La Juventus di Furino.

Al primo anno a Torino, cioè nel 1969, Furino non parve godere appieno della fiducia della società bianconera. La svolta arrivò nel 1970, dapprima con l'avvicendamento in panchina tra Luis Carniglia ed Ercole Rabitti, proveniente dal settore giovanile e che per questo ben conosceva le qualità di Furino, e poi con l'insediamento in società dell'ex bandiera bianconera Giampiero Boniperti, che puntò senza indugi sul giocatore, il quale nel frattempo crebbe sotto la guida di Armando Picchi, prematuramente scomparso, e del suo erede Čestmír Vycpálek, divenendo presto uno degli inamovibili della squadra: in particolare, fu proprio il tecnico cecoslovacco a stabilizzarlo in campo come mediano, “quello che io ho sempre sentito come il mio ruolo naturale”, così dichiarerà Furino stesso, anni dopo. Quel diavolo di Furino, detto “Furia”, provvedeva a compiere sfaceli. Contrastava e rilanciava per tutti. Capello, alleggerito nel lavoro d’interdizione, distribuiva con sapienza portandosi sovente al tiro. Haller e Causio, geniali quanto discontinui, trovavano comunque sempre il modo di inventare una giocata vincente e da applauso. Ma il popolo juventino sugli spalti, trepidante, letteralmente impazziva quando incrociavano  sotto porta l’imprevedibile Pietruzzo Anastasi e l’elegante Roberto Bettega, detto «Bobby-gol». Raffinato coi piedi e bravo di testa, Bettega era ritenuto l’erede di Riva, anche per la non comune potenza d’urto. Per sua sfortuna la tubercolosi lo toglierà dal gioco a metà campionato e potrà ripresentarsi in campo soltanto nella stagione successiva. Al suo posto si alternano Novellini e Savoldi II. Gioca in questa stagione 10 partite anche l’inesauribile Cuccureddu. Nel1’estate del ’72 viene perfezionato col Napoli l’acquisto di Dino Zoff, portiere che ad Albertosi contendeva la titolarità della maglia della Nazionale. Per premunirsi, nel caso Bettega tardasse il pieno recupero fisico, viene innestato nella rosa José Altafini, campione grandissimo a fine carriera, cui il Napoli concede la lista gratuita. Ed è un’altra volta scudetto, a dispetto di un torneo equilibrato, in cui Milan e Lazio rimangono in lizza fino all’ultima giornata. Ma pure la Juve ha dovuto spremere tutto quanto aveva, per imporsi: arrivata per la prima volta in finale nella Coppa Campioni, a Belgrado contro il temibile Ajax di Cruijff, cede per 1-0 alla squadra olandese il prestigioso trofeo e, sulla scia negativa, perde anche la finale di Coppa Italia. Haller torna in Germania e dal Varese viene ingaggiato il difensore Claudio Gentile, un giovanotto scuro di pelle e bruno di capelli, dotato di un gran temperamento. Però la Lazio di Maestrelli e Chinaglia in questa stagione 1973/74 è davvero forte; ai bianconeri tocca la seconda piazza e si vedono sfuggire la Coppa Intercontinentale nella partita mondiale che li oppone all’Independiente.
Intorno al blocco portante si riparte con le solite belle intenzioni. Allenatore: Carlo Parola. Il ventunenne Gaetano Scirea in arrivo dall’Atalanta è di classe cristallina, sa difendere ed impostare con la testa tenuta sempre alta. Oscar Damiani, detto «Flipper», è arrivato per folleggiare sulla fascia. Risultato: sedicesimo scudetto.

