“Ama la Samp, odia il razzismo”. Di che cosa si tratta? È lo slogan del torneo antirazzista che ogni anno, dall'estate 2006, viene organizzato a Genova dai Rude Boys, uno dei gruppi più importanti della gradinata sud, la curva che raccoglie i tifosi blucerchiati.

È da questa premessa che vorrei partire per suscitare una riflessione su quanto successo ieri a Marassi durante Sampdoria-Napoli. L'abbiamo visto tutti. A metà del secondo tempo, l'arbitro Gavillucci ha sospeso la partita a causa dei ripetuti e insistiti cori discriminatori della curva di casa contro i tifosi ospiti, al grido di “Senti che puzza...” e “Napoli m...”.
Non è la prima volta che succede a Marassi quando i blucerchiati ospitano gli azzurri. Già l'anno scorso, Lorenzo Insigne condannò duramente i cori diffamatori della sud: “Lo fanno perché sono napoletano: offendono me per offendere la mia città. […] Penso che non è giusto”.

Perché tutto questo astio? Perché tutti questi insulti? Ieri sera, in conferenza stampa, l'allenatore della Sampdoria Marco Giampaolo ha ridotto tutto a una questione di tifo. “I cori sono figli del gemellaggio tra Genoa e Napoli. Sono sfottò da gara che si potrebbero evitare, ma fanno parte dei cori da stadio. Si sono viste cose peggiori”. Analisi giusta ma inevitabilmente superficiale, dati i tempi ristretti concessi agli allenatori nel post-partita.
Certamente, l'amicizia storica che lega la tifoseria genoana a quella napoletana – peraltro incrinata negli ultimi tempi al punto che in occasione di Napoli-Genoa dove alcuni tifosi rossoblù avrebbero (usiamo il condizionale) cercato il contatto con degli ultras della Curva B – ha influito sul comportamento dei tifosi della Sampdoria.
Ma dietro ai soliti cori anti-Napoli ci sono ragioni socio-antropologiche che andrebbero snocciolate per non cadere nell'ipocrisia tutta italiana delle parole che feriscono più della spada.
Storicamente, fin dai tempi dell'unità d'Italia, il nostro Paese è spaccato in due dal punto di vista culturale, economico e così via. Una cesura determinata dalla storia della nostra penisola che, a differenza degli altri giganti d'Europa tolta la Germania, ha una storia unitaria di circa 150 anni, contro gli 800 di Francia e Inghilterra e i 500 della Spagna. Un periodo troppo breve per cementare un senso d'identità nazionale capace di sopprimere le peculiarità che caratterizzano le regioni del nostro Paese.

Le guerre che un tempo venivano combattute tra gli staterelli che componevano la penisola si sono spostate sui campi da calcio, sostituendo il pallone alla spada e 22 calciatori agli eserciti di fanti e cavalieri. Ma le rivalità che si sono scolpite nei secoli non si possono cancellare con un tratto di penna, in questo caso la piuma d'oca utilizzata dal re Vittorio Emanuele II, il 17 marzo 1861, per eliminare i confini pre-esistenti tra entità politiche come il Regno di Sardegna e dei Borboni. E infatti, da quando esiste il calcio in Italia, esistono zuffe, sfottò e insulti. O meglio, le cosiddette “espressioni di discriminazione territoriale”. Esecrabili, infami e condannabili, almeno moralmente parlando, anche se per una stagione (2013/2014) potevano costare la chiusura del settore da cui provenivano. È successo alcune volte: ai milanisti per cori contro gli juventini, agli juventini per cori contro i napoletani. Sanzioni contro cui le tifoserie organizzate del Belpaese avevano reagito con sdegno, chiedendo la rimozione dal Codice di giustizia sportiva della dicitura “discriminazione territoriale”. O almeno della parola “territoriale”. Cosa puntualmente avvenuta nel 2014 grazie all'ex presidente della Figc, Carlo Tavecchio, che ha rimosso dal nostro ordinamento una misura che dirigenti come Galliani giudicavano “insensata”. Rimane dunque la discriminazione, punita ai sensi degli artt. 6 e seguenti delle Norme Organizzative Interne della Federcalcio (Noif) con provvedimenti come la sospensione temporanea della partita, che può diventare definitiva se la società “responsabile” dei comportamenti discriminatori non è in grado di farli terminare. Ieri ci ha provato il presidente Ferrero. Con scarsi risultati. A parte questo, la sospensione è stata giusta. Come abbiamo visto, c'è una norma – per quanto discutibile – che lo prevede. Ma l'interruzione della gara andrebbe decisa in tutte le situazioni in cui si configura la fattispecie di “coro discriminatorio”. I tifosi sampdoriani, in casa come in trasferta, si sentono cantare da anni una risma di cori di uguale se non maggiore inciviltà, puntualmente dimenticati dalla stampa nazionale.

A parte l'abitudine consolidata allo stadio San Paolo di scaricare sui tifosi ospiti l'urina sapientemente raccolta nel pre-partita all'interno di sacchetti di plastica, ai sostenitori doriani è capitato e capita spesso di sentirsi urlare “Alluvionati”, “Genova puzza di pesce e poi c'ha il mare inquinato, b... blucerchiato” e soprattutto “Spala la m..., coniglio spala la m...”, in riferimento alle tragiche alluvioni che hanno sconvolto la città della Lanterna e la Liguria negli anni 2010, con i morti e le devastazioni che si sono portate dietro.
A chi scrive, e probabilmente a chi legge, non risulta che la partita sia mai stata sospesa con conseguente ondata d'indignazione generale e accuse alle tifoserie avversarie – in un caso gli juventini, in un altro i napoletani e in un altro ancora i fiorentini – di razzismo.
Già, il razzismo. Sicuri che i sampdoriani siano razzisti? O i cori rivolti ai napoletani sono da considerarsi un atto di folklore, uno sfottò, una presa in giro fine a se stessa come tutte quelle che si sentono cantare negli stadi? Se cantare “Napoli m...” è razzismo, allora lo è anche “Genova puzza di pesce” o “Coniglio spala la m...”. Delle due l'una: o tutti razzisti, o nessun razzismo. Tesi abbracciata ufficialmente dalla Federcalcio quando nel 2014 ha abolito la discriminazione territoriale. Un provvedimento saggio, condiviso anche dall'ex presidente della Uefa Michel Platini, il quale in un'intervista aveva dichiarato che “il concetto è solo italiano: altrove non esiste”.

Chiudiamo con un'ultima considerazione sulla tifoseria della Sampdoria.
Ieri sera si è sputtanata in mondovisione. Sapete perché? Il pubblico blucerchiato è uno dei più attivi d'Italia dal punto di vista delle iniziative benefiche. Nessuno vi racconterà dei tornei antirazzisti, degli “euro per Giovanna” – una tifosa sampdoriana rinchiusa da 50 anni in un polmone d'acciaio per insufficienze respiratorie –, delle raccolte fondi per l'associazione Gigi Ghirotti (che assiste i malati terminali di tumore) e per i terremotati del Centro Italia nel 2016, quando furono ricavati 40 mila euro dalla vendita di 10.000 bandierine allo stadio in una campagna ribattezzata dai Fedelissimi "Uniti si vince".
È proprio vero: dopo ieri sera, il male fatto con le parole supera il bene fatto con cuore e portafoglio.