Non mi è mai piaciuta la matematica. E non sarei nemmeno scarso, se mi applicassi!
Nella mia mente ha il volto di Rifki, un carcerato che faceva la spia ai secondini, detestato da tutti, nel film "Midnaight Express". Non era facile studiarla, il mio cervello chiedeva altro. E così, quando mi mettevo, trent'anni orsono, a districarmi nelle espressioni ed esercizi affini, seduto in quel vecchio tavolino vintage, con la luce giallo sbiadito, tipica delle case di campagna, trovare la concentrazione era quasi impossibile. L'unica connessione che avevo con quella 'strana' scienza era mia nonna, una contadina marchigiana, juventina e bella paffuta, che univa l'arte della semplicità a quella dell'ironia. Mentre ripuliva gli ortaggi, mi vedeva terribilmente in panne e sentenziava, strizzando l'occhio: "Basta che ti ricordi che due più due fa sempre quattro". In un dialetto stretto e piuttosto antico, più simile ad un latino allo stato grezzo che all'italiano, aveva ridicolizzato secoli di studi.

Perché, alla fine, la chiave è tutta lì. In matematica due più due fa sempre quattro. Che si tratti di sommatori algebrici o quant'altro, il segreto della matematica è che non ci sono fini che giustificano i mezzi, non ci sono sentieri filosofici o psicologici, non ci sono ricordi. Quando le dicevo di non capire ciò che stavo facendo, lei mi rispondeva con un sontuoso: "Per forza! Il due sotto la linea mica è uguale a quello sopra!". Come si fa a non rimamare estasiati, dinanzi a cotanta semplicità?  Amavo vedere le partite con lei.
Da milanista di lungo corso, una "nemica giurata" era l'unica che avesse la possibilità di sedermi accanto. Utilizzava la sua naturalezza anche lì. Parlavo spesso con lei, spiegandole quello che leggevo su giocatori e allenatori, ma a lei non interessava, poco avvezza com'era ad ascoltare "quello che dicevano i giornali". Nel suo dizionario non era presente né, tanto meno, concepibile, l'inglese. Così come ogni altra forma di neologismo estero. E così Ibrahimovic era "scarpe longhe" (scarpa lunga), perchè aveva sentito in tv che portava il 46 di piede. Buffon non esisteva, era semplicemente chiamato "Zoff",perchè il portiere della Juve poteva essere chiunque, ma sarebbe comunque stato Zoff. La partita in tv, si sa, è un altro sport rispetto a quella vista dal campo: c'è solo una porzione di terreno che si vede, si presta poca attenzione ai movimenti corali, ai volti dei protagonisti. Lei riusciva ad azzerare quella distanza. Non esprimeva mai giudizi su una singola giocata, su una rovesciata, su un colpo di tacco. Non aveva mai assaporato l'aria di un campo di gioco, eppue osservava quello che interessa ad un allenatore: la corsa, i movimenti, la prestazione.

E così, poco prima dei mondiali del 2006, in piena calciopoli, nel marasma delle critiche a tutti i giocatori dell'Italia presenti alla manifestazione, la sentivi mugugnare. "A lujo se sta stritti sulu carru, arermonta su pure 'ssi quattro gatti de jornalisti ( a luglio staremo stretti sul carro, saliranno anche questi quattro giornalisti). Con la cataratta che avanzava impietosa, i suoi commenti erano sempre più lapidari e scarni, ma sempre più inerenti e meno matematici, tanto quanto la sua vista. Nel Milan-Juve dello scorso anno, finita 1-0, con la Vecchia Signora nettamente più forte, alla presentazione delle squadre in campo, la vidi stringere gli occhi, immobile sulla poltrona, e poi scuotere la testa, senza muovere il corpo. "Che c'è, ti senti male?". "No, è che oggi la juve perde, hanno la faccia spaurita, voialtri siete più sicuri".

