Pochi giorni fa il Presidente dell’Assocalciatori Tommasi ha ripreso il capolavoro di Ungaretti, Soldati, riadattandolo alla serie A. L’opera dell’autore ermetico così recita: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Si tratta della volontà di descrivere la condizione dei militari in trincea durante la Prima Guerra Mondiale. Da un momento all’altro la situazione poteva modificarsi completamente portando conseguenze nefaste. Lo stesso vale per il “vestito” delle piante che durante il passaggio tra l’estate e l’inverno resta aggrappato a esse grazie a un esile filo. Basta un soffio di vento per spezzare il legame. E’ la medesima sensazione che si vive nel mondo attuale. Alle 18.00 di ogni benedetto pomeriggio attendiamo ancora il bollettino che definisce la curva dei contagi, con la grande speranza di ricevere buone notizie. E’ sufficiente un piccolo sobbalzo negativo per crearci angoscia. Il trauma dei mesi scorsi è tuttora forte nelle anime e per parecchio tempo sarà così. Non è semplice resistere in uno stato di continua allerta non percepita esclusivamente dal singolo individuo, ma che è prassi della collettività. E’ un’orrenda sensazione. Con le dovute proporzioni, e senza voler urtare la sensibilità di alcuno, la metafora della trincea mi pare veramente azzeccata.

In quest’atmosfera, l’Italia sta giustamente ripartendo onde evitare di cadere in un’ancor più deleteria crisi economica e psicologica che già sta provocando lacrime amare al nostro Paese. Correttamente il calcio si è posto sulla medesima falsariga e il Consiglio Federale ha ratificato nuove decisioni per la riapertura della stagione. Il Presidente della Figc Gravina ha sempre sostenuto che deve regnare il merito sportivo e anche in questa occasione ha mantenuto fede alle sue parole. Si inizierà assegnando la Coppa Italia, poi si cercherà di portare a termine il campionato. Mancano 12 giornate più alcuni recuperi. In totale sono 124 gare in circa 50 giorni. Con la viva speranza che la pandemia, ancora attiva, non riprenda a soffocarci come un anaconda e che la regola della quarantena di 14 giorni nel caso di positività al covid-19 di un membro del gruppo-squadra non risulti decisiva, i numeri di match programmati sono estremamente importanti. Non sarà semplice riuscire a giungere regolarmente al termine dell’attuale funesta annata. Proprio per questo si è stilato un “Piano B” e, purtroppo, pure un “Piano C”. L’auspicio è che restino ben chiusi all’interno di un cassetto con su scritto “sfortunate ipotesi”. La prima alternativa, comunque, sarebbe quella legata agli spareggi. Se malauguratamente il torneo non potesse iniziare o proseguire nella sua forma regolare, ma vi fossero tempi e condizioni per disputare playoff e playout, si seguirebbe quella linea con tutte e 20 le compagini. Se, invece, anche tale strada non risultasse percorribile, sarebbe pronto un algoritmo che definirebbe le posizioni per le coppe europee e le 3 retrocessioni.

Sono d’accordo con Gravina quando afferma che la soluzione approvata dal Consiglio Federale rappresenti un successo per il calcio. Deve trionfare il merito sportivo. Il campo conosce milioni di variabili che un algoritmo non può rappresentare. Non sono mai stato un fervente sostenitore della matematica, ma mi rendo conto che tale disciplina sia fondamentale nella nostra vita. Molte situazioni sono risolte proprio mediante calcoli e tanto ruota intorno ai numeri. Non si può negare, però, l’aridità della materia. La realtà ci insegna che la vita non è programmabile. Non sussistono soltanto il bianco e il nero perché tra di loro vi sono molte tonalità di grigio che raffigurano la maggior parte dell’esistenza. Occorre considerarle. Finché è possibile, il prato verde deve garantire il suo verdetto. Solo quando tale via risulterà impraticabile ci si arrenderà all’evidenza lasciando spazio all’aritmetica. La Figc ha ragionato proprio in quest’ottica conducendo a quello che credo sia il miglior esito possibile date le condizioni.

