La passione bianconera, instillata da mio padre, mi accompagna ormai (ahimè) da parecchi anni ma, fortunatamente, è stata una passione sempre ben riposta, perché i successi bianconeri si sono succeduti con una certa regolarità, dall’ adolescenza ad oggi.

Negli ultimi anni, il dominio è stato addirittura totale, senza soluzione di continuità ma, ciononostante, la mancata conquista della Coppa dei Campioni viene vissuta dal popolo bianconero con grande rammarico, al punto tale da offuscare gli ultimi otto campionati consecutivi vinti. Molti tifosi bianconeri omettono infatti di considerare (o magari minimizzano, dimenticando che nel 2006/2007 eravamo in serie B) che tale filotto resterà un'impresa irripetibile, costituendo un record assoluto nei cinque principali tornei calcistici (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Italia) del Vecchio Continente.

Eppure manca la Champions
Ma se ci fermiamo a riflettere, non possiamo sfuggire ad una serie di considerazioni.
In primo luogo, la tradizione bianconera nella principale competizione europea non è mai stata (per usare un eufemismo) particolarmente fortunata da sempre, in quanto dal 1973 al 2017, a fronte di due soffertissimi (ahimè anche per motivi extra calcistici) successi, abbiamo il record assoluto delle finali perse.

Ciò dovrebbe già indurre a considerare che la Coppa dei Campioni non è un trofeo che è nelle corde della Juventus. D'altra parte, in Italia, escluso il Milan, non abbiamo altre squadre, che abbiano fatto razzie di tale trofeo. L'Inter annovera tre successi, di cui due conseguiti nel Paleolitico.

Inoltre, mi sembra indubitabile che, ove durante questi otto anni di successi nazionali fosse intervenuta anche una vittoria in Champions cosa sarebbe realmente mutato? Nulla, se non un prestigioso trofeo in più che ci avrebbe consentito di eguagliare i nostri cari amici nerazzurri ma di rimanere nettamente lontani dal Milan e sideralmente staccati rispetto al Real Madrid.

Avremmo cambiato la nostra dimensione europea? Non credo proprio. Il nostro ranking sarebbe rimasto immutato, perché, a prescindere dalla vittoria in Champions, saremmo comunque rimasti nel novero delle formazioni più forti d’Europa, ma certamente non sul gradino più alto.

E dopo la conquista della coppa, cosa avremmo fatto?
A sentire certi opinionisti e tanti tifosi, la vittoria della Champions sarebbe stata da considerarsi un punto di arrivo, il culmine di un percorso. Ma stiamo scherzando? Il DNA bianconero non consente di “dormire sugli allori”, di fermarsi per autoglorificarsi, di ricordare per gli anni a seguire i trionfi degli anni precedenti.

Da sempre, la Juve vive il presente e si proietta nel futuro. I successi degli anni passati vengono immediatamente archiviati e ogni stagione si riparte per vincere tutte le competizioni alle quali si partecipa. Se così non fosse, la Juve non sarebbe la Juve.

Credo che il tifoso bianconero dovrebbe fare tesoro del fatto che essere juventino significa gioire quando si vince e riconoscere, sempre, il valore dell’avversario, quando si perde e la sconfitta è stata, purtroppo, una costante nella massima competizione europea. Ma, nelle vittorie come nelle sconfitte, la Juventus ha sempre e immediatamente voltato pagina, per scrivere un altro capitolo della sua storia e così dovrebbero appunto fare tutti i tifosi bianconeri, esorcizzando la “maledizione” Champions con una sana autocritica e una salutare auto ironia.

Un primo suggerimento, in termini di autoironia, potrebbe essere quello di adattare, a livello europeo, il nostro mantra "Vincere non è importante. E' l'unica cosa che conta" a "Perdere non è importante. E' l'unica cosa che ci riesce".

Alla innegabile goduria, che riusciamo a regalare a tutti gli antijuventini di Italia con le nostre sconfitte europee, dovremmo quindi sempre e solo ribattere con sereno distacco e con grande ironia, rammentando ai tifosi non sportivi, se milanisti, che non si vive di ricordi; se napoletani, che per perdere le finali bisogna giocarle ; se romanisti, che stanno ancora cercando dove sia finito il rigore calciato da Graziani nella finale di Roma del 1984 e, per finire, se cari tifosi interisti, che la loro terza coppa era da revocare perché caduta in prescrizione, essendo passato mezzo secolo tra la seconda e la terza.

Auspicheremmo quindi di ricevere da costoro pari distacco ed ironia (riconquistando così la sportività) nel ricordarci le nostre (innumerevoli) sconfitte europee. Vorremmo, per il loro bene, invitarli a cessare di provare un piacere perverso quando ci vedono soccombenti, in quanto tale sentimento, se non trova una definizione nella lingua italiana, è ben rappresentato nel vocabolario tedesco ed è assurto a patologia clinica denominata Schadenfreude.

“Nato dalla fusione di avversità e gioia (schaden più freude ), Schadenfreude è un termine, che descrive la gioia malevola, che si può provare davanti alle sofferenze degli altri. E’ il rovescio della medaglia dell’empatia e, probabilmente, il più vigliacco dei sentimenti”.

Vorremmo quindi che la smettessero, perché proviamo, nonostante tutto, grandissimo affetto nei confronti dei tifosi avversari non sportivi, in quanto la Schadenfreude è annidata, a parere dei neuroscienziati, soprattutto in coloro che hanno una bassa autostima di se stessi (e quindi della propria squadra) ed è considerata molto prossima all’invidia. Gli studi sulla Schadenfreude hanno confermato che il soggetto, affetto da tale sentimento, “prova la sensazione di non poter raggiungere con le proprie forze ciò che vorrebbe per sé e per riportare l’equilibrio nel confronto sociale deve passare per la distruzione materiale o simbolica dell’altro”. Che brutta cosa!

La Schadenfreude non va però confusa con l’ingiustizia quanto, più in generale, con la disuguaglianza. “ Scatta soprattutto quando l’altro possiede più di noi perché è migliore di noi, anche se non sempre siamo disposti ad ammetterlo: il travestimento della Schadenfreude con i panni dell’ingiustizia può risultare talmente perfetto che alla lunga finiamo noi stessi per crederci”

Meditate gente, meditate.