Oltre che per tanti difetti, nel mondo gli italiani sono famosi per la loro allegria e per una buona dose di creatività, che miscelati a volte danno qualcosa di simile alla follia.

Nel calcio siamo stati a lungo legati, con ottimi risultati, a questa idea del singolo che, con il suo talento, prevale sull'organizzazione del gruppo. Anche se, dietro ad ogni funambolo del pallone c'è un portatore d'acqua, come nella canzone di Ligabue. 

Sofia Goggia, che stanotte in Corea ci ha regalato uno storico oro olimpico, ha il merito, al contrario di molti giovani calciatori nostrani, di aver nel tempo affinato il suo enorme talento con l'impegno, la costanza e quella che lei stessa ha chiamato "intelligenza tattica".

A dire il vero, sembra proprio che Bergamo sia una delle poche isole felici dello sport italiano: forse in quel mix di sfrontatezza e cultura del lavoro risiede il segreto di tanti sportivi orobici che riescono ad affermarsi.

Ma la lezione di Sofia ci insegna anche altro, perché in lei, soprattutto dopo il grande spavento di Cortina qualche mese fa, ha prevalso una dote fondamentale: il coraggio.

Come nazione e come popolo stuamo perdendo coraggio, ci stiamo sedendo in una triste rassegnazio sulla altrui superiorità. Dov'è l'Italia che ribatte colpo su colpo all'Argentina e al Brasile? E quella che va a vincere i Mondiali proprio in Germania?

Torniamo ad insegnare il culto del lavoro e il coraggio. Torniamo ad "osare".  Altrimenti il nostro volto rimarrà quello triste e piagnucolante dell'Italia di Ventura.