Vorrei narrare un’impresa che mi è rimasta nel cuore, e sebbene siano passati tanti anni, con profonda gioia ricordo e talvolta rivedo nei filmati d’epoca quelle gesta realizzate da un grandissimo campione, che, consapevole delle sue condizioni psico-fisiche, sfidò tutti su un terreno impervio e irto di insidie, non trovando nessuno che avesse il coraggio di osare come lui.
L’azione fu condotta nella corsa ciclistica in linea su strada, in ambito professionistico, la Milano-Sanremo, prima classica importante di ogni annata ciclistica, anche detta la Classicissima o Classica di Primavera.
Non c’è campione di ciclismo che non abbia avuto ambizioni di vincere la Classicissima, 
che tradizionalmente si disputa annualmente intorno al 19 marzo, giorno di S. Giuseppe.

La corsa, da Milano a Sanremo, nacque come competizione podistica organizzata dalla Unione Sportiva Sanremese. Si svolse il 2 aprile 1906, su due tappe (Milano-Acqui e Acqui-Sanremo), ma fu un parziale insuccesso.
L’anno seguente un giornalista Tullio Morgagni, già promotore del Giro di Lombardia, pensò di utilizzare il percorso per una gara ciclistica, ne parlò con l’allora direttore della Gazzetta dello Sport, Eugenio Costamagna, il quale, in via sperimentale, affidò l’idea ed il relativo progetto al più esperto organizzatore di competizioni ciclistiche dell’epoca, Armando Cougnet.
Il 14 aprile 1907 si svolse la prima edizione della Milano-Sanremo.
Era una giornata di pioggia e freddo e a vincere fu il francese Lucien Petit-Breton, sotto contratto con la Bianchi, che completò i 281 chilometri (adesso 299 Km) del percorso a 26,206 chilometri all'ora di media (attualmente con altre strade, altre biciclette ed altri allenamenti la velocità media della corsa è elevatissima: circa 45 Km/h).
Nel 1910 la Classicissima entrò definitivamente nella leggenda delle due ruote. In una giornata dalle condizioni del tempo proibitive, i corridori dovettero chiedere spesso ospitalità nelle case lungo il percorso, per ripararsi un po' dal maltempo. Solo sette uomini su 60 partiti raggiunsero il traguardo di S. Remo. Il vincitore fu il francese Eugène Christophe che, convinto di aver sbagliato strada, trovò le ultime energie nel vedere le prime case della città ligure.

Dal 1907 si sono svolte 112 Edizioni (fino al 2021) e dopo i primi tempi pionieristici, vennero a disputare la corsa dei ciclisti importanti come Costante Girardengo seguito da Guerra e Binda, i due eterni rivali, per arrivare a Bartali e Coppi, altri irriducibili rivali.
Il percorso si mantenne uguale negli anni con delle piccole varianti, generalmente per interrompere la supremazia straniera o per ovviare ad altre difficoltà (come il COVID 19).
La variazione principale fu la salita del Poggio nel 1960: l’idea venne a Torriani, lo storico patron del Giro d’Italia. L’innovazione aveva lo  scopo di mettere “un ostacolo improvviso” poco prima del traguardo, e vedere l’effetto che faceva sperando di frenare  Velocisti Valloni e altri velocisti stranieri che spadroneggiavano dal 1953. Grazie a questo trampolino di lancio, uno scalatore italiano, in teoria, avrebbe potuto staccarsi dal gruppo e vincere evitando la pericolosa volata Purtroppo l’espediente non servì a molto perché si dovette attendere il 1970 con Michele Dancelli, per avere finalmente una vittoria Italiana. Seguirono Saronni e Felice Gimondi.
Il Poggio comunque rimase, servendo come selezionatore prima dell’arrivo riuscendo spesso a dividere il gruppo ed evitando molti arrivi in volata.
Successivamente fu l’epoca del “cannibale” Eddy Merckx, che vinse  ben 7 edizioni. Si ricorda la 5° in cui il ciclista Belga sul traguardo alzò una mano mostrando le 5 dita, in segno polemico di supremazia assoluta.
Poi si susseguirono altri campioni fino a Francesco Moser. Nel 1984 Francesco Moser si presentò alla punzonatura della sua bicicletta prima della Classicissima, dopo aver da poco realizzato il primato dell’ora e quindi in gran forma e con il morale alle stelle.
Una volta partiti, Moser, per tutta la corsa, si tenne in ombra per risparmiare energie e grazie al lavoro della sua squadra
, lui, che non era uno scalatore, non si fece mai staccare in salita e si mantenne da Capo Berta  nelle prime posizioni. In particolare fu sostenuto nell’ascesa del Poggio, dove profuse un notevole sforzo per non perdere contatto con gli scalatori battistrada. Questi, in salita, non lo temevano affatto e probabilmente sottovalutarono la sua azione, o meglio non la capirono se non quand’era troppo tardi.
Sta di fatto che in cima al Poggio Moser transitò tra i primi e quando sul traguardo fu dato l’annuncio che il trentino era in buona posizione, si levò al cielo un urlo assordante dei suoi tifosi. Eseguite le prime due curve, ancora senza farsi notare, dopo si lanciò in uno scatto bruciante in discesa dove nessuno riuscì a stargli a ruota.
Moser affrontò il pendio tenendo tutti con il fiato sospeso
. Il ciclista, pistard (corridore di pista) e passista (corridore in piano), non temeva la velocità e controllava perfettamente il mezzo su due ruote che conduceva. Pareva pennellare le curve, sfiorando i cordoli a ogni tornata e spingendo a più non posso sui pedali, impiegando rapporti impensabili per quella strada.
Numerosi motociclisti dell’organizzazione, più lenti, dovettero lasciargli il passo.
Furono 2 Km. circa di discesa spericolata, per un dislivello di 137 m. e pendenze massime del 6% che servirono a Moser, con la sua tattica, ad accumulare un vantaggio di 150 m. fino a giungere al piano dove, da passista formidabile, sulla via Aurelia e sulla Via Roma incrementò il vantaggio a 200 m. Nessuno sarebbe stato in grado di raggiungerlo. Percorse l’ultimo chilometro tra due ali di folla che scandivano forte il suo nome!
Arrivato quasi sul traguardo, si girò indietro, ma non vide nessuno, quindi alzò le braccia al cielo felice vincitore della Milano-S. Remo del 1984.

Ma le vittorie per quell’anno non erano finite. Oltre al Record dell’ora e la Milano-S.Remo, Francesco Moser chiuse l’anno vincendo anche il Giro d’Italia. Annata indimenticabile per il trentino che a 33 anni visse una seconda giovinezza.
Penso che vinse la sua S.Remo nel 1984 con una strategia a dir poco spregiudicata, rischiosa e, proprio per questo, da ritenersi una delle pià belle Classicissime vinta da un Italiano, in un modo originale, sorprendendo tutti, ed assumendosi dei rischi che nessuno se la sentì di condividere con lui.