L’ultima sosta del campionato dovuta alle partite delle nazionali è finalmente alle spalle. Le vicende bianconere tornano al centro dell'attenzione dopo la fragorosa caduta della nazionale di Mancini, passata nel giro di pochi mesi dalla vittoria del campionato europeo alla seconda eliminazione consecutiva dalla Coppa del Mondo. Che la squadra avesse serie lacune era chiaro a tutti, che non ci fosse più lo spirito che aveva aiutato il gruppo a superare i propri limiti la scorsa estate era ancora più lampante. Dopo il rigore sbagliato da Jorginho all’Olimpico contro la Svizzera era ormai evidente che la strada verso il Qatar, pesantemente minata da una seconda parte di qualificazione decisamente negativa, costellata di pareggi contro avversarie alla portata, fosse ormai in insormontabile salita. La probabile sfida decisiva contro il Portogallo appariva agli occhi preoccupati del tifoso un ostacolo fuori portata per un gruppo azzurro che non era riuscito a trovare le risorse per un necessario rinnovamento dopo la vittoria in terra inglese. Nessuno però avrebbe mai potuto immaginare che la nostra nazionale non sarebbe neppure arrivata alla sfida contro i portoghesi. Eliminata dalla Macedonia del Nord al termine di un incontro in cui la pochezza offensiva della squadra di Mancini è emersa in maniera disarmante e irrimediabile. 

La caduta fragorosa contro la modesta nazionale macedone toglie qualsiasi alibi ad un sistema che da tanti anni, soprattutto dopo la precedente eliminazione subìta contro la Svezia, discute di necessarie riforme che però non riescono a vedere la luce, ostacolate dall’ostruzionismo di tante piccole entità (squadre minori, associazione calciatori, politici in cerca del quarto d’ora di celebrità) alle quali, da ormai troppo tempo, le società che dovrebbero rappresentare il traino all’intero movimento sono costrette a cedere il passo quando arriva il momento di approvare quei cambiamenti ormai non più procrastinabili, come ad esempio la riduzione delle squadre di un sistema calcio italiano assolutamente sovradimensionato.
Volgare e fuorviante infine indicare le cause del fallimento mondiale nella scarsa disponibilità della Lega ad andare incontro alle esigenze della Nazionale rifiutando di concedere un ulteriore turno di sosta (da recuperare quando?), come accusato da un presidente federale capace finora soltanto di distinguersi per idee assurde quali l’introduzione dei play off (idea tramontata con la fine del dominio juventino) e per la sua ossessione contro la Juventus, continuamente minacciata di esclusione dal campionato qualora dovesse andare avanti nel progetto superlega. E sarebbe interessante, a quel punto, vedere questo individuo organizzare e vendere alle varie tv il suo campionato senza la Juventus.

Archiviata quindi l’eliminazione azzurra, con dispiacere ma senza troppo rammarico (dopo aver vinto l’europeo in casa degli inglesi, rimane poco da chiedere al calcio internazionale), si torna a pensare alle vicende juventine.
La sosta ha finalmente visto la definizione del caso Dybala. La questione del rinnovo dopo circa due anni si è infine conclusa. Nella maniera peggiore, almeno per quella minoranza di tifosi bianconeri (quelli presenti allo stadio e pochi altri) legati al numero dieci e alle sue giocate. A giugno Dybala lascerà la Juventus a parametro zero, dopo sette anni e cinque scudetti vinti. L’epilogo si è consumato in un triste lunedì di marzo, quando l’agente dell’argentino ha ricevuto comunicazione dalla società che non ci sarebbero state offerte per rinnovare il contratto dell’attaccante. Il mondo bianconero si è spaccato a metà tra chi applaude la scelta coraggiosa della società di tornare sui propri passi dopo aver trovato un accordo nello scorso ottobre e chi invece pensa che perdere a parametro zero un giocatore come Dybala, con il concreto rischio di vederlo andare a rinforzare una diretta rivale, possa rivelarsi una scelta rischiosa. 
Di certo sono stati due anni strani, pesanti, fastidiosi per tutti. Una vicenda che si è trasformata in romanzo e che ha visto nel suo epilogo pesanti responsabilità anche da parte del giocatore. Grottesca ai limiti del ridicolo la scelta di farsi rappresentare da un individuo neppure in possesso dei requisiti per operare come agente. La necessità di rinviare la firma sull’accordo trovato ad ottobre, per permettere a tale Antun di ottenere il riconoscimento di agente da parte del Coni, rappresenta più di ogni altro il punto più basso dell’intera vicenda. Forse quello decisivo. L’ennesimo problema muscolare del giocatore (i cui guai fisici sono iniziati nell’agosto del 2020 con il forzato recupero per il ritorno dell’ottavo di Champions League contro il Lione) ha definitivamente convinto la società a rivedere le proprie decisioni. L’investimento necessario per trattenere l’argentino verrà dirottato altrove, probabilmente in altri ruoli (il reparto difensivo necessita di un profondo rinnovamento). Solo il tempo dirà se la scelta sarà stata quella giusta.

