Il giornalista sportivo non realizza articoli o servizi che possano procurare profitti personali; rifiuta e non sollecita per sé o per altri trattamenti di favore.

Il giornalista sportivo tiene una condotta irreprensibile durante lo svolgimento di avvenimenti che segue professionalmente.

Il giornalista sportivo rispetta la dignità delle persone, dei soggetti e degli enti interessati nei commenti legati ad avvenimenti agonistici.

Il giornalista sportivo rispetta il diritto della persona alla non discriminazione per razza, nazionalità, religione, sesso, opinioni politiche, appartenenza a società sportive e a discipline sportive.


Sono quattro norme riconosciute dal Decalogo del Giornalista Sportivo, "i dieci comandamenti" che regolano il comportamento a cui ci si deve attenere per fare questo mestiere. Diritti e doveri della categoria. L'antica legge del profitto è quella che però, non viene mai messa in discussione e operare in nome del ricavo permette di travalicare qualsiasi norma etica imposta per il quieto vivere. Non ci resta dunque che pensare. E pensare ci porta a concludere. Dov'è il limite tra giusto e sbagliato? Si può faticare per assumere uno status e poi fare qualsiasi cosa in nome di esso per rinnegarlo? Un evidente paradosso.

Molto criptico, come l’indovinello che sto per proporvi. 

Sei un giornalista sportivo, direttore di un’importante testata italiana. Hai appreso da poco una notizia sconvolgente su un tuo amico, icona dello sport nazionale. Ha scoperto di avere la leucemia, lo vuole dire al mondo ma vuol farlo a modo suo, prendendosi i suoi tempi e i suoi spazi. Tu, che sei un giornalista sportivo e che hai giurato di "non realizzare articoli o servizi che possano procurare profitti personali" cosa fai? Lo sbatti in prima pagina. Crudo, senza permesso. "Lo ha fatto per vendere 200 copie in più" ti dirà il tuo (ormai ex) amico, 20 anni di amicizia barattati per 200 copie. Però hai fatto un servizio di informazione. Eh sì. Anche la moglie del tuo amico non sapeva nulla della sua malattia. Lo credeva in ritiro con la squadra. Lo ha saputo da chi l'ha chiamata per chiedere spiegazioni. Beh, anche quello è un servizio di informazione no?

Sei un giornalista sportivo e vivi in un Paese in cui di razzismo si muore. Bullismo, minacce, aggressioni. La caccia al diverso, i porti chiusi. Manifestazioni, partite sospese. Ma tu sei un giornalista sportivo, mica un candidato alla poltrona. La cosa non ti riguarda, ti senti in diritto di scrivere di calcio perchè tanto di calcio mica si muore. "BLACK FRIDAY" con in copertina Smalling e Lukaku. Ma sì, tanto il tuo è un "elogio alla diversità". Non puoi vederci proprio nulla di male, non è mica reato elogiare la "differente razza" rispetto al fenotipo "dominante" locale. Tutto nella norma, però io ti vedrei con un taglio meno folto, un baffetto appena pronunciato e l'accento teutonico. Saresti più coerente con le tue uscite.

Sei un giornalista sportivo e vivi ancora in questo Paese. Qui, non si muore solo di razzismo. Si muore pure di calcio. Brutto dirlo eh? Che tu sia un ultrà scalmanato, che tu sia un ispettore capo della polizia. L'odio non conosce tornelli, si insinua nelle menti di chi ignora. Una parola sbagliata diventa il pretesto per ammazzarsi. Investiti, fucilati, percossi, 17 morti negli ultimi 40 anni in Italia in seguito a risse a ridosso di eventi calcistici. Ma tu sei un giornalista sportivo no? Perchè dovresti essere collegato a queste barbarie? Il massimo che puoi fare è pubblicare nel tuo giornale lettere anonimi di tifosi che possono sfogarsi a piacimento alimentando tensioni e nervosismi. E quanto può essere rilevante se nemmeno un mese prima il destinatario ideale di tale lettera era stato minacciato in società con lo stesso modus operandi?

Sei un giornalista sportivo ma realizzi articoli per inseguire profitti personali, non rispetti la dignità delle persone, adotti una condotta riprensibile e discrimini i soggetti su cui scrivi.

Chi sei?

Sicuramente, non un giornalista sportivo.