Si può sostenere che le persone sono da sempre inclini a sforzarsi di vedere l'ordine dove in realtà c'è il caos. I pensieri di Tolstoj sulla storia militare in Guerra e Pace sono più o meno le battaglie gigantesche e orribili in cui tutto può succedere. Poi chiedendo ai superstiti degli scontri, spesso gravemente feriti, cosa sia realmente accaduto, di solito dichiarano che chiunque avesse avuto la fortuna di rimanere in piedi era un genio. Quindi Napoleone non ha smesso di essere un divino genio con una forza inarrestabile quando ha raggiunto Mosca; e, come molti hanno pensato, ad un certo punto la serie fortunata del generale è semplicemente finita. È tutto una questione di percezione.

Non voglio paragonare Ole Gunnar Solskjaer a Napoleone. Ma vorrei suggerire, tuttavia, che poche cose nel mondo sono soggette a così tanti tentativi continui di inquadrare gli eventi in narrazioni come il calcio. Da tempo si parla che il Manchester United è in crisi. Certo, nessuno può contestare che negli ultimi sei anni il club non è riuscito a raggiungere quei traguardi di eccellenza a cui tutti eravamo oramai abituati sin dagli albori della Premier League. Comunque, non è stato un periodo di rovina e distruzione continua come molti vorrebbero far credere. I Red Devils hanno comunque vinto tre trofei in questi sei anni, sono stati quattro volte in Champions League e nel 2017/18 hanno ottenuto un secondo posto inaspettato ed ottenendo più punti di quanti ne bastarono per vincere il campionato nel 1999 o in altre stagioni. Ciò che rende gli ultimi anni imbrattati dalla delusione è il fatto ampiamente riconosciuto che i loro allenatori in questo periodo sono stati in gran parte disastrosi. I nomi di David Moyes, Louis van Gaal e José Mourinho sono sufficienti a far rabbrividire molti tifosi dello United: sono nomi associati alla mediocrità che il club sembra non riuscire a scuotere. Dopo un inizio molto promettente, Solskjaer rischia di unirsi a loro.

Le fortune – o sfortune – dello United nella maggior parte di questi interregni sono state stranamente altalenanti: a momenti magici e serie record record si sono mescolati abietti fallimenti. Ad esempio, Juan Mata segnò dopo un’azione con 45 tocchi di palla consecutivi sotto la gestione Van Gaal; oppure nella prima stagione di Mourinho ci fu un record di imbattibilità di 25 partite; insieme alle famose vittorie europee contro Juventus e Paris Saint-Germain della scorsa stagione. Il breve periodo di Solskjaer è stato il più strano finora: ad una prima parte sorprendente (10 vittorie e 2 pareggi nelle prime 12 partite), il miglior esordio di un allenatore di Premier nella sua storia, ha fatto seguito una seconda parte patetica con 2 sole vittorie nei restanti 9 match, che hanno compromesso le possibilità di accedere alla prossima Champions League. E la stagione è finita anche con una disonorevole sconfitta in casa contro il retrocesso Cardiff. Tutti questi vincitori seriali (Moyes non ha mai vinto nulla ma fece molto bene sulla panchina dell’Everton portando il club a quattro qualificazioni europee, di cui una in Champions League, e ad una finale di FA Cup), che avevano sollevato i più grandi trofei altrove, sono semplicemente sprofondati nella maestosità dell'Old Trafford, lasciati senza speranza fin dall'inizio operando nell'ombra di Ferguson, o hanno anche fallito in una certa misura perché il mondo del calcio pensava che stessero fallendo?