Un passaggio imprescindibile della ricostruzione bianconera rimane in ogni caso la conquista di un posto valido per accedere alla prossima Champions League. In una situazione di classifica diventata nelle ultime settimane piuttosto favorevole agli uomini di Allegri, arriva il giorno della sfida all’Inter. Avanti di un punto, e con una partita da recuperare, la formazione nerazzurra si presenta allo Stadium in quello che sembra essere il momento meno brillante della sua stagione. Accreditata dalla maggior parte dei pronostici come la vera favorita per lo scudetto e nettamente avanti in classifica fino a gennaio, la squadra di Inzaghi è andata incontro ad un brusco calo che la sta pericolosamente allontanando dalla lotta al vertice. La partita di Torino potrebbe rappresentare per i nerazzurri l’ultima occasione di rilanciare la corsa verso lo scudetto.

L’attesa per una partita che non sarà mai come le altre si esaurisce circa mezz’ora prima del calcio d’inizio, quando i vari canali di informazione annunciano le formazioni ufficiali.
Allegri, come anticipato nel corso della conferenza stampa di vigilia, sorprende con scelte sulla carta decisamente offensive. Presentata con un 4231, la Juventus scende in campo schierando Szczesny; Danilo, De Ligt, Chiellini, Alex Sandro; Locatelli, Rabiot; Cuadrado, Dybala, Morata; Vlahovic. Il tecnico bianconero ripropone dunque quel sistema di gioco che, con interpreti ovviamente differenti, alcune stagioni fa, permise alla Juventus di raggiungere lo scudetto e la, purtroppo povera di gloria, finale di Cardiff. Sulla sponda nerazzurra, Simone Inzaghi risponde schierando la sua squadra con il consueto 352. Handanovic; D’Ambrosio, Skriniar, Bastoni; Dumfries, Barella, Brozovic, Calhanoglu, Perisic; Dzeko, Lautaro Martinez. Queste le scelte iniziali dell’allenatore interista.
Il treno della pubblicità è il vero protagonista dei minuti appena precedenti l’inizio della sfida. In mezzo alla raffica di spot, la regia di Dazn riesce comunque a proporre rapidi scorci di uno stadio tornato finalmente ad accogliere il pubblico per la massima capienza consentita. Dopo oltre due anni, allo Stadium rientrano per la prima volta quarantamila spettatori. La scenografia, semplice ma di impatto, allestita dalla società contribuisce ad evidenziare l’entusiasmo del pubblico. Il tifoso davanti alla tv ripensa senza alcuna nostalgia al periodo delle porte chiuse e della capienza limitata e si gode i primi cori che si alzano nella notte torinese quando purtroppo la voce pesante di Pardo irrompe sulla scena. Con una raffica di banalità introduttive, cariche di enfasi, retorica e contaminazioni di cultura e spettacolo (chiamiamole così…) assolutamente non necessarie, il telecronista sovrasta il rumore del pubblico, sovrasta la seconda voce e i colleghi a bordo campo. Sovrasta tutti. Immediatamente si affaccia la tentazione di togliere l’audio.

Al fischio dell’arbitro Irrati, la partita inizia subito su ritmi sostenuti. E’ la Juventus a partire in maniera decisa e a proporsi per prima dalle parti di Handanovic, impegnato dopo nemmeno un minuto da un tentativo di Vlahovic in realtà piuttosto velleitario. La prima interruzione arriva dopo appena due minuti. Lautaro colpisce al volto Locatelli che rimane a terra per diversi minuti. Il direttore di gara sceglie di ammonire l’argentino. Decisione che può essere corretta anche se l’attaccante nerazzurro ha corso un rischio molto alto. Locatelli riprende la partita con una fascia intorno alla testa e un bozzo sopra l’occhio. Piace l’approccio determinato della Juventus. Chiamata dalle scelte tattiche di Allegri ad abbandonare il solito atteggiamento attendista, la squadra bianconera mantiene il baricentro alto, muove il pallone con grande velocità, cercando soprattutto attraverso Dybala e Cuadrado le giocate per alzare il livello qualitativo della manovra. Il colombiano dalla destra calibra un cross teso sul quale Handanovic interviene in maniera goffa e approssimativa. Il pallone si impenna, quindi ricade ad un metro dalla linea di porta. In mischia Chiellini è il più rapido ad intervenire. La sua deviazione però colpisce la traversa. Sfuma una grande occasione.