The show must go on” cantano i Queen e sono assolutamente d’accordo con la ripresa in sicurezza della stagione. Alcuni ritengono che questo finale di torneo potrebbe essere falsato perché si giocherà senza pubblico, dopo circa 3 mesi di lockdown, in piena estate, con parecchi infortunati e la possibilità di effettuare 5 sostituzioni per gara. Non si può negare che il problema esista, ma la ripartenza potrebbe essere salvifica per 100mila lavoratori e pure lanciare un importante messaggio distensivo all’intera società. Aveva ragione Ceferin: il ritorno del pallone è segnale di un lento riavvicinamento alla normalità che senza tale sport non è percepita. Se non si riuscisse a chiudere regolarmente l’annata, ma ci si potesse affidare agli spareggi, questi rappresenterebbero un cambio in corsa delle norme. Quantomeno, però, garantirebbero a tutti l’opportunità di lottare per i traguardi tramite la battaglia sul campo. Le squadre non si troverebbero di fronte a un fatto compiuto nel bel mezzo di una situazione che in verità avrebbe garantito loro ancora chance di modifica. Il “Piano C”, invece, è il male del calcio ed è da evitare in tutti i modi soprattutto perché potrebbe rappresentare una ricaduta del Paese nel pieno dell’emergenza. Sarebbe un’autentica tragedia poiché significherebbe dramma per l’intera società. Ciò, infatti, condurrebbe alla malaugurata necessità di “scegliere solo le modalità della morte”. Da un lato vi sarebbe da rispondere al rinvigorirsi della crisi sanitaria e dall’altro si porrebbe il problema di un’economia che non è in grado di resistere a un nuovo lockdown. E’ una tragedia da scongiurare e nella quale il calcio, come qualsiasi singola attività, passerebbero in secondo piano. Il disastro, infatti, sarebbe collettivo e generale. Indipendentemente da questa sciagurata possibilità, la stagione resta comunque appesa a un esile filo sempre pronto a spezzarsi. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Nel caso in cui l’annata dovesse concludersi in anticipo, l’algoritmo non assegnerebbe lo Scudetto ameno che non risultasse già matematicamente conquistato. Il titolo, quindi, verrebbe consegnato solo ed esclusivamente se vinto sul campo. Ritengo che non vi sia scelta migliore. Si è sempre ragionato nell’ottica del merito sportivo e questa decisione rappresenta il sigillo di tale linea guida. Il risultato del terreno di gioco dev’essere la cometa e sarà così. Un tricolore che giunge senza aver terminato un torneo, non può, invece, considerarsi tale. Per tutto ciò che non concerne lo Scudetto, però, è necessario operare un diverso ragionamento. Non è possibile congelare la situazione come se il 2019-2020 non fosse mai esistito. I motivi sono banali. Si sono disputati quasi due terzi dell’annata e alcune società hanno investito importanti capitali per raggiungere determinati risultati. Sono state consumate energie. Fingere che tutto ciò non sia mai accaduto sarebbe scorretto. Si pensi, per esempio, al Monza che stava dominando il girone A di serie C ed era lanciato a tutto gas verso la promozione. Come si sarebbe anche solo potuto immaginare di negargli l’obiettivo praticamente centrato? Impossibile. Lo stesso discorso potrebbe porsi per il Benevento che, salvo un clamoroso harakiri, strapperà presto il pass per disputare la prossima massima categoria. Siccome è sconsigliabile aumentare ulteriormente il numero di squadre in serie A, è inevitabile considerare pure le retrocessioni e l’UEFA deve conoscere quali saranno le qualificate alle competizioni internazionali. L’algoritmo, quindi, rappresenterebbe la sola e unica alternativa.

