Champions League, croce e delizia dei tifosi; da sempre obiettivo principe dei club per prestigio e (soprattutto) introiti. Quest'anno la massima competizione europea si scontra con la pandemia in atto, facendo nascere interrogativi mai posti prima sull'organizzazione delle partite. Come garantire al tempo stesso la regolarità della competizione e la salvaguardia della salute delle centinaia di persone coinvolte in ogni turno? Al momento, la UEFA ha optato per uno svolgimento "tradizionale" della competizione, con squadre e staff che girano settimanalmente per l'Europa. Ci si chiede però se sia la soluzione migliore.

È doveroso aprire una piccola parentesi: in un momento storico e sociale così particolare, si può fermare il calcio al pari di qualsiasi altra attività? La risposta, purtroppo, è no: il calcio, come pochi altri sport al mondo, muove una quantità di capitali inimmaginabile. I club, già privati, nella maggior parte delle nazioni, dei proventi del botteghino, vivono di diritti tv e merchandising. Se si smette di giocare, le emittenti smettono di pagare; lo si è visto durante la passata stagione. Non si vuole qui entrare nel merito della disparità di peso e trattamento tra un ristoratore e un calciatore: non è questa la sede e chi scrive non è la persona adatta a commentare. Qui si vuole soltanto provare a proporre una quasi utopistica soluzione per permettere ai giocatori di contendersi in sicurezza la coppa dalle grandi orecchie.

In una stagione così compressa, lo slittamento di una sola partita rischia di creare il finimondo, tra campionati, competizioni europee e soste per le Nazionali. Ecco, le Nazionali, partiamo da qui. È così fondamentale far giocare le Nazionali? L'Europeo è già stato rimandato di un anno, ma forse sarebbe il caso di annullarlo, vista anche l'impossibilità di prevedere l'andamento della pandemia, e di fare lo stesso con la tanto (poco) amata Nations League. Si liberebbero giorni utili per le competizioni tra club sia durante i campionati che nei mesi estivi.

Tolte le Nazionali, la Champions e l'Europa League potrebbero essere disputate nei mesi estivi, garantendo a TV e spettatori la tanto agognata dose estiva di calcio. I giorni liberi che si creerebbero in seguito allo spostamento di queste competizioni, potrebbero essere utilizzati dalle federazioni nazionali per far svolgere i campionati. Le partite sarebbero ugualmente ogni tre giorni, ma si eliminerebbero gli spostamenti internazionali, riducendo così anche le possibilità di diffusione del contagio.

A campionati finiti, la modalità della "bolla", già sperimentata con successo nella passata edizione, garantirebbe lo svolgimento in sicurezza della Champions League, che riprenderebbe dagli ottavi o addirittura, in caso di interruzione quasi immediata, dalle tre partite di ritorno della fase a gironi. Non è infattibile: da un punto di vista economico, i club non giocano davanti al proprio pubblico, quindi incassi e tifo vanno tolti dall'equazione; dal punto di vista della salute, le squadre non dovrebbero viaggiare continuamente (salvo spostamenti per il campionato) e si salvaguarderebbe di più l'integrità dei calciatori (quanti infortuni muscolari ci sono già nei maggiori campionati?).

Come si è detto nella prima parte dell'articolo, si tratta di una soluzione utopistica. In primis dovrebbe essere cosa gradita alla UEFA, intesa sia come organizzazione che come insieme di club; poi, e non è cosa da poco, dovrebbe essere gradita alle emittenti televisive. Può Bologna-Cagliari avere lo stesso appeal di Atalanta-Liverpool? Secondo chi scrive, sì, ma secondo chi decide? La palla passa a loro, sperando che non si limitino a guardarla rotolare.