La Juventus è messa bene in campo e, soprattutto in questa prima parte di gara, mostra una condizione atletica decisamente superiore rispetto agli avversari. In mezzo al campo emerge Rabiot. Fin dalle prime battute di gioco, il francese, finalmente schierato in una posizione a lui congeniale, fa valere la sua forza fisica e il suo passo, favorendo un recupero palla rapido che permette alla Juventus di mantenere un ritmo che la squadra di Inzaghi fatica a contrastare. A centrocampo, la coppia formata dal francese e da Locatelli fornisce ottime risposte. Senza l’inutile Arthur e i suoi passaggini di cinque metri in orizzontale, la Juventus viaggia maggiormente in verticale, portando rapidamente il pallone nella trequarti offensiva. Intorno al decimo minuto, Rabiot sovrasta Calhanoglu e offre a Dybala la possibilità di accendere la sua partita. La conclusione dalla distanza dell’argentino termina di poco alta sopra la traversa.

L’Inter vive un inizio di partita di esclusivo contenimento. La squadra di Inzaghi è costretta dalla spinta bianconera a mantenere il baricentro basso e fatica a trovare il binario giusto per uscire con il pallone dalla difesa nel tentativo di alleggerire la forte pressione dei padroni di casa. Il recupero palla offensivo proposto dalla Juventus si rivela efficace. Chiellini entra nella metà campo interista per spezzare un tentativo di uscita di Dumfries. L’intervento del capitano bianconero favorisce Cuadrado che dalla distanza chiama Handanovic ad un intervento complicato. Le azioni nerazzurre si infrangono sul muro alzato a metà campo da Rabiot e Locatelli. E’ proprio il centrocampista italiano, con l’aiuto di Morata, ad innescare una veloce ripartenza che, rifinita da Dybala, permette a Vlahovic, dal vertice destro dell’area di rigore, di calibrare un cross perfetto verso il secondo palo. Morata arriva puntuale all’appuntamento con il pallone ma di testa non trova lo specchio della porta con Dybala libero al centro dell’area di rigore.
E’ la fretta nelle scelte di finalizzazione a tradire in qualche occasione gli uomini di Allegri che, per quanto mostrato in campo fino a questo momento, meriterebbero abbondantemente il vantaggio. Dybala approfitta di uno scivolone di Brozovic per involarsi verso la porta. Arrivato al limite dell’area, non vede Vlahovic libero al centro e preferisce concludere. Il sinistro parte debole e viene facilmente contenuto da Handanovic. Passa un minuto e Cuadrado sulla destra sfrutta un’indecisione di Bastoni, entra in area dalla linea di fondo ma il suo cross radente non incontra una deviazione amica.
Il ritmo della partita si mantiene sostenuto. La carica agonistica elevata porta ad un numero notevole di scontri in mezzo al campo. Fin dall’inizio, l’arbitraggio di Irrati non convince per nulla. Caotico e confusionario, il direttore di gara non trasmette mai la sensazione di utilizzare un metro di giudizio uniforme nelle varie situazioni che si verificano sul terreno di gioco. Skriniar in più occasioni è libero di colpire alle spalle Vlahovic con le braccia. Il fischio non arriva mai. Lautaro rischia il secondo giallo per un contrasto imprudente su Chiellini, giunto un attimo prima di lui sul pallone. Irrati sorvola. Sembra invece più puntuale, il direttore di gara, nell’assecondare i tentativi interisti di spezzare la pressione avversaria, intervenendo con alcuni fischi provvidenziali per contatti anche minimi lasciati correre a maglie invertite.

