Anche quest’anno il campionato italiano di Serie A sta per concludersi trascinando con sé una dose di malinconia enorme, percepita già adesso, anche se la magica estate verrà avvolta da quel nucleo infinito di calciomercato che porta interi personaggi a discutere su trattative illustri, a volte impossibili, ma mai banali.
È stata una stagione surreale, dettata dalla venuta del marziano Ronaldo, arrivato da una galassia tecnica con l’intento di condurre la nostra Serie A nel bel mezzo di un universo oscuro, da ormai troppo tempo sognato ma mai idealizzato a pieno; la stagione del dominio incontenibile della Juventus, del tuffo coraggioso e passionale di Carlo Ancelotti in quel di Napoli e di una corsa Champions agguerrita, da rispettare con la mano sul cuore in virtù dell’appartenenza, del sentimento di un obiettivo e del sogno di coronarlo per i tifosi, ma soprattutto per il cielo, ornato dai vecchi eroi e dagli amici che sono stati strappati dal mondo.

E così, coadiuvato da un forte desiderio di raccontare una notte unica, non posso non affidarmi ai miei ricordi, anche perché questo è stato il primo anno in cui ho avuto il piacere di possedere un abbonamento allo stadio per la mia Inter; il tutto ovviamente con Niccolò, il mio migliore amico e fedele tifoso nerazzurro, appassionato ad ogni campionato sportivo, dalla tecnica sopraffina della Liga alla passione della Premier, proprio come me. Un regalo consegnato da mia nonna, che viveva per la mia crescita e per quella di mio cugino, più piccolo ma tifoso anche lui del Biscione. Viveva, perché purtroppo la sera del 26 aprile, a circa 24 ore da Inter-Juve, mia nonna si congedò dal mondo, venne portata via da un insieme di malattie che sfociarono in una sola settimana nell’abbandono più estremo, inaspettato e ingiusto per tutto quello che di buono aveva fatto. E pensare che l’ultimo sabato della sua vita terrena lo aveva passato davanti alla televisione a vedere Inter-Roma, con il cuore tinto di nerazzurro e la passione per l’ottimo commento di Trevisani e Adani, unito dall’amore per il calcio e dal flusso del ricordo, volto a precedere una festività importante come la Pasqua. E proprio il giorno seguente, dato che la sera prima mi trovavo al Meazza, passai a salutarla, per un commento sul gol di Perisic, ma soprattutto per un saluto che qualche giorno dopo sarebbe stato l’ultimo.

Appena mi comunicarono la notizia non esitai un secondo: presi il telefono e scrissi al mio fedele amico, raccontando tutto ciò che era avvenuto e rassicurandolo che il giorno seguente, come voleva mia nonna, io e lui saremmo andati alla partita, a tifare nella nostra casa con i colori nerazzurri al petto e con la passione per il ricordo, unito ad un tifo sfrenato che aveva l’obbligo di incarnare la vera gloria e che doveva essere sostenuto da un San Siro stile Old Trafford, per citare un altro tempio al quale sono affezionato. Avvisai solo lui, in nome di quell’amicizia che identificò nella luce il rapporto tra Dante e Casella, e lui mi rispose con un messaggio importantissimo, che ricorderò per sempre, perché era la pura verità.

Il giorno seguente, non appena il Sole abbracciava il mondo con i suoi raggi, iniziai a prepararmi e all’ora di pranzo, con un cielo ornato dal blu e dalla presenza di qualche nuvola benefica all’orizzonte, mi recai a casa sua; con la sua macchina partimmo insieme per raggiungere il pullman del nostro Inter Club che ci avrebbe portato allo stadio, quel San Siro colorato al quale mi volevo stringere, come un figlio che abbraccia sua madre. Un viaggio dettato dalla collettività e dai pareri contrastanti dei tifosi, poggiati sul caso allenatore e su una gestione dello spogliatoio non idonea al blasone Inter; pensieri, pareri e considerazioni sostenute da tesi avvincenti stavano prendendo il sopravvento quando, nella lontananza, la visione di San Siro scatenò una dose di adrenalina pura, perché all’arena arrivava la Juventus, e per fermare gli ormai già campioni d’Italia c’era bisogno dell’unione e, guarda caso, dell’amicizia.

Un’amicizia che ho percepito anche in campo, simboleggiata dalla coppia difensiva Skriniar-De Vrij, portata avanti dai piedi raffinati di Brozovic e urlata sotto il cielo stellato da Radja Nainggolan, che con un missile terra aria portò in vantaggio proprio l’Inter, facendo scatenare la nostra gioia e quella di uno stadio che sembrava ritornato al suo antico splendore. Il match poi si concluse in pareggio, grazie all’unico tiro effettuato nello specchio della porta da Cristiano Ronaldo, vero ago della bilancia e simbolo di una Juventus non perfetta sul piano del gioco. Spalletti entrò in confusione con i cambi, e alla fine la casistica strinse l’occhiolino all’Inter, che ottenne un pareggio sofferto contro una squadra che nel secondo tempo mostrò gli artigli del felino, per continuare a vincere.