Ormai tutti sapete che sono juventino e non voglio assolutamente rivangare i tristi anni di Calciopoli. E’ un capitolo chiuso. Se supponevate che nelle motivazioni all’eventuale mancata aggiudicazione dello Scudetto trattassi di “titolo di cartone” o simili, rimarrete delusi. Non mi interessa ed è persino un discorso che, alla luce dello stato dell’arte, non avrebbe alcun senso. Con la ripresa delle ostilità, prima di un nuovo scongiurabile stop definitivo, la Vecchia Signora potrebbe essere tranquillamente sorpassata, per esempio, da una Lazio che sta disputando un grande campionato. Qualcuno obietterà che la mia volontà di non assegnare il tricolore sia, quindi, influenzata dalla legittima paura del tifoso bianconero di vedersi sfuggire il nono trofeo consecutivo. Non è così. Anzi, vi dirò di più. I capitolini meriterebbero pure questa gioia. Oltre ad aver condotto un’ottima stagione, la loro dirigenza è quella che si è battuta maggiormente per la ripresa delle ostilità. In tanti penseranno che ciò sia avvenuto proprio per sfruttare al meglio la chance di trionfare, ma “il fine giustifica i mezzi”. In tal modo potrebbero pure aver contribuito a salvare parecchi posti di lavoro e provocato le conseguenze positive che già ho elencato. Si meriterebbero davvero l’ambito premio e, dopo aver vissuto il dramma degli ultimi 3 mesi, le varie polemiche calcistiche o certi retropensieri sono realmente lontani anni luce dalla mia mente. Ho spesso udito la teoria secondo la quale non appena i biancocelesti fossero balzati in cima alla graduatoria, la serie A si sarebbe nuovamente fermata. Mi pareva un’ipotesi assurda e la decisione di non assegnare il tricolore in caso di stop definitivo ha fugato questo incredibile dubbio. Ora sento dire che se la Juve assumesse un vantaggio importante dalla Lazio, la regular season si bloccherebbe in modo tale da rimettere tutto in gioco con i playoff. Mi basta un solo commento: “fantascienza”. Simili dicerie feriscono il movimento senza alcun riscontro positivo. Sono un fiero sostenitore della buona fede e non credo a certi “pettegolezzi”. In ogni caso, Gravina ha imposto un rigido sistema di controllo che avrà il solo risultato di porre nel silenzio tutte le discussioni.

Alla luce di queste premesse, non vorrei lo “Scudetto del fallimento”. Il mio pensiero non sarà condiviso dalla totalità delle persone, ma credo che in pochi gradiscano un tricolore che non è vinto sul campo perché giunto senza chiudere un torneo. Si darebbe solo adito a nuove schermaglie verbali. Non apprezzerei un simile riconoscimento pure perché, se la stagione dovesse nuovamente fermarsi, potrebbe significare che la pandemia ha ripreso la sua corsa indomabile e, ribadisco, a quel punto il pallone sarebbe l’ultimo dei problemi. A qualcuno interesserebbe della vittoria di un trofeo se non fossimo nemmeno in grado di garantire la salvezza della specie? Non credo proprio. Se, invece, l’annata dovesse stopparsi definitivamente per altri motivi, allora ciò rappresenterebbe il fallimento del sistema calcio che risulterebbe come uno dei pochi settori economici del Paese non ancora capace di rimettersi in moto dopo la fase acuta dell’emergenza covid-19. Sarebbe una sconfitta da non addebitare a Gravina, ma alla rigidità di talune norme che potrebbero essere riviste garantendo comunque la sicurezza. La colpa, altrimenti, ricadrebbe sul fato. Se vi dovesse essere, infatti, una serie di positività proprio all’interno di questo sport, non ci si potrebbe che appellare alla sfortuna. Non vorrei uno Scudetto con determinati retroscena. Qualcuno potrà obiettare che gli sforzi citati in precedenza per le società delle altre categorie siano trasferibili anche su chi guiderebbe la serie A al momento dell’eventuale nuovo blocco. Ritengo, però, che per il massimo torneo si debba operare un discorso diverso. Mi pare che in questo campionato si viva una stagione piuttosto equilibrata dove non esiste una compagine già prossima al traguardo. Ogni lotta è aperta e un successo che non giungesse tramite conferma matematica, rappresenterebbe la più classica “vittoria di Pirro”. Nessuno potrebbe godersela sino in fondo.

Non penso, invece, ci si dovrebbe vergognare di festeggiare un titolo conquistato sul campo in forma regolare o tramite gli spareggi. Bando all’ipocrisia. E’ vero che un tremendo 2020 sta lasciando un’infinita scia di morte distruttiva per il cuore, ma la vita deve proseguire. Il mondo ha superato catastrofi immani con numeri anche di molto superiori alle attuali desolazioni e non si è mai arreso. Fino all’apocalisse dovremo accettare situazioni estremamente dolorose avendo la forza di superarle. Proprio per questo, ritengo comprensibile che una compagine possa godersi il raggiungimento di un obiettivo nonostante vi pervenga dopo un periodo angosciante e senza la forma più canonica. Ghandi diceva: “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. Non significa essere insensibili o festeggiare nelle avversità. Occorre semplicemente cercare di accogliere la realtà che ci viene proposta e imparare a conviverci nel miglior modo possibile anche perché non abbiamo soluzioni diverse.