Almeno dai Trenta del Novecento, ovvero da quando la Juventus vincente è stata identificata con il potere degli Agnelli, la maglia a strisce bianconere è stata sinonimo di ruberie, di favori arbitrali, di cospirazioni di Palazzo volte a impedire agli altri di vincere.
In realtà si trattava più semplicemente di una peculiarità delle culture mediterranee, mirabilmente rappresentata da un proverbio arabo: chiunque sposa mia madre è mio padre.
L'Italia, paese di vassalli, lacchè e portaborse, laici e religiosi, ha nel suo DNA storico l'ammiccamento al potere e la ricerca sussieguosa del gradimento di chi è in grado di assicurare favori: non fa eccezione il mondo del calcio, retto spesso, come il resto della nazione, da rapporti di parentela, di amicizia e di raccomandazione.
Se dunque da un lato il tifoso non juventino ha sviluppato un'ossessione, facendo di una normalità un caso nazionale, dall'altro gli juventini si sono lamentati spesso delle molteplici differenze di trattamento, che hanno visto scandali, favori e ruberie delle altre squadre coccolate, sminuite o accomodate sulla via della prescrizione.
Come in politica, in Italia o si è disonesti o si è diversamente onesti, a seconda della casacca: tertium non datur. Per cui, proprio quella casacca a strisce bianconere era nel tempo divenuto simbolo di appartenenza o di condanna: come i carcerati, si disse, e infatti proprio come un carcerato lo juventino rivendicava fiero la consapevolezza di non essere, in un Paese del genere, peggiore di chi stava fuori.

Confesso di non essere riuscito a vedere più di venti minuti della partita dell'Olimpico: ma non per lo stucchevole girovagare degli juventini intorno all'area avversaria o per i numerosi quasi gol di Dybala, né per il dolore di vedere la straripante classe di Cristiano Ronaldo relegata a questi palcoscenici di periferia. Urla nei palazzi della Capitale mi spingono peraltro a credere che qualcosa sia successo, ma non mi interessa.

Io quella maglia non la posso vedere: che senso ha? Perché? Sarà pieno di soloni del nuovo calcio che mi parleranno di marketing, di incredibili vantaggi, di progresso. E invece non rimane che l'immagine inguardabile di una identità sfigurata.
Non mi rimane che sperare di aver visto male, che fosse la rispettabile e vincente Contrada della Lupa in visita all'Olimpico. O magari il Siena calcio, che d'altronde i medesimi colori ha sfoggiato per decenni.