È arrivato, finalmente era arrivato il giorno che aspettavo da tempo.
Quando mia mamma ricevette la telefonata dalla segretaria della società sportiva calcistica del mio paese, che confermava il giorno e l'orario del primo allenamento di noi pulcini, non avevo fatto altro che non dormire la notte dall'ansia e l'attesa di quel giorno. Il borsone era pronto ormai da giorni ai piedi del letto. Mutandine, calzini, ciabatte canottiera, maglietta e pantaloncini della squadra, che poi bisognava portare a casa a lavare, e le scarpette coi tacchetti, le Tepa Sport, le uniche che vendeva il calzolaio del paese e tutti avevamo quelle, non c'erano i centri commerciali o i negozi tecnici. Erano nere con una V bianca che partiva dal collo del piede e arrivava ai lati.
Qualla mattina mi svegliai, per modo di dire, e andai a scuola ma la testa era altrove, tornai a casa, dove c'era mamma ad aspettarmi, le mamme non lavoravano in quei tempi, con il pranzo pronto, subito dopo feci i compiti in un batter d'occhio, e mi misi ad aspettare le 17 che mio padre arrivasse da lavoro e mi accompagnasse al campo. Quando arrivò non gli diedi nemmeno il tempo di scendere dalla macchina, "dai papà andiamo che è tardi", ma lui rispose, "Massimo ma devo cambiarmi e andare in bagno" "Non importa, nessuno ti guarda devi solo portarmi" ribbattei io. E così andammo. Arrivando dalla strada che porta al campo, già vidi alcuni miei compagni già arrivati, "ecco siamo in ritardo visto?" dissi seccato, "tranquillo c'è tutto il tempo del mondo" rispose mio padre con un sorriso. Scesi dall'auto che non era ancora ferma, e mi presi due parolacce da mio padre, aspettai che aprisse il portellone Ritmo 60 L, e presi il borsone, mio padre voleva accompagnarmi portando il borsone, ma gli dissi di no, lo avrei portato io. "ci vediamo alle 19." ed entrai.
Lo spogliatoio era stato ricavato dal piano terra della casa del guardiano degli impianti sportivi, Paolo, c'erano due stanze adibite a spogliatoi casalingo e ospite, un magazzino e nel corridoio un banco di scuola con un sedia, che fungeva da segreteria. Mi sembrava San Siro. Appena entrato vidi con gioia alcuni miei amici e compagni di scuola, ma anche facce nuove, perché i paesi del comune, quelli più piccoli non avevano ancora la loro squadra, così venivano tutti nel comune. Due sguardi di intesa e in un attimo eravamo già tutti amici per la pelle. Entrò un tipo burbero, piccolino e pelato, e con fare sbrigativo disse "allora ci vuole tanto? Il mister è in campo che vi aspetta, forza!" Uscimmo dallo spogliatoio, quel rumore dei tacchetti sul pavimento era pura sinfonia, da quanto tempo aspettavo quel momento.
Fuori in mezzo al campo c'era il mister pronto ad accoglierci. Si chiamava Dodo, non ho mai capito se era il suo vero nome oppure no, ma non importa, era il Mister. Alto, col baffo scuro e sguardo severo, ma dal cuore d'oro. Sembrava molto vecchio in realtà poi da grande scoprii che un ragazzotto, ma quel baffone gli dava molti più anni di quelli che aveva. Cappellino in testa, pallone sotto il braccio e fischietto al collo. "ciao ragazzi" esordi. "Da questo momento siete una squadra, ora dovrete essere pronti a tutto per aiutarvi a vicenda, qua siamo tutti uguali, non ci sono fenomeni né schiappe, siamo tutti allo stesso livello, prima capirete questo e prima andremo d'accordo, ci divertiremo e impararemo a giocare al calcio", Woooow, mi sentivo gasato a mille, non stavo più nella pelle. "Iniziamo con una bella corsetta intorno al campo".
