Ci stupiamo sempre, come se fosse la prima volta, delle imprese calcistiche della Dea, il cui mito è bellissimo, e venne scelto come simbolo di virtù agonistiche dagli studenti di vari licei per la nuova Società nata dalla scissione di un'altra associazione, la "Giovane Orobia".
La Dea che, poi dea non era, narra il mito che fosse invincibile nella corsa e che, essendo bellissima e molto ambita, avrebbe concesso di andare sposa solo a chi fosse stato altrettanto veloce.
C'è però una condizione, un poco come nella Turandot, di cui i più conoscono soltanto l'aria famosa cantata da Pavarotti come sunto cultural/operistico/ consumistico/pure pubblicitario, ma che è importante e planetario e poi unico esempio di pura e autoctona arte italica.
Chi perde muore. Non la pensa allo stesso modo la Dea, questa sì vera, Afrodite, che in simbiosi di bellezza, trucca la corsa e senza spargimento di sangue.
Se c'è una città che si lega ad un mito, beh, da milanese quasi purosangue essendone venuto da Tortona che ero piccolo, devo ammetterlo, questa è proprio Bergamo. E di Milano il mio essere milanese erano i ghisa sui loro piedestalli che sorridevano di più che dare multe e che ti ringraziavano quando gli portavi il panettone, era l'uscita di noi come famigliola alla domenica in Piazza del Duomo pure tra le nebbie feroci che ti immergevano in sogni di cotone. Era l'Olona ancora scoperto e l'occasione persa di portare i Navigli a pochi passi dal Duomo, come una piccola Amsterdam.
Ieri sera a Sky hanno intervistato Marten De Roon con il suo sorriso cristallino e semplice come un lago alpino e delle trasparenze orobiche delle valli bergamasche. Incredibile come un olandese di Rotterdam incarni con quel sorriso e quella semplicità una città calcistica ma pure ne abbia assunto lo spirito. Abbiamo visto nello stesso condominio crescere le sue tre figlie e in una delle tante volte in cui ovviamente capitò di incontrarci, scambiandoci gli auguri di Natale gli dissi che sognavo, come regalo, di vederlo al Milan..."Oh no, non posso" mi rispose scuotendo la testa.
Ecco... perché "non posso?" E ieri De Roon, sempre parlando della sua meravigliosa famiglia di sole donne alla domanda se intendeva, quasi diventandone un simbolo, finire la sua carriera di calciatore a Bergamo, ha risfoderato il suo sorrisone e ci ha fatto capire che sì, eccome, gli sarebbe piaciuto. Quindi come può una città prenderti il cuore con un tale senso di appartenenza pur essendo uno straniero?
Perché nel discorso di Marten non c'è solo il fatto di rimanere ottimamente in pur semplice comportamento di una persona famosa ma sempre come uno della porta accanto, che riconosciuto per strada, saluta tutti come i suoi condomini.
C'è il lavoro, duro, silenzioso, costante. C'è una atmosfera che ti porta poco a poco a farne parte come me milanese quasi puro sangue e caciavit di cultura che ci vivo, anche se ormai da pensionato. È il modo di condurre una società di calcio che è soprattutto una città, ma è altrettanto soprattutto il mantenerne una storia e una tradizione.
Non è un caso che qui a Bergamo ci sia un allenatore da molti anni seppur molto fumino e anche inquieto che probabilmente questa forza la sente anche se spesso i dubbi lo assalgono. E se pure un olandese ti dico "non posso" vuol dire che le forze attrattive se pur schive di questa terra, di questa gente, pure di paesi e di valli che la abbracciano è davvero forte se anche chi, pur sbattendo, dico io molto improvvidamente la porta, come il Papu, comunque i legami li mantiene. I figli di Marten e quelli del Papu hanno forse già l'inconfondibile accento bergamasco, quasi fatto di inspirazioni, dove le parole sono scarne ma nascondono vite dure, di artigiani, di miniere, di campi, stupendamente narrati pure.
Ma anche di tesori inimmaginabili che non sono più relegati agli stereotipi del Berghem de Sura e de Sota. Dove trovi una città nella quale alle dieci di sera i rintocchi del campanone civico - ripeto civico - abbracciano per 100 volte una intera città e quindi una civitas ormai irrimediabilmente perduta in altre che pure lo erano? Dove seppur ancora nelle tue attività li ascolti, dove pure i teatri li ammettono, come doveroso ed eterno omaggio ad antiche tradizioni e ai tanti che queste le hanno costruite?
Pure qui, ci sono americani, ma sono entrati in punta di piedi. Rispettando tutto e tutti. Magari, così come è nelle tradizioni alzeranno forse un poco l'asticella di Percassi molto affarista, con il miglior senso positivo del termine, uno che il buy and sell lucroso lo ha sempre fatto ma con lo spirito del miglioramento sportivo e soprattutto, lui sempre schivo e quasi infastidito, quando viene ripreso dalle telecamere, essendo sempre li, quasi in una voluta semioscurita'.
Con appunto lo spirito di qui, dove si lavora sempre e dove si soffre a seppellire i morti, anche se qualcuno osa ignobilmente smentire, anche forse sembra incredibile che ciò sia avvenuto, ma lo è stato, dopo la strage del Covid. Quegli orrendi camion sono scivolati via in un agghiacciante silenzio, in puro spirito bergamasco di chi sa sempre ricominciare dopo un grande dolore.
Che differenza quindi con i portatori di "Moneyball" che sono venuti ad insegnare come si conduce una società di calcio, un poco arroganti, direi. Di un generale che passando in rassegna le sue truppe non riconosce nemmeno il valore delle medaglie dei suoi soldati. I vecchi legati romani le conoscevano bene le falere dei propri legionari e Roma ha dominato il mondo con il senso di appartenenza e con le sue aquile sacre. Certo era un mondo diverso, orribile e schiavista, ma certi valori conservano intatti significati intrinseci che prescindono dal bene o dal male. Certo, come dice Pereira, tutto passa, ma francamente il buy and sell di Percassi e degli americani che stanno assumendo il controllo della Dea mi piace enormemente di più di quelli che ora comandano, ma chi veramente comanda, il mio Milan.
Tornando al calcio, ieri la Dea ha trattato l'Empoli come una squadretta da oratorio, tanta era palese la sua forza. Il suo condottiero si imbufalisce anche quando i suoi sono avanti di tre gol. È la filosofia del "mola mia", che è non solo un motto, ma cultura, simboli, lavoro, suono di un campanone, musica di Roby Facchinetti per la sua città colpita, motto che per la Berghem tutta di sopra e di sotto e di altro oltre le sue mura cinquecentesche, dice, che ormai da anni, si fa calcio ottimale e moderno senza bisogno di saputi maestri di Harvard.
Hic manebimus optime, disse un vecchio centurione romano nel periodo del famoso sacco di Roma con le nostre tradizioni, non distruggendole in virtu di estranee modalità di importazione.
Lo hanno capito benissimo i nuovi americani della Dea. Fortunatamente gli americani non sono tutti uguali. Qual è il motto dei nuovi padroni del Milan?
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