Sono stupito dalla saggezza di Ancelotti intervistato dal “Giornale” a Madrid. Sono stato arrabbiato con lui per molti anni quando ha spento il mio grido di gioia nella finale malamente persa con il Liverpool di un Benitez che gliela aveva mesa su un piatto d'argento. Non avevo capito e mai perdonato il suo immobilismo tattico incapace di gestire e arginare una rimonta impossibile. Se leggo la sua intervista mi ricredo non solo sul tecnico ma sull'uomo di calcio e trovo una serie di perle di saggezza che, in particolare, i milanisti e comunque chiunque segue e ama il calcio dovrebbe stampare e metterla come una sorta di summa di verità vicino alla bandiera e al sentimento del cuore. Spazia su ogni aspetto del calcio moderno con una profondità di pensiero rara da trovare nel calcio di oggi.

VAR - Punta il dito sul rapporto tra l'uomo e la macchina. In fondo o decide uno oppure usa l'altra per decidere, ma mai svilendo il potere dell'arbitro nel bene e nel male. Non può esserci una simbiosi tra l'uomo e la macchina senza incidere profondamente sulla natura stessa del gioco. Prende in esame i due punti dolenti, il fallo di mano e il fuorigioco. Non esiste, giustamente, una vera oggettività sulle decisioni, ma solo valutazioni personali. Sul fuorigioco esprime un concetto giusto, che un piede o una spalla di due giocatori in linea non possono annullare un'azione. Più che dei tecnici informatici invoca l'ingresso di persone che il calcio lo hanno vissuto e non lo considerano invece un videogioco.

SI GIOCA TROPPO - Il Moloch del calcio vuole sempre più soldi, vara competizioni aggiuntive per avere più incassi. La sete di calcio è diventata universale con spostamenti planetari, favorita dallo facilità dei mezzi di comunicazione. A una realtà vera fatta di normale usura di muscoli e mente si sostituisce una realtà per lo più trasmessa in maniera globale, e quindi virtuale dove certo gli ingaggi stratosferici dei suoi attori, non giustificano l'utilizzo spropositato della risorsa umana pur nella sua privilegiata categorizzazione, di gladiatori superpagati, a scapito di un diritto universale di salvaguardia della salute. E' la cultura del massimo e sempre che vige non solo nel calcio.

IL RAZZISMO - Dice giustamente che lo stadio è diventato il luogo più ostile dove si pratica uno sport. Un luogo di odio, di fazione, di insulto e di disprezzo. Quanto mai attuale dopo la vergognosa esibizione dei tifosi del West Ham a Praga. Personalmente penso che il disprezzo verso la pelle o il diverso sia una affermazione di appartenenza tribale che Freud ha molto bene spiegato. Di negazione del personale per identificarsi in un collettivo di opposizione con ogni mezzo. Lo studio delle variazioni della psicologia e dell'influenza anche dei credi politici nelle curve organizzate sta diventando motivo di studio importante di sociologi, psicologi e di storici del costume.

MALDINI - Testualmente. “Ho imparato che la storia di un club va rispettata, sempre. Di Stefano, Amancio, Gento, Puskas, sono ancora valori esclusivi verso i quali si nutre riverenza”. Lapidario direi. Di una sintesi che si rivolge ad una cultura storica, a volte definita DNA di Società. Non si sostituiscono i valori storici con i software oppure con gli HAL di Odissea 2001. Che ne sanno gli americani di cultura storica? Se non della carneficina di una guerra civile che Crane descrive magistralmente nel suo libro “Il segno rosso del coraggio”. La cacciata di Maldini è una offesa alla cultura di un Club, lo stravolgimento di valori milanisti e di un assoluta mancanza di rispetto degli stessi che si rifanno addirittura ad una famiglia e non solo ad un solo uomo, con una grossolanità incredibile. Non so se sia vera farina del suo sacco, del resto comunque molto profondo di Carlo Ancelotti, non solo quindi solo uomo di sport, ma anche di cultura profonda, quello che dice concludendo sull'argomento. E' per me di una verità assoluta che non attiene alle macchine oppure ai software di identificazione di talenti, a robot di inquietante intelligenza artificiale, ma al significato stesso di umanità nello sport. “Se è vero che con la storia non si vince è anche vero che la storia insegna a vincere”. Fantastico!

BUSINESS - Cosa vogliono fare i Tycoon che entrano nel calcio italiano? Sono veramente interessati al prosieguo di una cultura, di uno spirito di società che rappresenta la sua storia, comunque essa sia sia ai massimi oppure a livelli minori, oppure sono qui per fare solo un “business”. Carlo anche qui fa una affermazione su cui occorre meditare. Ovvio che il mecenatismo sia qualcosa che appartiene al passato, ma quale futuro c'è per un fare business o fare organizzazione aziendale, anche in senso lato, non solo calcistico, se si stravolge lo spirito di una azienda e si abbandonano i suoi valori? Nessuno conclude il Carletto nazionale, l'uomo che ha esportato nel mondo un modo di fare calcio e di viverlo sportivamente che è anche scuola di valori umani. Quante aziende italiane che portavano cultura e valori di impresa di decenni sono state fagocitate per diventare solo storia industriale di un passato finito? Questo messaggio che comincia con la cacciata di quello che credevo un valore darà poi dei frutti di valore sportivo coerente oppure sarà sola una mera operazione di business, di spettacolare americaneggiante operazione di business.? E' una domanda che mi pongo come vecchio milanista. Ma sono vecchio e quindi mi tengo la storia di Rocco e di Rizzoli, un poco meno quella di Berlusconi, ma che comunque su certi valori ci teneva o almeno ci ha tenuto finché le leggi del business non lo hanno fatto lasciare. Ma comunque, è ritornato, l'irriducibile, da un'altra parte, mettendoci però a capo un monzese che i valori li conosce e li rispetta.