Partimmo come schegge e dopo nemmeno un giro eravamo tutti scoppiati e piegati sulle ginocchia, e il mister si mise a ridere. Dopo la corsa ci fece fare esercizi a terra e in piedi a corpo libero, stretching, ma noi volevamo il pallone. "Calma calma, arriverà anche il pallone" sembrava ci avesse letto nel pensiero. Arrivò quello di prima che era venuto nello spogliatoio, portando sulle spalle una rete di palloni. Ce ne consegnò uno a coppia e il mister disse: "Per giocare un pallone bisogna che qualcuno ve lo passi, e quando arriva dovete essere pronti a stopparlo" così iniziammo ad imparare gli stop di piatto, di esterno e a seguire, e così via. Il primo allenamento terminò, eravamo euforici e stremati, arrivammo in spogliatoio e ci facemmo la doccia, tutti rigorosamente con gli slip addosso, era troppo presto per trovare chi avesse avuto il coraggio di toglierli.
Continuammo ad allenarci per un mesetto e mezzo circa, poi arrivò il momento della prima partita ufficiale.
Eravamo in trasferta, a cinque chilometri da casa, nel paese più vicino che era un comune molto più grande del nostro, avevano un campo con la tribuna, quando arrivammo, ricordo bene che ci sembrava il Bernabeu, e quei spogliatoi erano veramente grandi e belli. Eravamo agitati. Entrò il mister e disse "Siete pronti? Oggi perderete, e probabilmente anche nettamente, loro giocano insieme già da un anno, non preoccupatevi, imparate a stare in campo, aiutatevi sempre, e divertitevi, questo è importante per adesso", ci consegnò le divise dove ogni numero equivaleva ad un ruolo ben preciso, 1 portiere, 2 terzino destro, 3 terzino sinistro, 4 mediano, 5 stopper, 6 libero, 7 ala destra, 8 centrocampista, 9 punta, 10 regista, 11 ala sinistra. Io avevo il 7.
Iniziò la partita, e capimmo subito che il mister aveva ragione, ma noi stavamo dando il massimo, loro erano nettamente più forti, ma non importava, era la nostra prima partita e non l'avremmo mai più scordata. Eravamo sotto cinque a zero, ma non mollavamo un centimetro. Alla fine mi arrivò un pallone sulla fascia e provai un stop a seguire, e mi riuscii, eludendo il difensore avversario, mi involai verso la porta e quando vidi il portiere avversario che mi correva incontro in uscita, non seppi cosa fare, ma con la coda dell'occhio vidi il mio compagno solo in area dall'altra parte, gli passai il pallone e lui lo insacco' in rete. Un'esplosione di gioia ci pervase il cuore, esultammo come avessimo vinto la Champions League, l'arbitro fischio' la fine e il mister si congratulo' con noi "bravi i miei ragazzi, avete fatto un ottimo lavoro".
Quel campionato andò così cosi, molte sconfitte, qualche pareggio e un paio di vittorie. A fine stagione ci fu un torneo estivo, partecipammo, per fare esperienza, disse il mister, e arrivammo terzi su sei squadre. Essere premiati con una medaglia di un metallo anonimo, fu per noi come alzare al cielo la coppa del mondo.

Che bei tempi!! Non ho intenzione di dire ora, "ai miei tempi era meglio" ci mancherebbe, ma consentitemi di dire che quella nostra semplicità, quella povertà materiale, ci ha insegnato dei valori importanti, un senso di appartenenza, senso di cameratismo, e un amore puro per questo sport che oggigiorno difficilmente si trova nei campetti dei patronati o in periferia. Nessuno di noi pensava ai soldi, ai contratti, a nessuno di noi sarebbe mai passato per la testa di chiedere al mister di tenere in panchina un compagno di squadra, ritenuto scarso, o di mandare avanti un genitore a pretendere più spazio per se stesso. Primo non mi passava per la testa, secondo, se passava ci pensavano i nostri genitori a darci un calcio nel sedere.

Se ad oggi quelli come me, che hanno iniziato e vissuto il calcio in quei tempi e in quel modo, riescono a vivere il calcio di oggi con più amore e passione e meno polemica è anche merito di quei tempi. Molti hanno iniziato così, con un sogno nella propria cameretta, qualcuno è diventato un professionista, qualcuno un fuoriclasse, molti sono rimasti in periferia, ma TUTTI con la stessa identica passione.