Personalmente ritengo la Juve più forte di quanto gli juventini stessi pensano di esserlo. La posiziono tra i primi 5 top club europei e francamente non mi spiego i complessi di inferiorità che spesso accompagnano la compagine bianconera quando si trova a misurarsi al di fuori dei confini nazionali. Eppure stiamo parlano di una squadra che nemmeno un anno fa giocava una finale di Champions e che da anni domina indiscussa in Italia. Non solo, ha una struttura societaria solida e competente, lungimiranza e attenzione nei progetti tecnici, una rosa estremamente competitiva con elementi di assoluto valore e di indiscusso carisma (uno a caso Buffon..) e, cosa non da poco, una stadio di proprietà. Cosa manca allora per potersi confrontare alla pari (soldi a parte) con le grandi d’Europa? Poco, probabilmente un pò di autostima e un atteggiamento più votato ad attaccare piuttosto che a conservare o congelare un risultato (tipico di chi gioca per ben altri obiettivi). Al riguardo, capisco le parole di Sacchi che ritiene che la Juve debba provare a coniugare i risultati al bel gioco, non approvo il pressapochismo di Bergomi quando la associa la Juve al Frosinone (denotando perlopiù una certa faziosità), ma condivido in pieno il pensiero di Guardiola, ovvero ammiro la Juve ma non mi piace. Ecco, forse questo il punto, i bianconeri dovrebbero prendere coscienza della loro forza e, al tempo stesso, spogliarsi da un tatticismo eccessivo che zavorra prestazioni e risultati (vedasi i punteggi tennistici nei rispettivi campionati di Barca, Bayern, PSG ecc..). Detto ciò, non sono tra coloro che ritiene questo “frenaggio” esclusivamente frutto dell’operato di Allegri, perché evidentemente esistono responsabilità ben definite in società quando, ad esempio, nello scegliere un tecnico, si preferisce un basso profilo piuttosto che un allenatore affermato e vincente (e quindi ambizioso e dalle pretese facili).