Gli interisti fanno capire che vogliono tornare a pensare in grande, su alti palchi scenici. Una più che mai pazza Inter riesce a sconfiggere il Tottenham in una notte da urlo, e che urlo! L’urlo di Trevisani e Adani ai due goal nerazzurri in zona Cesarini che per un attimo hanno fatto pensare ai telespettatori di essere su Inter Tv, non di certo su Sky. Ma forse è meglio così: è bello lasciarsi trasportare dalle emozioni e la spontaneità di tifare tutte le italiane in Champions è apprezzabile.
Commenti spietati sui social “Non pago 80 euro per sentire due buffoni di parte, ridatemi i telecronisti imparziali”, “Sembra Inter Channel, e se arrivano in finale che fanno?... ma poi cos’è sta Garra Charrúa?”. Eccoci al punto, se n’è parlato molto negli ultimi anni grazie al genio di questo “pensiero”: Óscar Tabárez (c.t. della nazionale uruguagia).

Per Garra Charrúa, citata (urlando) da Lele Adani dopo il goal dell’uruguagio Vecino, si intende un gioco di grande impegno fisico e forza caratteriale, tipico dei sudamericani. “L’ultima parola è sempre loro, hanno un cuore differente: l’artiglio che graffia e che lascia il segno nella storia dell’Inter” queste le parole del telecronista in riferimento a Vecino e agli uruguaiani. L’espressione è infatti formata da due parole spagnole: Garra, il cui primo significato è appunto “artiglio” ma anche “convinzione”, e Charrúa, che sono gli indios precolombiani che vivevano sulle sponde del Rio della Plata. La Garra è presente già nel primo verso del loro inno, che recita “Orientales, la patria o la tumba”, figuariamoci nella vita e nel calcio. Tabárez in un’intervista ha detto: "Siamo stati conosciuti per il nostro gioco violento - che fosse un'accusa legittima o meno - e non siamo noti per il nostro fair play. Abbiamo risposto a questo creando grandi calciatori ". In effetti uno degli aspetti che non comprende in tutto e per tutto la Garra è la massima sportività.
La Garra è altro, vuol dire sacrificio, lotta fino all’ultimo secondo, e il tuo avversario è un nemico. Il momento di nascita di questa parola è stato probabilmente dopo il Maracanazo, la storica vittoria in rimonta in casa del Brasile il 16 luglio 1950, che consegnò alla Celeste la Coppa del Mondo. Altri episodi significanti sono avvenuti nel 1961, quando Eliseo Álvarez ha giocato una partita intera di Coppa con un perone fratturato (rischiando di perdere una gamba), e nel Mondiale del 2010, con Suarez che in un quarto di finale pur di non prendere goal acchiappò la palla con le mani.

Il centrocampista nerazzurro non rinnega le sue origini: un uomo capace con soli due goal di riportare la sua squadra nell’Europa che conta e poi di tenerla a galla nel girone non può che venire da lì. Affascinanti e intriganti i momenti salienti della storia uruguaiana, una storia che con Matías Vecino, si ripete nell’Inter.