L’Inter si affaccia per la prima volta nella metà campo bianconera intorno alla mezz’ora. Un tentativo nettamente fuori misura di Brozovic e una percussione centrale di Calhanoglu contenuta da De Ligt, rappresentano la produzione offensiva degli uomini di Inzaghi fino a quel momento. Il ritmo inizia a calare. L’azione juventina è adesso meno efficace. Allegri perde Locatelli per un problema di natura fisica (tanto per cambiare…). Autore di una buona prestazione, il centrocampista italiano lascia il posto a Zakaria che andrà a far coppia in mezzo al campo con l’ottimo Rabiot. L’Inter, in questa fase, incontra minori difficoltà  ad arginare la manovra della Juventus. Gli uomini di Allegri continuano a gestire il pallone ma non riescono più a trovare lo spunto per impensierire la retroguardia avversaria. 

Il primo tempo scorre verso la conclusione. Dumfries, in uno spazio ristretto, tenta una percussione senza particolari pretese incontrando l’opposizione di Morata ed Alex Sandro. Il terzino olandese stramazza al suolo. Si dimena. Soffre per il dolore. Rantola. Poverino, sembra essersi fatto male sul serio. Il replay mostra un tocco di Morata sull’esterno del piede di Dumfries. Il tocco è molto leggero, al limite dell'insignificante, al punto che perfino il commentatore arbitrale Marelli non vede margini per un intervento da parte del Var. Il tifoso davanti alla tv invece è perfettamente consapevole di quanto sta per accadere. Figuriamoci se si fanno scappare l’occasione per dare un rigore a questi qui. Dopo quanto accaduto nel recente Torino - Inter, lo spazio per coltivare anche la minima speranza di una decisione differente non esiste.
Mazzoleni come previsto non si dimostra d’accordo con Marelli. Decide di ergersi protagonista della sfida, richiamando al monitor uno spaesato Irrati, frastornato dagli schiamazzi e dalle proteste nerazzurre intorno a sé. In panchina Simone Inzaghi urla. Il volto deforme. La decisione comunque è già presa. Il rigore arriva dall’alto. Irrati dà uno sguardo rapido al monitor e rientra in campo. Si limita ad eseguire la disposizione del Var. Sul dischetto si presenta Calhanoglu. Szczesny para l’ennesimo rigore della sua stagione. Il pallone rimane lì. De Ligt, Danilo e lo stesso Calhanoglu si battono per conquistarlo. Irrati fischia un momento prima che la palla, nella confusione, termini in rete. I giocatori in maglia nerazzurra, come da tradizione secolare, si scagliano contro l’arbitro. Barella, D’Ambrosio, Dumfries, Dzeko, Lautaro, Brozovic accerchiano il direttore di gara. Brutte facce, brutta squadra, brutta società.
Il gioco non riparte. Ancora Mazzoleni, dalla postazione Var, si prende la scena. Tira fuori dall’imbarazzo un frastornato Irrati trovando un piede di De Ligt appena dentro l’area giusto un attimo prima della battuta. Irritante fiscalità che a questo punto ci aspettiamo di vedere ogni settimana. Il rigore si ripete. Questa volta è Allegri a perdere la calma. L’allenatore si scaglia contro qualcuno (forse il quarto uomo?) agitando il cappotto. In campo, Irrati sventola cartellini gialli a caso. Non si capisce all'indirizzo di chi. Calhanoglu segna al secondo tentativo. Questa volta Szczesny, pur intuendo ancora la direzione del tiro, non può nulla sulla conclusione forte e angolata del turco.
L’Inter, senza aver mai tirato in porta fino a quel momento, si ritrova in vantaggio.
In tribuna, un brutto personaggio si alza per esultare.

Sono già trascorsi i cinque minuti di recupero concessi quando si riprende a giocare. La Juventus chiude il primo tempo con un diagonale di sinistro di Vlahovic che non riesce ad inquadrare la porta. La prima frazione di gioco va in archivio. I messaggi rilanciati dai vari gruppi di whatsapp, che accompagnano come al solito l’intervallo, vertono tutti sull’episodio del rigore. Quanto accaduto prima passa inevitabilmente in secondo piano. 
“Siamo alla farsa.” 
“Se fai ripetere questo rigore, li devi far ripetere tutti.” 
“Tra Sassuolo, Venezia, Torino e oggi li stanno trascinando.”
“Praticamente li hanno costretti a fare gol…” 
“Ma andassero tutti  a***”
Non serve aggiungere altro.