Col Torino la rivalità è ai massimi livelli. Una volta per uno non fa male a nessuno. Come a dire: se arriviamo secondi dietro il Toro, l’anno dopo sono i granata che devono arrivare alle spalle, e noi davanti. L’emotivo confronto cittadino tra «cugini», come detto, è straordinario in questi anni. Pulici, Graziani e Sala, con alla testa Radice, hanno riportano in primo piano il Torino, da troppi anni alla finestra ad osservare gli altrui successi. Però la Juve del neo allenatore Giovanni Trapattoni, detto "Trap", ribatte colpo su colpo, con Zoff, Cuccureddu, Gentile; Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega, Bobo Gori, Spinosi, Cabrini, Marchetti II. Dopo una stagione entusiasmante, i bianconeri, con 51 punti, precedono i torinesi fermi a 50 e, sullo slancio, conquistano la Coppa Uefa, la prima Coppa Internazionale, in assoluto, e viene da una squadra interamente composta da giocatori italiani.
 E' l’estate del 1977. Il presidente Boniperti, che conosce il calcio, aveva capito che il football andava facendosi sempre più frenetico. Ma, soprattutto aveva ben chiaro in testa che bisognava pianificare ogni cosa, con sempre maggiore attenzione, se si voleva continuare a primeggiare in questo genere di competizione sempre più dilatata ed internazionale. Aveva per questo voluto con sé Trapattoni, quasi esordiente come tecnico, dotato però di grande carattere e serenità e, non da ultimo, di una notevole esperienza come calciatore di fulgidi trascorsi.
Ceduti Anastasia all’Inter e Capello al Milan, come contropartite per il campionato 1977/78 erano stati ingaggiati Roberto Boninsegna e Romeo Benetti, due atleti di provata esperienza e solidi come il marmo. Si passa dal faro in mezzo al campo, il classico regista, ad una squadra che si affida a cursori veloci e inesauribili, per far correre la palla. Marco Tardelli, Tardellino per via del fisico leggero ma robusto, acquistato dal Como, si fa presto interprete ideale di questo modo di giocare da mezz’ala. Benetti con la sua stazza atletica regge un’incredibile mole di lavoro con forza e grinta. Furino, trait d'union, di tutte queste Juventus, motorino attorno a cui viene di anno in anno costruita la carrozzerie, terzo uomo del centrocampo: contrasta, imposta, va su e giù per il prato usando la sciabola con grande efficacia e, detto a posteriori, non si è mai compreso perché la nazionale lo abbia quasi sempre snobbato.
Dietro, in difesa, non ce n’è per nessuno. Zoff tra i pali non concede sorrisi nè, tantomeno, goal; Cuccureddu, terzino di spinta, fa soffrire qualsiasi attaccante, al punto che ogni tanto si permette, lui stesso di andare in goal con tiri potenti. Gentile è un martello pneumatico, tanto sa stare addosso all’avversario di turno, Morini e Scirea in mezzo all’area giganteggiano e non sono da meno. Causio è diventato la fantasia assommata al rigore atletico: non sbaglia più una partita. Bettega e Boninsegna fanno sentire il loro peso nelle aree altrui e sono sempre dolori per tutti: Bonimba, 12 gol in campionato e cinque in Coppa, Bettega simbolo dell’intera squadra per serietà, generosità, disponibilità, disputa una delle sue più belle stagioni andando in rete la bellezza di 17 volte. Come una potente auto da corsa, questa Juve si ferma ai box solo per una messa a punto, pronta a ripartire. Sistemato l’attacco con gli acquisti di Fanna e Pietro Paolo Virdis, richiamato Verza dal prestito, mette in campo con grande continuità il terzino Antonio Cabrini, il bell'Antonio di Cremona che tanto piace al pubblico femminile, al punto da essere soprannominato il fidanzato d'Italia, aggressivo e tecnico, abile nel proporre il contrattacco sulla fascia, producendosi in fantastiche volate. Né più né meno come vola l’intera squadra, alla conquista dell’ennesimo scudetto. Il diciottesimo. A proposito di volare, c’è da ricordare che ben 9 giocatori juventini prendono parte con la nazionale ai campionati del mondo in Argentina: Causio, Bettega e compagni accendono le notti sudamericane e l’Italia si classifica al quarto posto, ottenendo i più favorevole giudizi della critica internazionale. Dopo il mundial pare fisiologico un calo di tensione. Almeno, così sono in molti a sostenere. La Juventus non smentisce la teoria e nelle due stagioni seguenti si accontenta di un terzo e secondo posto in campionato e di vincere ancora una Coppa Italia. Se Brio, Claudio Prandelli, Domenico Marocchino, Roberto Tavola, Luciano Bodini sono nel frattempo entrati a far parte dell’organico e per l’imminente riapertura delle frontiere è viva la curiosità di conoscere quale sarà lo straniero bianconero. William Brady, irlandese, mezzala dell’Arsenal, si presenta Torino per indossare la maglia numero 10 della signora. 1980-81 torna il titolo alla Juventus 1981-82 la società bianconera ribadisce il tricolore.
Con questo fanno 20 scudetti e sulla maglia può comparire la seconda stella dorata. La gioia Juventina è all’apice. Per chi non la pensa nello stesso modo la squadra di Agnelli naturalmente è sempre più stucchevole, tanto e blasonata. Vanno e vengono i giocatori chiamati a collaborare col telaio portante dei grandi Zoff, Gentile, Cabrini, Furino, ma, in realtà non fanno più notizia perché la musica è sempre la medesima. Galderisi, Storgato, Osti, Bonini e il rientrato Paolo Rossi, sono gli ultimi arrivi che hanno contribuito all’incredibile egemonia juventina. La stagione 1982 si conclude con il calcio nazionale in gloria: nel caldo della Spagna estiva gli azzurri di Bearzot regalano all’Italia la terza coppa del mondo. Tra gli artefici della Vittoria ci sono ben 6 giocatori della Juve, Zoff Gentile Cabrini, Scirea, Tardelli e Paolo Rossi. Torna allora di moda sulle colonne dei giornali nei discorsi degli sportivi, la teoria che vuole atleti spenti dopo un mondiale. Per questo la Juve non si confermerà al vertice, anche se ha comprato Boniek e Platini, che peraltro, hanno giocato il mondiale pure loro. La regola non viene sfatata neppure questa volta, seppure sia giusto parlare comunque di una stagione di vertice per una squadra che finisce seconda in campionato vince la Coppa Italia e perde la finale di coppa dei Campioni contro l’Amburgo. Ma si sa, per tutti noi tifosi Juventini è lo scudetto ad avere un sapore particolare. Per questo la Juve torna alla carica e subito riappacifica l’opinione pubblica nella stagione 1983-84 dove vince il campionato e la Coppa delle Coppe, superando in finale i portoghesi del Porto. Dino Zoff conclude così, con questi ultimi trofei una carriera straordinaria.

A 36 anni suonati, dopo quindici anni sempre al vertice e dopo aver vinto 8 scudetti, dice basta anche capitan Furino, il simbolo più fulgido della juventinità. La sua grinta, la sua capacità di lottare fino all’ultimo fanno di Furino uno degli emblemi del DNA Juventino. Quel “Fino alla fine”, che molti dei giovani tifosi usano per distinguersi dagli altri tifosi, si riferisce a lui.

Vladimiro Caminiti ha detto di lui: “nella sua storia leggendaria la Juve ha avuto eccelsi gregari.
Ma nessuno all'altezza di questo nano portentoso, incontrista e cursore, immenso agonista, indomabile nella fatica”.