Pur in trasposizione a fiction, ho avuto modo di gustarmi il film "Esterno Notte", l'ennesimo capolavoro di Marco Bellocchio.
È il racconto dei tragici giorni del rapimento di Aldo Moro, visti attraverso i molteplici punti di vista dei personaggi che di quella tragedia furono protagonisti e vittime. Nel cast, di assoluto rilievo, ci sono Fabrizio Gifuni (immenso) nel ruolo di Aldo Moro, Margherita Buy (una delle più intense interpretazioni di sempre) in qualità di Eleonora Moro, la maestosità di Toni Servillo (Paolo VI), l'incredibile faccia scenica di Fausto Russo Alesi (Francesco Cossiga), Gabriel Montesi (Valerio Morucci) e Daniela Marra (Adriana Faranda).

Marco Bellocchio, dopo "Buongiorno, notte", torna su quelle drammatiche pagine della nostra storia con un nuovo originale sguardo: "Ho voluto stavolta farne una serie per raccontare l'esterno di quei 55 giorni italiani stando però fuori dalla prigione tranne che alla fine, all'epilogo tragico. Esterno notte perché stavolta protagonisti sono gli uomini e le donne coinvolti a vario titolo nel sequestro: la famiglia, i politici, i preti, il Papa, i professori, i maghi, le forze dell'ordine, i servizi segreti, i brigatisti in libertà e in galera, persino i mafiosi, gli infiltrati".
Già durante le riprese e, in seguito, in occasione dell'uscita nelle sale, Maria Fida Moro, la figlia, si era pronunciata pubblicamente contro una narrazione televisiva che, a suo giudizio, non poteva rispecchiare la verità storica. "La settimana prima di Natale compirò 77 anni" - spiega "e dopo aver avuto l'infanzia, la giovinezza e l'età adulta rovinate dal malefico caso Moro, immaginavo, stupidamente, di poter sedere su una panchina al sole, prendere un tè con delle amiche, leggere un bel libro. Ma non è per niente così; o si decide che siamo personaggi storici, e allora si rispetta la storia, o si decide che siamo personaggi privati e allora ci si lascia in pace".

Ricordo nitidamente i fatti accaduti in quanto, il giorno dell'uccisione dello statista democristiano non ero a scuola poiché il morbillo mi aveva causato la classica eruzione cutanea con febbre altissima. Mio padre tornò in fretta dal lavoro, per partire successivamente per Roma, con una faccia che non potrò dimenticare. Nel suo ultimo libro, volutamente (quanto gli costò caro farlo...), dedicò, all'interno di un lungo capitolo, queste poche righe: "Alle 8 del mattino del 16 marzo 1978, le BR rapirono Aldo Moro, sterminando i cinque uomini della sua scorta". Enzo Pezzati era allora il segretario provinciale della DC fiorentina, incarico che avrebbe mantenuto fino al 1979. Anche localmente il partito era macerato dal dubbio: trattare con i brigatisti o lasciare uccidere il padre del compromesso storico?
Sia pure lontano da Roma e dalle stanze di Piazza del Gesù, Pezzati risentì emotivamente del clima che c'era nel Paese. Si ammalò. Lasciò la segreteria ad un giovanissimo Giovanni Pallanti, a cui le Brigate Rosse davano la caccia e che il 7 maggio 1978 subì un grave attentato incendiario nella sua abitazione fiorentina.
Il 9 maggio Aldo Moro venne assassinato nel garage di via Montalcini ed il suo cadavere fu fatto ritrovare nel portabagagli di una Renault rossa in via Caetani, vicinissima alle sedi nazionali del PCI e della DC. La notizia colpì indistintamente tutto il Paese e tutto il Partito. L'impatto emotivo della tragedia fu enorme nel gruppo degli amici di Speranza anche per i vincoli di una collaborazione ed amicizia, che risalivano al lontano Congresso Nazionale di Firenze". Sottolineò che "... il tentativo neocentrista del Governo Andreotti volgeva verso la fine. Si riaffacciava l'ipotesi di un ritorno del Centrosinistra (con Rumor) e presto (con Moro) avanzava quella della strategia dell'attenzione verso il Partito Comunista. Terrorismo, crisi petrolifera, tensioni nel rapporto del Partito con la Chiesa, sconfitte referendarie, pressioni internazionali coglievano la DC in una fase di estrema difficoltà...".