Esauriti i quindici minuti di riposo, senza novità di formazione da entrambe le parti, la ripresa può avere inizio. Si contano fin dai primi momenti del secondo tempo tante interruzioni. Si percepisce fin da subito la tendenza da parte dei giocatori nerazzurri di spezzare per quanto possibile il gioco. L’arbitro Irrati in queste situazioni non fa mai mancare alla squadra di Inzaghi un fischio benevolo. Non potrebbe nemmeno fare altrimenti, vista la solerzia con la quale, alla minima occasione, i dirigenti di questa società si presentano davanti alle telecamere per reclamare presunti torti e ricusare direttori di gara.
La Juventus riparte nella stessa maniera con la quale aveva condotto gran parte del primo tempo. Baricentro alto e pressione sui portatori di palla interisti fin dall’inizio della manovra. L’atteggiamento degli uomini di Allegri crea imbarazzo nei palleggiatori non raffinati di Inzaghi. Handanovic in affanno sbaglia il rinvio e serve Morata al limite dell’area. Lo spagnolo libera Dybala che in area cerca Vlahovic con un tocco morbido. Brozovic è bravo a capire le intenzioni dell’argentino e a chiudere in angolo. Ancora la Juventus si rende pericolosa con una combinazione avviata da Dybala. I passaggi, precisi e di prima intenzione di Alex Sandro, Morata e Zakaria lanciano l’argentino nel cuore dell’area avversaria. Questa volta è Perisic a chiudere l’attaccante bianconero un attimo prima della conclusione. La partita si svolge costantemente ai limiti dell’area nerazzurra. La Juventus spinge, cerca il varco nel quale aprire una breccia nel folto muro di maglie avversarie, ottiene tanti calci d’angolo. Nel gioco aereo però la fisicità degli uomini di Inzaghi si dimostra insuperabile per i bianconeri che dai tanti tiri dalla bandierina, non tutti calciati in maniera perfetta, ricavano qualche mischia e poco più. 
Il cronometro inizia a scorrere troppo velocemente. Bastoni colpisce Zakaria al limite del lato corto dell’area. Irrati fischia la punizione. Il replay lascia il dubbio che il fallo sia avvenuto sulla linea, quindi in area. Mazzoleni ferma ancora il gioco per un paio di minuti prima di decidere che le immagini non sono sufficientemente chiare per stabilire se il fallo sia avvenuto dentro o fuori dall’area. Si procede con la battuta della punizione dalla quale Dybala ricava soltanto l’ennesimo calcio d’angolo. Le successive riproposizioni dell’episodio incriminato lasciano meno dubbi circa il punto in cui si è verificata la scorrettezza di Bastoni. All’interno dell’area di rigore.
La Juventus insiste alla ricerca di un pareggio che per quanto visto in campo meriterebbe e forse le starebbe anche stretto. Rabiot, alla prestazione più convincente da quando veste il bianconero, domina il centrocampo sovrastando fisicamente gli avversari. Il francese trova una traccia verticale per Vlahovic al limite dell’area. Il serbo si libera di Skriniar e con il destro cerca il palo più lontano, mancando la porta per una questione di centimetri. Non sembra davvero una serata fortunata per i colori bianconeri.