Montella era "faccia pulita". Le piaceva, Montella. Diceva che era una persona seria, con la faccia limpida. Diceva sempre che si può mentire con la voce, ma con gli occhi mai. E per lei Montella aveva gli occhi sereni. Nemmeno lei amava la matematica e i concetti associati. Guardava una partita e ti diceva subito che "quella squadra corre meglio". Senza curarsi per niente dove fosse il pallone. Incredibile a pensarci ora: aveva 90 anni, parlava a stento, vedeva ancora meno, ma prestava attenzione massima alle cose che contano davvero in una partita. Quando sentiva sciorinare, nelle trasmissini sportive, dati e statistiche sul possesso palla e sui km percorsi, si lasciava andare ad un laconico "Per carità, va de retro...". Per lei i numeri non erano alieni, erano di più, una minaccia. Non guardava mai le classifiche, mai. Guardava la sua squadra. Se, in un dimenticato mercoledì di dicembre, si giocava un poco interessante "Juve-Casertana" di Coppa Italia, lei si sedeva a vederla come fosse fosse uno Juve-Real semifinale di Champions. Non le interessava se la Casertana fosse undicesima in serie C e la Juve prima in serie A. Era lo spirito vero del calcio.

Lei lo avrebbe salvato, Montella. Quando, anno scorso, oramai vicina al declino, sentiva le prime critiche dopo i primi "errori tattici", soleva affermare: "... e lasciatelo lavorare in pace, ma che v'ha fatto, ma non era bravo?". Le piaceva che stesse a braccia "conserte" in panchina, amava il suo stato perennemente riflessivo. Quando lo inquadravano mangiarsi le unghie soleva sentenziare che "ogni morso è un pensiero". Il calcio era pura poesia, fatto di gesti, emozioni, piccoli proverbi antichi applicati ai vari momenti delle partite. Come quando, in una partita del Milan, in Champions, vide avanzare Oddo palla al piede, e sentì il telecronista pronunciare un "si sgancia ancora Oddo, sta avanzando molto Oddo". E lei gli rispose con un ben più fornito: "Eh, caro mio, chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova". Oddo perse palla e il Milan prese goal.

Se ne è andata in piena estate, non ha fatto in tempo a vedere Bonucci (quello bello, lo chiamava così) cambiare casacca.
Quando osservo la sua foto, al cimitero, non provo dolore come una perdita irreparabile, provo malinconia mista a gioia. E' come se mi stesse ripetendo quello che mi diceva sempre: "Si scende dal pagliaio, mai dal carro!".

E così, quando penso alla mia squadra, mi viene in mente lei. Con i suoi giudizi e le sue massime. Con quella semplicità estranea completamente al mondo di oggi. Mi viene in mente che Montella fino a due mesi fa era quasi un eroe. Per aver portato una 'mezza squadra' in Europa. Che per Bonucci il Chelsea era diposto a spendere 60 milioni, ma lui è venuto al Milan per 40. Mi viene in mente che Kessié lo voleva mezza Europa, che Conti era il futuro. Che Donnarumma era il portiere più forte del mondo. Che Bonaventura era da Nazionale. Mi viene in mente che Montolivo non lo voleva più nessuno, che Galliani e Berlusconi avevano stufato. Che qualsiasi attaccante era meglio di Bacca. Mi viene in mente che Locatelli era un giovane di qualità. Che Spalletti era un uomo piccolo per aver gestito male Totti. E mia nonna che si schifava.

Ora lei non c'è più, Montella è sempre in discussione, Bonucci non vale nulla senza Barzagli e Chiellini, Kessie è un bidone rifilato dall'Atalanta, Conti infortunato, Bonaventura va bene solo in un Milan mediocre, Montolivo è meglio di Biglia, Galliani e Berlusconi sono tornati ad essere seri rispetto a questa dirigenza, che Bacca sarebbe stato meglio di Kalinic, che Locatelli non vale nulla.
E Spalletti è un grande uomo, basta vedere come ha messo a tacere Totti.

Sono passati 3 mesi, non vent'anni. Ed è cambiato tutto. Se dovessimo sottostare alla matematica, Montella sarà esonerato. I numeri dicono che il tanto agognato "quarto posto" è troppo distante, ci sono troppe squadre in mezzo, e "quelle davanti non perdono un colpo". Ma se ripenso a lei, mia nonna, preferisco rimanere sul carro di Montella. Preferisco vivere la speranza che la matematica, per una volta, abbia torto.
Che il Milan recuperi. E che Montella abbia la possibilità di proporre il suo calcio. Perché quelli che credono nella matematica e basta non mi piacciono. Preferisco sperare di batterla che arrendermi.
Perchè la matematica è troppo arrogante! E, come diceva mia nonna, "quando perdi contro uno arrogante, non ti abbattere mai, mai! Cerca di capire se ha vinto perchè era più forte, o se aveva la corazza. Se aveva la corazza, non è un tuo demerito. Non cercare mai vendetta, cerca sempre di rigiocarla. Perchè se lo trovi senza corazza, finisce diversamente...".