Prima era la fidanzata, poi, dopo averne definitivamente conquistato i cuori, è diventata la signora dei tifosi di mezza Italia, oltre che la regina del calcio italiano. La Juventus, nella sua più che centenaria storia, è un capitolo a parte tra le tante vicende della società calcistica del nostro paese. È nata e cresciuta, si è consolidata ed imposta a Torino; in realtà ha saputo farsi amare con tanta emozione ed intensità, (grazie alle incessanti vittorie sui campi), da essere diventata un patrimonio nazionale, amata ovunque. E’ passato più di un secolo da quando alcuni studenti torinesi, forse più per scherzo che per altro, improvvisano la nascita di una società di calcio. Mai più avrebbero immaginato, pur nella beata allegrezza, e nel gioioso ottimismo di quei loro giorni, di aver dato il "la" a qualcosa di tanto importante e duraturo.
Perché al contrario di ciò che accade per le signore in carne ed ossa, alla signora Juventus il trascorrere del tempo anziché disegnare rughe e stanchezza sembra costituire balsamo di giovinezza. Prova ne siano queste ultime annate, di crisi sì, ma sempre con la convinzione e con la fiducia che viene da una storia di vittorie dovute a profonde innovazioni che hanno sempre saputo cogliere successi e affermazioni, come se il filo della continuità non si fosse mai spezzato. Questo, tra i tanti, un altro grande segreto della Juventus: riuscire a rimanere miracolosamente se stessa anche quando non solo gli uomini che la compongono e la fanno, ma addirittura i tempi, il mondo, le cose tutte attorno si trasformano in modo travolgente. In altre parole, la Juventus è sempre se stessa, immutata, a volte persino glaciale nella sua meravigliosa sovranità. È per questo che, negli anni, si è sempre parlato di stile Juventus, come di una specie di segno distintivo, chiaro ed inequivocabile.
E poi, quanti, quanti campioni, i fuoriclasse, i geni calcistici che sono sfilati in maglia bianconera in ogni epoca. Ricostruire e ricordare i primi anni della storia juventina e scoprire quanto essa coincida con la storia stessa del calcio italiano è esaltante.
Quella della Juventus, è una storia che a tratti sembra confondersi con una fiaba. E come tutte le fiabe che si rispettino non ha un finale, ma una eterna prosecuzione che trova spazio nella fantasia e nel sogno di ogni tifoso.

La fantastica storia della Juventus incominciò sul finire dell'Ottocento in una Torino di 300.000 abitanti, una città in qualche maniera ancora legata allo spirito risorgimentale ma, allo stesso, tempo protesa con impegno verso il secolo nuovo che avanza. Imprese dolciarie e vinicole, tessili e chimiche, pulsano vivaci, e dal capoluogo subalpino propongono con successo i loro prodotti oltre le frontiere, mentre prepotente l'industria automobilistica è pronta a proporsi con la sua modernità sulla scena internazionale. In questi tempi cominciano ad esserci in giro i primi footballers, vale a dire quegli originali signori che sui prati cittadini o sullo sterrato di qualche angolo di viale si contendono in una inedita sfida coi piedi il possesso di una palla. Niente a che vedere con gli sport, sia ben chiaro! Sostiene l'opinione pubblica. Nulla di temerario e ntrepido come per i ciclisti o gli alpinisti però... Sicuramente è divertente e poi la sfida col football accomuna questo e altro ancora, non vi è dubbio: aveva intanto iniziato a proporsi nella considerazione dei più attenti; in modo particolare aveva fatto breccia nei discorsi dei più giovani. Il fenomeno football era approdato a Torino da una decina d'anni grazie alla pratica dimostrazione di eccentrici nobiluomini e borghesi di buona educazione che ne avevano appreso i rudimenti durante i loro soggiorni in Inghilterra. A questi pionieri si accomunavano nel gioco non pochi inglesi e svizzeri residenti in città. Teatro delle loro gesta, di norma, i vasti Prati del Valentino. E Come in una favola, proprio al Valentino, sul bordo del Po, che guarda la collina, la leggenda juventina racconta che un gruppetto di giovanissimi studenti resta attratto dalla visione del gioco: basta annoiarsi con la statica ginnastica, molto più divertente lanciarsi in rincorse liberatorie dietro a quella saltellante sfera di cuoio.