L'"Affaire Moro" di Leonardo Sciascia è un racconto-inchiesta che riguarda il rapimento e l'uccisione dell'allora presidente della Democrazia Cristiana. Lo scrive nell'agosto dello stesso anno e lo pubblica a ottobre. Alla prima edizione ne segue una seconda, che include l'appendice costituita dalla relazione redatta dallo scrittore siciliano in quanto membro della commissione d'inchiesta sul caso Moro.
Nonostante l'autore fosse consapevole della propria tesi minoritaria, il suo intento nel ripubblicare il volume era quello che si facesse luce sulla verità dei fatti accaduti. Sperava, auspicava, perciò,  che il libro fosse letto. 
Il mio professore d'italiano, ce lo fece rileggere...

Aldo Moro fu rapito lo stesso giorno in cui si sarebbe dovuto insediare il governo nato dal "compromesso storico". La strategia di movimenti extraparlamentari di chiara origine, arrivò a processare e condannare a morte, in quanto simbolo dello Stato Italiano, un politico di caratura internazionale (al pari di Alcide De Gasperi) per i "reati che esso aveva compiuto". 
Nel libro, che si colloca tra un'indagine storiografica e un'opera letteraria, l'autore decide di analizzare, commentare e pubblicare parte della documentazione e delle lettere che Moro, la famiglia e i dirigenti della Democrazia Cristiana si sono scambiati, esaminandone la figura e analizzando alcuni comunicati sulle trattative delle Brigate Rosse e la telefonata del 9 maggio in cui un membro di quest'ultime comunicava, a un amico della famiglia, il luogo del ritrovamento del corpo. 
Le BR, in sostanza, chiesero la liberazione di alcuni terroristi rossi in cambio del rilascio del presidente; i vertici della Democrazia Cristiana, con Zaccagnini quale segretario, rifiutarono determinando, di fatto, l'esecuzione. Sciascia avanzò l'ipotesi che al rapimento e alla morte avesse contribuito la CIA per aver favorito un governo con l'appoggio del Partito Comunista, non gradito agli Stati Uniti. Il compromesso storico non era ben visto neanche dall'ala marxista estrema, più propensa alla lotta di classe che agli accordi politici.

Sciascia si ispira alla “Storia della Colonna Infame" di Manzoni, prima inclusa nelle pagine dei "Promessi Sposi" dedicate al racconto della diffusione dell'epidemia, poi pubblicata separatamente dal romanzo nella forma di saggio storico per la sua lunghezza; anche perché, inserita all'interno del romanzo, rischiava di passare in secondo piano. Il Manzoni denunciò l'ingiustizia commessa contro alcuni innocenti cittadini milanesi, processati e condannati a morte con l'accusa di essere stati gli “untori", cioè di aver diffuso il morbo della peste nel Lombardo-Veneto. In particolare, attaccò i giudici, i quali possedevano gli strumenti culturali per capire che la peste aveva avuto altre cause, ma ugualmente permisero che si commettesse un atto di ingiustizia per trovare un capro espiatorio alla rabbia popolare. Altrimenti, la responsabilità sarebbe stata attribuita ai governanti... 

È stato ampiamente dimostrato che le Brigate Rosse furono un'organizzazione terroristica; quell'epoca fu conosciuta e riconosciuta con l'appellativo di "anni di piombo". Rappresentarono per I'Italia un periodo buio, caratterizzato da quella che viene comunemente ricordata come la "strategia della tensione", che consisteva, essenzialmente, nell'attuazione di molteplici attentati che avevano l'obiettivo di creare un generale clima di sgomento, considerato favorevole per un possibile sovvertimento del sistema.
Perché allora, pur nell'angoscia, e in una situazione di effettiva guerriglia di matrice stragista si delineò in maniera marginale, il cosiddetto fronte interno?
La locuzione viene utilizzata dalla pubblicistica moderna per indicare la forte influenza che l'opinione pubblica di un paese in guerra può esercitare sulla conduzione e sull'esito finale del conflitto.
L'utilizzo di questo termine va fatto risalire ai tempi della Grande Guerra e precisamente alla rotta di Caporetto di fine ottobre 1917, quando fra le cause del disastro non ci furono soltanto gli errori e le gelosie degli alti comandi, ma anche il cedimento del fronte interno, a causa della forte opposizione alla guerra da parte della sinistra e di gran parte del mondo cattolico, che ebbe un'influenza decisiva sul morale delle truppe, stanche di combattere per ottenere risultati irrisori a fronte di perdite sempre meno sopportabili. Se il risultato finale del conflitto poteva essere ribaltato grazie al sostegno degli alleati, la rottura del fronte interno doveva ripercuotersi ancora attraverso il malcontento dei reduci disoccupati, l'accanimento sugli stessi da parte degli ex neutralisti, la crisi economico-industriale, le violenze fra nazionalisti e socialcomunisti, per culminare, nel 1922, nell'avvento al potere di un regime autoritario.
Durante la guerra di Abissinia del 1935-36 per la conquista dell'Impero, fu ancora una volta il cedimento del fronte interno l'obiettivo delle sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni all'Italia fascista. Ma il risultato non fu quello sperato perché l'opinione pubblica sostenne ampiamente la campagna africana, vista come un riscatto della sconfitta di Adua del 1896; inoltre i prodotti indisponibili vennero sostituiti da un'ingegnosa politica autarchica, la campagna militare fu breve, le perdite furono relativamente poche e la popolazione si compattò attorno al regime, consentendogli di disporre del massimo consenso.