Poi, chiusi i riflettori del Meazza, arrivò la notte, quell’entità oscura alla quale non puoi sottrarti perché porta consigli, ricordi, lumi di sapienza e bagliori inattesi, come se l’intelletto terreno desiderasse aprire i suoi occhi verso un qualcosa di astrale, difficile da immaginare, ma allo stesso tempo affascinante. Una volta risalito sul pullman cominciai a riflettere attentamente, le regole del gioco prevedevano questo e non potevo di certo sottrarmi. Pensai a quei grandi scrittori antichi che hanno attraversato il tempo con lo sguardo della saggezza e trovai il giusto conforto nella visione di Dante Alighieri, eccelso autore che ha reso la sua Commedia un’opera attuale, libera nel pensiero e nella contemplazione di alcuni ideali che riecheggiavano già nella sua Firenze. Mi immedesimai nel Purgatorio, regno intermedio discusso dalle generazioni e idealizzato secondo gerarchie precise; mi ritornò alla luce il famoso incontro tra Dante e Casella, ornato dal ricordo dei tempi terreni e da un passato stellare che aveva trattenuto il pellegrino a bearsi del canto illustre dell’amico, perché il flusso nostalgico del tempo non si ferma neanche un secondo, viaggia all’infinito. Proprio quell’infinito aggrappato alla figura di Virgilio, maestro eterno che con una visione materiale accompagna il suo compagno nel viaggio, con la consapevolezza che la meta non è un posto, ma è quello che si prova alla fine di una corsa. Proseguivo il pensiero con le mie cuffie musicali e pensando per un attimo anche all’armonia dei cieli mi soffermai forse sulla parte più bella del Purgatorio, quella cornice dei superbi in cui viene affrontato il culto della gloria, obiettivo desiderato ma stretto nella consapevolezza che le creazioni di Dio sono inarrivabili ed è inutile che un artista umano si dichiari divino e al di sopra dei suoi limiti, di una normale regola di distanza umana; la vera gloria è quella divina, e l’uomo non può arrivare a tanto, può solo creare una poesia che si avvicina a certi parametri, ma che non sarà mai arte divina. Idee appoggiate dal vento e dall’odore della notte, tappezzata da sogni e ideali che poi ritrovano l’essenza nella forma dell’amore, quel sentimento che avvolge l’intera umanità e che sarà centrale anche alla fine della Commedia, quando Dante vedrà la figura dell’uomo, arrivato alla perfezione interiore e collocato nel moto circolare divino, proprio dove si identifica “l’amore che move il Sole e l’altre stelle”.

E così, in piena notte terminò la prima parte del viaggio, quella che aveva conservato nel proprio dna il pullman dei tifosi e le discussioni post-match. La vera essenza di quella notte, dopo quello che mi era capitato il giorno precedente, doveva ancora avvenire ed è difficile da spiegare, richiede una dose di coraggio e di amore per un ideale che ha trovato libera espressione nella musica, l’amicizia. Il tutto riconduce ad un semplice viaggio in macchina con il mio amico. Un percorso animato dall’armonia musicale e da una radio che contribuì a regalare pezzi di inaudita bontà e nuove hit da ascoltare attentamente. Composizioni, idee cantate nel vento che si ritrovarono nella figura di Marco Mengoni, protagonista assoluto di “Pronto a correre”, brano che qualche anno fa conquistò la radiofonia con un sound particolare sia dal punto di vista emotivo che da quello sentimentale; un po’ come la voce di Nek, che in piena notte portava le sue note nell’autovettura cantando “Io ricomincerei”, tanto per ricordare coloro che probabilmente dall’altra parte del mondo stavano pensando di ricominciare una relazione, dettata dall’amore e dalla serietà, qualità che non deve mai mancare visti gli ultimi tempi. Un periodo, quello che stiamo attraversando, in cui Francesco Renga si sta rendendo protagonista su ogni palcoscenico con il suo brano intitolato “L’odore del caffè”, dotato di una base sentimentale che ricorda le più belle showgirl che popolano la televisione in ogni momento.
Ma il brano più importante, senza ombra di dubbio, è stato il nuovo singolo di Coez, ascoltato da entrambi per la prima volta e chiamato “Domenica”; un pezzo che racconta le domeniche spensierate, quelle in cui è obbligo farsi passare il vento tra i capelli, con il sole in fronte e il sorriso sulle labbra.
A distanza di qualche giorno, mi rendo conto che così come mia nonna voleva vedermi ogni settimana a San Siro, in quel momento desiderava osservarmi in macchina con l’amico più caro che ho, per farmi capire che certi valori possono innalzarsi all’infinito, e l’amicizia è uno di questi. Concludiamo il viaggio insieme in piena notte, nel momento in cui tutto tace, per poi risvegliarsi all’indomani mattina. Ripenso molto spesso a quel momento, perché era speciale e soprattutto univa amicizia e calcio, non sempre l’uno al fianco dell’altro in alcuni campionati. Quella notte andò così, l’Inter non aveva sconfitto la Juventus pur meritando la vittoria, eppure me la ricorderò per sempre anche perché, come spesso succede nella vita, la magia di quel semplice momento non l’ho più ritrovato.
Me ne tornai da San Siro con un insegnamento, dato metaforicamente dal mio stadio e forse da mia nonna, che aveva raggiunto il cielo; uno slogan che aveva come obiettivo quello di ricordarmi che un amico è uno che ti conosce come sei, che capisce dove sei stato, che accetta quello che tu sei diventato e che, con un po’ di gentilezza, ti permette di crescere.
E io posso dire apertamente di averlo trovato.