Il messaggio è raccolto da alcuni ginnasiali. Di bocca in bocca, tra questi quindicenni che frequentavano il liceo Massimo D'Azeglio, si prende così a parlare di football con sempre più frequenza, con il medesimo interesse con il quale amavano peraltro discutere di podismo e di ciclismo, quest'ultimo davvero in gran voga in quel periodo. Specialmente discutevano di imprese sportive e si cimentavano in gare di corsa lungo il viale, quando, al pomeriggio dopo la scuola si davano convegno nel solito posto. Intorno ad una panca di Pietra Del Corso Re Umberto. Il primo novembre del 1897 alle tante parole seguiranno i fatti. Riuniti al numero 42 di Corso Re Umberto, nell'officina di biciclette di due ragazzi promotori, i fratelli Canfari, viene decisa la costituzione di un club sportivo che consente a tutti i soci di praticare i loro sport preferiti. È nata la Juventus: sono una quindicina di studenti che sottoscrivono lo storico patto: sono i soci fondatori di un club destinata a segnare, in maniera profonda, la storia calcistica del mondo.

Per entrare a far parte del sodalizio, si narra che gli aderenti dovettero impegnarsi al versamento di una quota mensile pari ad una lira.
E certamente curiosa è anche la vicenda che ha portato alla scelta del nome da dare alla società: ne fioccano di tutti i generi, ricorda in uno scritto del 1914 Eugenio Canfari, floreali come Iris club, scolastiche come: società Massimo D'Azeglio, Augusta taurinorum, eccetera. Si venne finalmente alla seduta decisiva: battaglia grossa! Da una parte i latinofili, dall'altra il classicheggianti, in minor numero i democratici. Sport Club Juventus riuscì a prevalere su tutte. Nella Juventus non si invecchia!

Risolto il problema del nome in Sport Club Juventus, l'altra questione che stava molto a cuore agli juventini era il potere di disporre di una sede. Si incaricò di cercarlo il presidente eletto Eugenio Canfari, con l'aiuto del fratello. Presto ne venne fuori un locale di 4 camere in un cortile, con tanto di soffitta e di acqua potabile. Davvero niente male per un affitto mensile di 6 lire, e considerate le modeste risorse dei ragazzi. Trovarono in questo modo spazio e soddisfazione gli amanti della lotta greco-romana, potevano confrontarsi con la sbarra i ginnici, ma soprattutto vi era spazio per tutti: amanti del tamburello, della palla vibrata e per i footballers era il luogo di ritrovo. Questi ultimi, ormai da mesi, avevano acquistato il loro primo pallone spendendo ben 12 Lire, per non dire delle partite. Interminabili sfide in famiglia sui prati del Valentino, che già avevano coinvolto nella avventura nuovi amici ed altri compagni di scuola. Crescevano i soci footballers, e per contro si allontanavano lentamente i puri delle altre discipline sportive, e bisogna quindi rivedere la ragione sociale della società. Tocca renderla più aderente alla realtà; è per questo nel 1899 se ne modifica la denominazione in Football Club Juventus che rimarrà tale fino ai giorni nostri. Intanto l'anno prima alla presidenza di Eugenio Canfari era succeduto Corrado Enrico, ed anche la sede era stata nel frattempo spostata in un altro cortile: tre grandi camere al numero 4 di via Piazzi, zona Crocetta. Gran fermento alla Juventus negli ultimi mesi del secolo che sta per venire. Non solo è stata modificata la denominazione sociale, ma sono stati aggiunti allo statuto nuovi articoli. Uno di questi prevede per i giocatori versamento annuo di dieci lire mentre gli aggregati ne pagano 5, con diritto però di assistere gratuitamente alle partite. E anche il tempo, questo, in cui per far conoscere meglio la società ai torinesi