Allegri prova ad inserire forze fresche. Richiama Morata e Alex Sandro. Al loro posto entrano Kean e De Sciglio. Le sostituzioni destano qualche perplessità visto il divario tecnico tra chi esce e chi entra. In panchina però non c’è molto altro. Forse il tecnico punta sulla maggiore brillantezza dei nuovi entrati. La partita continua a svolgersi a senso unico. La Juventus attacca. L’Inter, rinchiusa nella sua area di rigore, difende quel gol trovato quasi per caso. Quando mancano poco meno di venti minuti, Zakaria si esibisce in uno strappo poderoso a centrocampo che spezza la linea mediana interista. Lo svizzero arriva al limite dell’area, evita Skriniar e calcia potente e preciso verso la porta. La palla del pareggio si schianta contro il palo. Il replay permette di apprezzare la deviazione di Handanovic, decisiva per modificare la traiettoria del pallone di quel centimetro sufficiente ad evitare la rete.
Allegri cambia ancora. Bernardeschi prende il posto di Cuadrado. Arthur sostituisce un ottimo Rabiot che, lasciando il terreno di gioco, riceve per la prima volta l’applauso convinto di un pubblico finora piuttosto freddo nei suoi confronti. Fischi pesanti piovono invece sulla testa di Vidal al momento del suo ingresso in campo. Anche il cileno riceve l’adeguato trattamento riservato da sempre a chiunque ritorni a Torino indossando quella maglia. 
Le mosse proposte da Allegri non sortiscono particolari effetti. La partita sta scivolando via. Il tifoso si agita sulla scomoda sedia. Le sensazioni non sono buone. Avanza il forte sospetto che la Juventus abbia già messo in campo quello che aveva da dare e le possibilità di trovare il gol sembrano adesso ridotte ad un episodio favorevole. Non sembra questa però una partita in cui la buona sorte possa decidere di rivolgere uno sguardo benevolo verso i bianconeri. Appare addirittura quasi più probabile il raddoppio interista, non fosse per la pochezza tecnica degli uomini di Simone Inzaghi che mancano per dabbenaggine un paio di buone occasioni per colpire ancora in ripartenza. Inquieto sulla scomoda sedia, il tifoso davanti alla tv vive molto male il finale di gara, insofferente ad ogni intervento di Irrati, sempre puntuale nell’assecondare le perdite di tempo di una squadra che, senza nemmeno sapere come, si trova ad un passo da una vittoria che potrebbe rivelarsi decisiva per il prosieguo della stagione. 
Nei minuti di recupero, De Ligt cade in area colpito dalla manata di un avversario. Il tocco è leggero. Irrati non fischia. Mazzoleni al Var non interviene. L’inquieto tifoso non riesce a fare a meno di notare che la dinamica dell’episodio è perfettamente identica a quella che nella scorsa stagione, a Napoli, costò a Chiellini un rigore per un intervento simile su Rahmani. In quell’occasione il Var richiamò l’arbitro alla revisione. Stavolta tace. Stesso episodio. Decisioni opposte. Qual è quella giusta? L’ostile tifoso davanti alla tv prova a trattenersi ma non riesce a non far notare che in entrambe le situazioni si è deciso contro la Juventus.
Dybala calcia alto una punizione. De Ligt di testa non trova la porta all’ultimo assalto. Il recupero si esaurisce. Irrati, sempre con l’aria spaurita di chi non vede l’ora di fare una doccia calda, fischia la fine.
La partita si conclude. Con un solo tiro in porta, oltretutto su rigore ripetuto, l’Inter vince e rilancia la sua corsa verso il vertice della classifica.
La Juventus esce sconfitta, vede il vantaggio sul quinto posto ridursi a solo cinque punti ma, sinceramente, è difficile muovere accuse alla squadra o all’allenatore per questa partita. La Juventus ha interpretato bene l’incontro. Ha tenuto a lungo il controllo del gioco, costruito occasioni, tirato, colpito due pali. Serviva forse un minimo di lucidità in più nelle fasi conclusive dell’azione. Qualche volta si è scelto di tirare invece di servire un compagno meglio piazzato. In altre circostanze, la squadra ha scelto un passaggio forse superfluo invece di concludere verso la porta. Si tratta di dettagli, purtroppo diventati decisivi nello sviluppo della partita.
Nonostante la squadra non abbia trovato, per l’ennesima volta in stagione, la via della rete si colgono comunque segnali incoraggianti per il futuro. La continuità di gioco espressa, la buona condizione atletica mostrata, lasciano credere che, nonostante la sconfitta, la partita appena andata in archivio possa rappresentare un punto di partenza per condurre in porto serenamente la parte finale della stagione. Creando tanto, proponendo calcio con continuità, difficilmente una squadra che annovera tra le sue fila i migliori attaccanti presenti nel campionato italiano potrà rimanere digiuna di risultati. Inoltre, la crescita esponenziale di De Ligt, ormai punto di riferimento della difesa juventina, e l’ottima prova di un inedito centrocampo che, finalmente schierato con due mediani, ha controllato per quasi tutta la partita il ritmo del gioco, rappresentano pietre d’angolo significative per l’edificazione di un nuovo ciclo che presto riporterà la Juventus a lottare per i traguardi che le competono. 

In questo nuovo ciclo, come detto in apertura, non ci sarà Dybala. Autore di una prova magari non eccezionale ma comunque piena per continuità e presenza dentro la partita, l’argentino ha ricevuto come sempre il sostegno di uno stadio che lo ha sempre amato.
Per il futuro della sua carriera, l’augurio è che sappia compiere le scelte più opportune. In queste ultime righe, rimane solo da rivolgergli un’amichevole raccomandazione: non andare da quelli lì! Non vestire quella maglia!