L’essere bambini sta diventando ormai la cosa più difficile da vivere. In un’epoca dove grazie allo sviluppo tecnologico e medico l’infanzia dovrebbe essere l’età più bella e spensierata, ma per colpa del fenomeno del bullismo molti ragazzi stanno perdendo gli anni migliori, rinchiusi in casa a piangere o seduti in un angolo all’interno di uno spogliatoio.

Durante questi anni sia la televisione che le persone intorno a noi danno sempre più importanza all’aspetto esteriore, tralasciando ciò che si ha dentro, difatti i bulli la prima cosa che criticano in un ragazzo è l’aspetto fisico, come l’essere in sovrappeso, l’essere nato con qualche difetto e l’essere il più basso di tutti.

Ci sono molti sport dove il fisico e le doti naturali contano più che in altri. Basti pensare alla pallavolo o al basket, in essi la prestanza fisica (in questo caso l’altezza) è una componente quasi fondamentale. Ma perché quasi? Perché ci sono rare eccezioni e costoro sono dei talenti puri e cristallini, che grazie alla loro voglia di emergere tra i giganti hanno potuto scrivere un pezzo di storia nei rispettivi sport. Nel calcio il fisico non è così determinate come negli altri due appena citati, ma ha la sua rilevanza, e di certo se si parla di sport si parla comunque di atleti professionisti.

Nel campionato di Serie A è presente un giocatore che piano piano a suon di eccellenti prestazioni tutti stanno imparando a conoscere: il suo nome è Lucas Torreira, maglia numero 34 e centrocampista centrale della U.C. Sampdoria.
La sua squadra sta stupendo in maniera positiva il pubblico italiano, proponendo un ottimo calcio anche se con risultati altalenanti. La vera curiosità consiste nel fatto che sia se vinca, sia se perda, il piccolo uruguagio è sempre il migliore in campo. Giocare in un centrocampo a 3, con due mezze ali forti come Praet e Linetty, di sicuro aiuta Lucas nel suo compito in campo ma salta subito all’occhio, vedendo una sua partita, come si proponga sempre per giocare la palla sui piedi e impostare l’azione, senza avere paura di sbagliare o di essere sovrastato fisicamente. Torreira è alto 1.68, ovviamente non è un’altezza così bassa per essere clamorosa, ma in un mondo calcistico dove si possono trovare avversari o compagni di squadra alti anche due metri e larghi uno può essere un handicap non da sottovalutare.
Lucas però, ha una caratteristica che lo differenzia da altri giocatori minuti, cioè ha preso consapevolezza del suo punto debole e lo ha trasformato in un vantaggio, sfruttando il baricentro basso e il suo eccezionale tocco di palla, diventando così determinante ogni volta che scende in campo.
Mi spiego meglio, essendo lui piccolo fisicamente, ha una velocità base e in particolare nello sprint iniziale, minore rispetto ad un compagno più alto e con un’apertura di gambe maggiore. Il sampdoriano quindi è in grado correre in maniera intelligente e di posizionarsi nel modo giusto al momento giusto in anticipo rispetto al resto della squadra, riuscendo così a capire dove arriverà il pallone e a intercettarlo.
Questa è una caratteristica importantissima nel gioco del calcio, infatti in campi come quelli di Serie A il rischio di correre a vuoto senza toccare la palla è altissimo, specialmente nel mezzo.
Lucas comunque non è solo intelligenza tattica, ma ha avuto anche la forza di emergere in un ruolo difficile da interpretare e con molta concorrenza. In effetti molte squadre professionistiche dettando le linee guida ai propri scout, consigliano di selezionare un ragazzo fisicamente già sviluppato sopra la media, a discapito di uno dotato tecnicamente ma di piccola statura. Per quanto riguarda la mia esperienza da allenatore giovanile, ho notato che la componente fisica è importante in determinate età e categorie, ma ho avuto la fortuna di lavorare con ragazzi che con la propria forza di volontà e grinta se ne sono fregati di questo handicap, lottando su ogni pallone e cercando di sfruttare i propri punti di forza come la tecnica o l’arguzia.

L’uruguagio come Iverson o come Buouges (il giocatore professionistico più basso nella storia dell’NBA) ha svoltato la propria carriera grazie al carattere forte che lo contraddistingue, alla perseveranza e soprattutto all’intelligenza sportiva. Queste sono le storie da far conoscere ai ragazzi di tutti i settori giovanili, non solo calcistici ma di ogni altro sport.

Ai miei ragazzi ricordo sempre questa storia e racconto spesso degli extraterrestri del Barcellona di Guardiola, squadra composta da giocatori minuti ma che coralmente sapevano far girare la palla in maniera paradisiaca. Il più alto componente era Piqué, dotato però di una eccellente tecnica di base, mentre degli altri solo il capitano Puyol che, anche se fisicamente basso, non era molto dotato di tecnica, basando quindi la propria carriera sulla grinta e sulla voglia di essere qualcuno, arrivando sul tetto d’Europa svariate volte.
È vero che in quella squadra c’era un certo Messi, ma Pep non ha mai fatto pesare alle proprie squadre il fattore fisico, ha vinto dovunque è andato con giocatori fisicamente nella media se non sotto, che possedevano però una tecnica da far invidia a quella di Ronaldo. Il Manchester City con Aguero prima punta (1.73) ne è l’ennesima dimostrazione.

Nel calcio la prima cosa che conta è la voglia di farcela, la voglia di emergere dall’anonimato e la convinzione in se stessi, solo con queste doti si avrà la possibilità di emergere in mezzo al nulla.