La fallacia della causa semplificata è quel modo di fare per cui una persona vuole trovare in un’unica cosa, la causa di un qualcosa, che in realtà ha molteplici dinamiche. Ad esempio, sono incinta ed ho la nausea, quindi se ho la nausea sono incinta, e non è detto. Oppure, bevo due mojto un Campari, tre tequile e finisco con un succo alla pera, mi fermano i carabinieri e sono ubriaco quindi la colpa è del succo alla pera. 

Questi sono due esempi banali e semplici, ma in realtà questo “meccanismo” viene spesso utilizzato un po’ da tutti in molteplici ambiiti. Nella politica i problemi sono sempre colpa del governo precedente, o quando ci capita qualcosa di positivo o di negativo siamo propensi a dare meriti o colpe, in base alle nostre convinzioni. 
Nel mondo del calcio, più che mai, siamo innondati di perle di saggezza che sarebbero da mettere in un libro. Primo perché di calcio ne parlano cani e porci, secondo perché nell’era social basta niente per rendere (purtroppo) pubbliche le proprie idee. 
Ricordo che quando ero adolescente o poco più, non esistendo internet e il mondo social, di calcio se ne parlava soltanto tra amici e parenti, e quando a casa o al bar erano i “grandi” a parlarne ce ne stavamo in religioso silenzio, nessuno di noi si azzardava a dire la propria opinione, soprattutto se diversa da quella che ne stavano discutendo. Avevamo la sensazione l’educazione, e la paura, che ci facevano stare zitti e pensare che probabilmente gente di trent’anni di esperienza in più di noi, forse avevano dei motivi in più per avere certe idee e opinioni, e che era meglio ascoltare. Poi ovviamente ognuno di noi è cresciuto con la propria testa. Oggigiorno invece non ci sono più né filtri né educazione, tutti buttano là la propria idea senza pesarne le basi o le conseguenze. Spesso sono fuori luogo, offensive, e assolutamente senza una base di conoscenza in materia di discussione. Il problema è che lo spazio e la rilevanza che occupano è lo stesso di chi, magari, qualche parola in piazza (come si suol dire) in più se la può permettere di dire.

Nel calcio vincono i soldi, vince chi gioca bene, vince chi ha i campioni, quell’allenatore non vale niente, quell’altro è un fenomeno, quella società è capace l’altra no, abbiamo perso per colpa dell’arbitro, abbiamo vinto per merito di Ronaldo, perso per colpa di Ronaldo. Insomma potrei continuare all’infinito con citazioni del genere che riempiono i nostri social e che sono palesemente delle “fallacie della causa semplificata”.
Una squadra di calcio che è poi una società che è un’azienda, che include qualcosa come circa 250 dipendenti, e che alla fine porta il prodotto finale in campo, non può essere “spiegata” o “recensita” in maniera così superficiale da molti di noi. 
I motivi per cui una squadra va bene non possono essere soltanto i gol di Lukaku di Ibraihmovic o Ronaldo, sarebbe come prendersela con il succo di frutta di inizio articolo. Il lavoro di un allenatore non è soltanto insegnare calcio, c’è una complessità di gestione della rosa, tra rapporti personali con i giocatori, le dinamiche dello spogliatoio, con la società, il capitale umano a disposizione, gli infortuni, le nazionali, i nuovi da inserire. Poi si guarda una partita e ci si limita a dare un giudizio sommario in base al risultato. Noi accendiamo la play station e facciamo giocare la nostra squadra a piacere e nonostante tutto perdiamo spesso, figuratevi nella vita reale. 
Esistono i campioni e i giocatori normali, come esistono gli uomini professionisti e i ragazzini viziati, e tutto cambia in base a chi ti trovi da gestire. E quando devi “gestire” a questi livelli ci sono poi i contratti, i soldi dello sponsor, i procuratori, le minacce ecc...

Per noi è tutto, hai vinto sei bravo, hai perso sei scarso. 
Da juventino guardo in casa mia e visto l’andamento della stagione c’è da sbizzarrirsi a proposito di “fallacie della causa semplificata”.

Dopo un decennio di dominio, non creato dal nulla, molti tifosi cercano a tutti i costi un responsabile o una causa per la fine di questo leggendario ciclo, e si finisce quasi nel grottesco. Non sembrano nemmeno commenti di tifosi di una squadra che ha vinto così tanto negli ultimi anni. Sembra che la vittoria sia un fatto scontato o un diritto acquisito, e che la fine di un ciclo sia una colpa. Nessuno può nemmeno immaginare cosa ci sia stato dietro le quinte, quale mole di lavoro, progetto, investimenti, e fortuna siano servite per poter vivere questi anni, e quale incastrato perfetto in tutti gli ambiti si sia reso necessario. È normale e fisiologico che prima o poi qualcosa inizi a non andare per il verso giusto, e non necessariamente c’è un colpevole assoluto. Oggi c’è disperazione, sembra che la Juventus come società non valga più niente e che sia gestita da incapaci nella dirigenza e in panchina, e che come sempre, i migliori erano quelli che se ne sono andati, o sono stati mandati via. Così la soluzione da “ fallacia della causa semplificata “ è esonerare Pirlo, oppure mandare via Paratici o entrambi. Così due persone avrebbero modificato negativamente il lavoro di 250 persone. La mia esperienza e qualche capello bianco mi portano a capire che non c’è niente di strano e nessun colpevole in particolare. 

Certamente non sono felice di questa stagione, l’ho scritto anche, penso che qualcosa di meglio sì sarebbe potuto fare, ma lo dico dal mio divano, senza avere in mano le reali carte del gioco vero. Per noi vendere o comprare un giocatore è una cosa dove basta un click su una tastiera, nella realtà è un tantino diverso, quando devi trattare con esseri umani.
Il ciclo della Juventus è terminato la sera di Cardiff. Da quel momento in poi è stato un lento declino tecnico ed economico, con la pandemia che ha dato il colpo finale. La società ha capito questo e da quest’anno si è buttata in un nuovo progetto che probabilmente aveva già nelle sue dinamiche di gestione l’idea della superlega e di tutte le possibilità che questa nuova competizione darà, economiche e non. Non c’è un colpevole, non è colpa di Pirlo o di Paratici soltanto, come la nausea non ti fa essere incinta o un succo non ti fa entrare in coma etilico. È stata una presa di coscienza di un normale avvenimento che doveva capitare ed è capitato a chiunque prima di noi. Ci vorrebbe più memoria, e più senso di gratitudine per chi ci ha fatto vivere questi anni irripetibili.