Canfari e soci bandiscono un torneo di calcio, invitando alla contesa le squadre cittadine più in vista. Tutti in ghingheri, come bisogna, si intende… E per l'occasione, la società adotta per la prima volta una divisa di gioco: camicia rosa con colletto bianco, cravattino nero e merletto di Piquet bianco alla savoiarda. La scelta di questa sgargiante soluzione non era stata dettata da preferenze, ma più semplicemente era un ripiego imposto dalle precarie condizioni economiche degli intrepidi studenti juventini. Ed allora bisognò dire grazie al padre di quel socio che mise a disposizione una pezza di percalle, prelevandola dai fondi di magazzino della sua azienda tessile. Da quella stoffa vennero ritagliate cucite le camicie; per calzoncini, calzettoni e scarpe ognuno avrebbe adoperato quel che di nero aveva così anche la questione della divisa di gioco era stata risolta. Con l'arrivo del 900 la società entra a far parte della FIF la federazione Italiana football costituitasi a Torino, nel marzo del 1898. Di conseguenza poté partecipare al campionato italiano, il terzo della storia. Eliminata di misura nella fase locale si prende nello stesso anno la soddisfazione di vincere vari tornei: a Milano, la medaglia d'oro messa in palio dalla società “l'esercito”; a Torino, un servizio da scrittoio offerto dalla ginnastica Magenta; ancora a Torino la coppa “ministero pubblica istruzione”, successo questo che ribadirà nei 2 anni seguenti. Si impone anche ad Asti nel 1901, su un lotto di numerose squadre Liguri e piemontesi e si aggiudica il Gonfalone e medaglia del municipio. Mentre sul fronte del campionato pur dimostrando di saperci fare nella fase locale non riesce ancora a trovare un assetto che le consenta di accedere come vorrebbe alla fase conclusiva. Ma è questione di mesi: con l'ingresso in società di giovani provenienti da altri ambienti sociali, quali impiegati ed operai dell'Industria; con l'inserimento in squadra dei primi stranieri, uno svizzero e uno scozzese tecnici di una filanda, la Juventus continua a rafforzarsi senza snaturare la sua caratteristica goliardiche, ed è di lì a poco, nel campionato del 1903 che giunge finalmente l’occasione: è la partita finale per giocarsi il titolo col Genoa che fino a quel momento, su cinque campionati disputati, se n'era aggiudicati 4. Non va! Ma l’impresa è solo rimandata. Oltretutto da quell'anno la squadra si è pure data una nuova divisa di gioco: una casacca a strisce verticali bianco e nero. Aneddoti raccontano che questa tenuta sia giunta in un pacco da Nottingham dove erano state ordinate vere maglie e che il fornitore abbia inviato al mittente le prime ed uniche disponibili in quel momento in magazzino, pare inoltre che all'inizio quella maglia non abbia soddisfatto pienamente gli juventini, pardon, i bianconeri. Perché una cosa è certa: da quel momento la Juventus con questa combinazione di colori si è regalata la sua identità, la sua bandiera.

Nel 1905 la Juventus conquista il suo primo titolo. Del football hanno intanto iniziato ad occuparsi persino i giornali. Brevi notizie, niente di particolare, ma quel tanto che basta per farci intuire meglio qual era il clima dell'epoca.
A Genova, riferiscono le cronache, si giocava meglio perché si giocava all'inglese; a Milano si giocava duro, alla Svizzera, a Torino si giocava in difesa, e si ripartiva in rilancio all'attacco, ognuno per sé, e… si vinceva!
La Juventus, applicando questa tattica, aveva dunque inventato il gioco all'italiana,
un gioco che ci ha permesso, attraverso affinamenti ed evoluzioni, di vincere. E di continuare a farlo fino ad oggi. Ovunque e sempre!