La maglia numero 10 ha un che di speciale. Da sempre sinonimo di estro, fantasia e imprevedibilità; il numero che solo pochi eletti ne sanno portare il peso. L'Italia ha una grande tradizione di numeri 10, chi come Baggio con tratti più simili alla ginga brasiliana di Pelé, chi come Valentino Mazzola caratterizzato da una duttilità tale da poter giocare in ogni zona del campo, un 10 che Rinus Michels teorizzò, negli anni 70, nello stile del Calcio Totale. Ad oggi però è una vera e propria odissea per la Nazionale trovare un fantasista degno di indossare quella 10, con cui i nostri vecchi eroi hanno riscritto la storia con gesta epiche degne dei protagonisti degli omerici. 

Cantami o diva delle nostre prime leggende
Il primo 10 italiano e mondiale è sicuramente la più grande bandiera granata: Valentino Mazzola. Valentino era i polmoni della suo Torino, capace di macinare chilometri su chilometri ad ogni partita. Non solo, sapeva anche difendere con bravura e in modo pulito; la sua tecnica eccelsa gli consentiva di impostare egregiamente ogni azione; e il suo ambidestrismo, unito a un tiro potentissimo, lo rendevano una sentenza per tutti i poveri portieri che affrontava. Mazzola però, oltre alla grandezza del singolo, si porta con sé anche la storia del Grande Torino: una squadra talmente forte che solo la morte, avvenuta il 4 maggio 1949, in quella che oggi è la tragedia di Superga, li vinse. Passano gli anni e la rivista France Football, nel 1956, istituì il Pallone D'oro. Il primo azzurro a vincere tale premio fu un oriundo di origini argentine, che nel Belpaese trovò fama e fortuna con la Juventus: Omar Sivori. Il premio venne conferito ad un bomber di razza, veloce e cinico, che metteva paura ai portieri avversari con la sua sola presenza. Ma a godersi le giocate del goleador non era solamente la Vecchia Signora, anche noi italiani ci coccolavamo il nostro 10, gol su gol. Ultimo, e più importante, fantasista dei vecchi tempi è un ragazzo, piccolo e minuto. Quel piccoletto però non faceva pesare la stazza, ed anzi, tanto era fragile quanto magici erano i suoi piedi. Fu lui a segnare, con intelligenza e maestria, il quarto e definitivo gol nella sfida del secolo tra Italia e Germania Ovest, nel Mondiale di Messico 1970. Elegante nel dribbling, chirurgico nel tiro, visionario nella tattica: dal vangelo secondo il profeta del calcio italiano "Non avrai altro Dio al di fuori di Gianni Rivera, il più forte italiano di sempre".

Notti magiche, inseguendo un gol
Ma nonostante i fenomeni pluriblasonati di un tempo, il periodo migliore per la Nazionale coincide con gli anni '90 e i primi anni 2000. Questo periodo fu un susseguirsi di continue leggende, che imposero la loro indelebile firma nella storia del popolo italiano. Primo su tutti ovviamente c'è il Divin Codino: Roberto Baggio. Semplicemente non ci sono parole per descriverlo, ma a farci comprendere appieno di cosa era capace ci viene in aiuto un gol: Italia-Cecoslovacchia, Mondiale 1990. Un coast-to-coast del Divino, da centrocampo fino all'area avversaria, dove con forza e precisione scaraventò il pallone in rete. Un misto di velocità e raffinatezza che si aggiunge ad un fiuto del gol eccezionale, tutto questo era il nostro Dio, Baggio. Quel gol è tra i migliori di sempre, tant'è che la Fifa lo pose tra i migliori dieci gol segnati in un mondiale. Ma tutte le cose, anche le migliori, sono soggette al tempo, che le fa' cessare, così arrivò anche per Roby il momento di ritirarsi. "Ahhh, da quando Baggio non gioca più, [...] non è più domenica" (Cesare Cremonini, Marmellata #25). Ma morto un papa se ne fa' un altro, e dopo un mago, arrivò un artista, un numero 10, ma anche una bandiera, che, come un cavaliere, difese fino alla fine la sua (Vecchia) Signora. Quell'artista era nientemeno che Del Piero. Pinturicchio, con la maglia azzurra, raggiunse il suo apice al Mondiale tedesco del 2006, nella semifinale contro la Germania. Nell'ultimo minuto, sul punteggio di 1-0 per noi, i tedeschi continuavano ad attaccare, quando ad un certo punto Totti imbeccò Gilardino con un lancio lungo. A sua volta la punta azzurra pescò in area proprio Del Piero che con un tiro a giro fenomenale garantì all'Italia l'accesso alla finale all'Olympiastadion di Berlino. Assieme all'artista di Torino un altro 10, stavolta romano, salì assieme agli onori della cronaca: Francesco Totti. Venerato come eterno imperatore dalla parte giallorossa di Roma, Totti era un 10 che in campo dava geometrie e creava occasioni coi suoi piedi fini ed educati. Un capitano carismatico, che ogni tanto si trasformava in un pazzo. Si pensi a quel cucchiaio, calciato nella lotteria dei rigori tra Italia e Olanda nella semifinale di Euro 2000, un misto di freddezza, abilità e genio sregolato. 

Oggi la situazione è ben diversa
Più che mai la Nazionale al giorno d'oggi fatica a trovare degni eredi di tali leggende. Nessuno si avvicina minimamente al loro livello, e alcuni 10 appaiono veramente osceni. Il primo giocatore a dover raccogliere l'enorme eredità di Baggio doveva essere Bernardeschi, prematuramente paragonato al Divin Codino per un futuro all'apparenza brillante e per l'esordio in A con la Fiorentina. Ma la realtà oggigiorno è ben diversa: Berna fatica a trovare spazio nella Juve e in Nazionale, e le sue prestazioni, deludenti, controproducenti e pietose, confermano il limite tecnico di un giocatore sempre più criticato. Un altro 10, questa volta etichettato come inadeguato fin da subito, fu Thiago Motta all'Europeo del 2016. L'ex giocatore di Inter e PSG non incise mai nel percorso fenomenale di una delle nostre peggiori nazionali di sempre, diventando più iconico come oggetto di sfottò che non come giocatore degno di tale maglia. Uno scandalo fu quello di Grifo, il trequartista italo-tedesco del Friburgo, che appena alla terza convocazione con gli azzurri gli venne subito affidata la 10. Gli unici 45 minuti con quel numero delusero tutti, da quel giorno non giocò più con l'Italia. Una pezza, per quanto minima, è rappresentata da Insigne. L'ala partenopea è un buon giocatore, capace di incidere nelle serate in cui tutto gli fila per il meglio. Ma non è né Totti e né Del Piero, il suo talento, per quanto buono, non è smisurato. 

Un'odissea vera e propria quella della nostra Italia, alla ricerca del 10 vero e puro, come lo furono Rivera e Baggio. Certi eroi omerici rimangono nella nostalgia passata, altri sono indelebili ricordi recenti, altri ancora arriveranno, ma certamente la mancanza dell'estro di un 10 oggi si fa' sentire. Perché se l'Italia vuole tornare agli albori di un tempo, allora necessita di quel giocatore capace di fare la differenza, magari con un goal all'ultimo minuto contro una Germania Ovest, con un coast-to-coast, o con un cucchiaio mozzafiato.