le formazioni la domenica mattina. Tra questi “Il Giorno”. Questo quotidiano mi affascinava perché aveva una prerogativa unica per l’epoca, le fotografie a colori. Per me lo sport professionistico ed in particolare modo il calcio, era essenzialmente in bianco e nero, come lo vedevo in TV e vedere delle immagini a colori aveva un fascino particolare. Soprattutto in occasione del derby di Milano o il derby d’Italia, “Il Giorno” pubblicava a piena pagina, nell’ultimo foglio, le foto a colori della formazione tipo delle due squadre. Avevano un sapore particolare, come di vecchie foto in bianco nero, ritoccate a colori, almeno io me le ricordo così. Grande impatto, la fantasia volava guardando le maglie, i visi e forse anche la postura dei calciatori, che ho sempre trovato curiosa, soprattutto quelli in prima fila accosciati, cosa che oggi non si fa più. Insomma, in un’epoca che non aveva molti passatempi, queste immagini mi facevano sognare.
Poi, leggendo le formazioni con gli amici, si prenotava il proprio nome: “Questa settimana, al campetto, io sarò Anastasi”, “io Mazzola”, “io Bedin”… Un piccolo mondo fatto più di fantasie che di fedele realtà. “Oggi vado allo stadio con mio fratello e mio papà, da domani cambierà tutto”, pensai.

Mio padre ci teneva per mano, arrivammo a piedi, migliaia di persone, mai visto niente del genere. Nonostante fosse il primo Marzo era una giornata grigia, fredda e con po' di nebbia. Una Milano di tanti anni fa. La prima cosa che mi colpì furono i tifosi in gruppo che, con le sciarpe colorate e festanti, si avvicinavano ai cancelli. Vicino a questi c’erano dei Carabinieri per l’ordine pubblico, tutto bello, meraviglioso, uno spettacolo in attesa di tutto il resto. Una volta passato il cancello, iniziammo a salire la rampa che portava al nostro settore. Man mano che salivo, sbirciando attraverso le strutture in cemento dello stadio, iniziavo a vedere porzioni del campo da gioco, verde, intensissimo, ma soprattutto a colori. Biglietti popolari, curva, i più economici.
Una volta arrivati all’accesso ai posti a sedere, dei gradoni in cemento non numerati, freddi, mi resi conto che molti tifosi avevano una cosa che non avevo mai visto. Un cuscinetto pieghevole, con i colori della propria squadra, interno in gommapiuma per rendere più confortevole la seduta. All’epoca, in assenza di posti numerati, si arrivava parecchio prima, per trovare un posto migliore e lo si difendeva con le unghie, senza quasi andare al bagno per evitare di trovarsi senza posto. La cornice era meravigliosa, voci, cori, ma soprattutto colori. I tifosi erano allegri, non ricordo sfottò particolari, forse ci furono, ma non li ricordo, uno spettacolo nello spettacolo. Nell’attesa passavano degli omini con blusa bianca e cappellino. Appesa al collo tenevano una cinghia che sorreggeva un vassoio e ripetevano a cantilena “AmaroBirraeCoca” come fosse una parola unica e “bruscolini” una specie di snack dell’epoca a base di semi di zucca, che venivano acquistati in gran quantità. Lo speaker dello stadio, le formazioni scandite con tono solenne, l’immancabile pubblicità di “S…k 84 - il brandy degli sportivi”, la stessa di “Tutto il calcio minuto per minuto.”  Poi, all’improvviso, le squadre in campo. Il nero e l’azzurro, il bianco e il nero, incredibile.
A guidare gli uomini il nero dell’arbitro, colore severo e rispettoso. Li riconosco: Mazzola, Anastasi, Facchetti, Morini, Corso, Cuccureddu, Suarez…sembravano dei gladiatori in campo e la gente impazziva sugli spalti. Nella bolgia non capivo più niente, colori, colori, colori, ero felice e riconoscente a mio padre, che aveva sacrificato la sua mezza giornata di riposo settimanale per accontentare i suoi figli.

Inter-Juventus del primo marzo 1970 finì 0-0… la più bella partita della mia vita!