Non altrettanto favorevolmente si svilupparono i fatti durante la seconda guerra mondiale. Lo stato italiano godette dell'appoggio (o non opposizione) dell'opinione pubblica fino alla primavera del 1943, quando il fronte interno cominciò a vacillare a causa dei rovesci militari subìti in Russia, nei Balcani e in Africa. Gli approvvigionamenti alimentari e sanitari iniziarono a scarseggiare, il malcontento cominciò a serpeggiare fra la gente e nel marzo di quell'anno si verificarono addirittura alcuni scioperi di protesta nelle grandi fabbriche, fatto inaudito per un paese totalitario. L'invasione angloamericana della Sicilia amplificò la crisi interna che culminò con la seduta del Gran Consiglio del Fascismo che il 25 luglio pose fine al regime. 
Il fronte interno ebbe un ruolo fondamentale negli Stati Uniti d'America in occasione della guerra del Vietnam. L'opposizione iniziò fin dal 1964 nei campus universitari con l'attivismo politico studentesco di sinistra. La crescente ostilità era dovuta anche al vasto accesso alle informazioni sul conflitto, soprattutto grazie ad una massiccia copertura televisiva. Clamorosa la protesta di un migliaio di veterani che il 23 aprile 1971 dimostrarono contro la guerra davanti al Campidoglio lanciando sulla scalinata dell'edificio medaglie, elmetti, lettere di congedo, armi giocattolo e monetine.

Per arrivare tragicamente ai nostri giorni, notevoli preoccupazioni al governo russo sta rappresentando il fronte interno nel caso dell'invasione dell'Ucraina, iniziata, ricordiamolo, il 24 febbraio, denominata dal Cremlino con il termine edulcorato di operazione militare speciale. In questo caso il fronte interno ha numerose componenti: l'opinione pubblica, i mass media, gli oligarchi, la chiesa ortodossa, le forze armate e la diplomazia.
La popolazione russa ha inscenato manifestazioni (tutte violentemente represse) contro la guerra; oltre diecimila persone arrestate tra cui, anche, una signora novantenne superstite dell'assedio di Leningrado per avere manifestato per la pace. Putin ha fatto oscurare vari social network, decine di organi d'informazione sono stati chiusi e molti giornalisti hanno scelto la fuga all'estero per evitare i quindici anni di galera previsti per chi usa le parole guerra o invasione. Vale la pena ricordare la giornalista Marina Ovsyannikova che il 14 marzo ha interrotto una trasmissione televisiva esponendo un cartello con la scritta "No alla guerra, non credete alla propaganda, vi stanno mentendo".
E le Brigate Rosse, organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra costituitasi nel 1970 per propagandare e sviluppare la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo, non era della medesima matrice guerrafondaia da combattere non solo con le armi?
Solo in un secondo momento, fu anche grazie al fronte interno, dopo il caso Moro, che l'organizzazione entrò in crisi nei primi anni ottanta per il suo irreversibile isolamento e venne progressivamente distrutta grazie alla crescente capacità di contrasto da parte delle forze dell'ordine e, anche grazie, alla promulgazione di una legge dello Stato italiano che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l'identità di altri terroristi. Nel 1987 Renato Curcio e Mario Moretti firmarono un documento in cui dichiaravano conclusa l'esperienza delle BR.
L'esperienza, la chiamarono...

Cosa rimane di tutto questo? Ognuno, nella propria introspezione, scavi nel ricordo e dia un giudizio, se lo ritiene opportuno. 
Il mio personale, si rifà a una conclusione di un discorso del 1963 che Aldo Moro, proprio a Firenze, sottolineò alla platea:
"Lasciamo che i morti seppelliscano i morti, noi siamo diversi, noi vogliamo essere diversi dagli stanchi e rari sostenitori di un mondo ormai superato".
Apposta.