Subito dopo l’esonero di Louis van Gaal sono emersi retroscena molto interessanti su come tutto lo spogliatoio era contro di lui. L’olandese è sempre stato un personaggio alquanto bizzarro ed eccentrico con metodi a volte molto duri. Di lui Luca Toni una volta disse che si calò i pantaloni davanti ai suoi giocatori per far capire che servissero “attributi”. Nel suo periodo al Manchester avrebbe mandato per e-mail video personalizzati ai suoi giocatori e persino le conferme di lettura quando era chiaro che molti di loro non stavano aprendo i messaggi. Chiamatemi un cinico, ma se stai intascando centinaia di migliaia di sterline alla settimana per giocare a calcio e il tuo capo ti invia alcuni suggerimenti su come farlo meglio, non dovresti almeno guardarli? Un altro motivo di discordia era la mole di lavoro, ritenuta eccessiva dai giocatori, nel periodo di ritiro prima della stagione, che consisteva in due sessioni di allenamento al giorno, videoconferenze e discussioni tattiche. Oltre ai metodi di allenamento c’era malcontento anche per la rigida dieta imposta. Il rapporto quindi sin dall’inizio non è mai decollato. Fu inevitabile che la colpa delle sconfitte e dei cattivi risultati in Champions fossero addossati unicamente al tecnico olandese. Se fossi un giocatore e il mondo intero incolpa il mio allenatore per una serie di risultati mediocri, probabilmente lo incolperei anche io prima di guardare i miei sbagli. Chi non lo farebbe? In fondo, la maggior parte di noi è un soldato che cerca la via più sicura attraverso il vasto e complesso mostro che è la vita.

Se sei un grande calciatore e praticamente ogni cosa che fai è scrutata, elogiata o criticata da migliaia di persone sui social media, potresti davvero scrollarti di dosso quel peso di opinioni o ignorarle? Sento tante chiacchiere di presunti esperti su come i giocatori non dovrebbero lasciarsi influenzare da ciò che accade all’esterno e che il modo migliore per rispondere è sul campo, ma io penso che sono esseri umani. Certo, i calciatori a volte vengono esaltati come dei dalle folle, acclamati come eroi negli stadi, ma proprio come noi sono esposti agli stessi sentimenti 24 ore al giorno. Con l’aggiunta che tutto ciò è ingigantito dai social media e psicologicamente deve essere tutto un po’ soffocante. Convivere costantemente con questa pressione non è facile. Una reazione perfettamente umana è quella di proteggerci dalle critiche e dalla frustrazione nascondendosi dietro gli altri. Una parte del lavoro di un allenatore di calcio è sempre stata quella di agire come un parafulmine ed assumersi tutte le colpe.

Mentre i social media sono un forum globale per discutere e persuadere, in realtà finisce per amplificare punti di vista diffusi al punto che sono quasi considerati come fatti. Basta ricordare in che modo le persone hanno spinto lo United a nominare Solskjaer come allenatore permanente durante la sua partenza vincente. Alla fine così è stato. Dall’idea iniziale di tecnico ad interim fino a fine stagione si è passati al prolungamento del contratto per le stagioni successive. Il consenso però può cambiare improvvisamente, e la competizione per i like online fa sì che grandi quantità di persone si affrettino a far sapere al mondo che hanno cambiato idea; compresi i giornalisti famosi. Quello che è nero diventa bianco, raramente c'è spazio per il grigio. Proprio come i grandi club possono barcollare da periodi di grandezza a crisi, il Trono di Spade era considerato come un capolavoro, ma la sua stagione finale è stata ridicolizzata; anche quando la gente aveva solo guardato i primi episodi.

Solo un grande calciatore potrebbe davvero spiegare cosa vuol dire giocare con un allenatore che il mondo intero pensa sia prossimo all’esonero. Accusare i giocatori delle prestazioni scadenti di una squadra, perché magari non si allenano bene o perché non gli importa nulla dei risultati, sarebbe troppo semplicistico. Quante persone si concentrerebbero davvero solo su una bella busta paga e non proverebbero nulla per la vergogna della sconfitta e per essere associate a fallimenti agli occhi del mondo? Ciò che accade a un livello psicologico più profondo è interessante. Infatti potresti inconsciamente mollare se sai che il tuo allenatore fosse il principale imputato del fallimento. Ciò solleva un'interessante domanda su José Mourinho, che all'inizio della sua carriera era noto per l'incredibile capacità di motivare i suoi giocatori. Era semplicemente incapace di motivare i giocatori sul finire della sua avventura all'Old Trafford, o era proprio il caso che i giocatori non rispondessero adeguatamente ai suoi stimoli data la percezione di fallimento che dall’esterno si avesse di lui? È interessante notare che Van Gaal e Mourinho hanno entrambi elogiato la fedeltà dei tifosi del Manchester United, ma entrambi sembravano aver “perso lo spogliatoio” sul finire dei loro regni. Forse i giocatori si sono ammutinati in modo indipendente, ma sembra possibile che la visione negativa che il mondo aveva dei loro manager si fosse permeata nelle proprie prospettive.

Quando Solskjaer si stava godendo il suo primato da record all'Old Trafford, la semplicità del suo approccio con i media era strabiliante. Sembrava rispondere a tutte le domande poste dalla stampa con un sorriso e un riferimento al “noi siamo il Manchester United”, lasciando intendere che credeva in una sorta di grandezza intrinseca dei suoi giocatori che emanavano indossando la maglia dei Red Devils. Per un po’ ha funzionato ed erano inarrestabili. Ma in una strana somiglianza con la storia dei suoi predecessori, il dubbio si è trasformato presto in disperazione. Forse il punto cruciale del problema è che i riferimenti di Solskjaer al “noi siamo il Manchester United” non erano convincenti, soprattutto per il fatto che nessuno era abbastanza sicuro di ciò che il Manchester United rappresentasse e rappresenta attualmente. Qui sta il punto.

Sebbene nell'era della Premier League abbiano dominato per due decenni e sarebbero tanti i motivi per ricevere apprezzamenti, ciò nonostante la ribalta dei rivali locali del City è stato il metro di giudizio sul quale si ci è basati. Con i mezzi finanziari messi in campo dagli sceicchi sarebbe stato difficile competere per chiunque, maggiormente se non si ha una filosofia chiara su cui aggrapparsi. Il mancato successo però è stato una condanna anche per i successivi dirigenti ed allenatori. Lo United fa sempre notizia e quindi attira sempre grandi quantità di speculazioni e commenti sui social media, ma invece di essere alla mercé delle opinioni che le persone fanno, dovrebbe cercare di guidare il processo.

Negli ambienti calcistici si parla sempre più spesso di filosofia. Come ha detto lo stesso Mourinho dopo aver vinto l'Europa League: “Ci sono molti poeti nel calcio, ma i poeti non vincono molti titoli”. Sicuramente ogni club vuole vincere sopra ogni altra cosa, ed in un periodo in cui i migliori club condividono molte somiglianze tattiche, la motivazione conta. È molto più facile motivare i giocatori se hai una strategia chiara per incanalare gli sforzi di un club. Ad esempio possiamo considerare il modo in cui l'Ajax si è esibito facendo quasi la finale della Champions League: con una forte identità definita da generazioni e con il potere della positività giovanile hanno raggiunto traguardi inimmaginabili. La chiarezza di visione è un aspetto fondamentale oramai. I giocatori e lo staff tecnico lavorano meglio se si ha un pensiero comune, un piano preciso da seguire. Van Gaal rivelò che lo United è stato l’unico club dove non ha dovuto discutere sullo stile di gioco che voleva imprimere o sulla sua filosofia prima di essere ingaggiato. Definire cosa sono e cosa rappresentano i Red Devils sarà il primo lavoro per il direttore sportivo che attualmente stanno cercando di reclutare. Sarà anche il più importante.

Sarà necessaria una dose di realismo, in quanto fare promesse troppo ambiziose non servirà a nulla. Sia che si concentrino sul settore giovanile, in modo da raccoglierne i frutti negli anni a venire, o che intraprendano uno stile di gioco offensivo e moderno, o che acquistino giocatori funzionali ad un progetto, la storia illustre del club contiene tutti gli ingredienti per definire un percorso positivo. Gridare ad alta voce non sarà solo un esercizio di pubbliche relazioni; potrebbe essere solo l'elemento vitale per la promozione di un ambiente più felice. All’allenatore andranno fornite delle linee guida per capire su dove incanalare le proprie energie, così che, mentre i risultati avranno sempre importanza, si introdurrà un ulteriore elemento vitale in cui giudicare i progressi. Fornire chiarezza – dove fino ad ora c'è stata solo speranza e confusione – potrebbe porre fine alle oscillazioni nella percezione dei loro allenatori e, se fatto bene, portare anche al termine gli anni di turbolenza all'Old Trafford.