Dunque, se andiamo ad analizzare le notizie del calciomercato abbiamo la Juve che ha preso a parametro zero Ramsey, che è sul punto di avere a zero Rabiot e Buffon e di comprare De Ligt, il miglior prospetto al momento per quanto riguarda i difensori centrali. Potrebbe anche avanzare il denaro necessario per prendersi Milinkovic-Savic dalla Lazio, se Lotito non facesse troppo orecchio da mercante. Un po' più giù, abbiamo il Napoli che tratta Manolas e si avvicina sempre di più a James Rodrigues, il fantasista di una Colombia che incanta in Copa America. Poi c'è l'Inter che ha bloccato Lazaro e tratta Dzeko, Florenzi, Barella e Lukaku. Infine, per chiudere le squadre impegnate in Champions, c'è l'Atalanta che ha già preso Muriel e che (novità assoluta) non cede nessuno per prepararsi alla sfida contro il Real Madrid che Gasperini sta sognando. Scendiamo dal Paradiso al purgatorio dell'Europa League: con la sentenza del TAS di Losanna le società ammesse sono Lazio, Roma e Torino. Per la Lazio si parla dell'acquisto di Lazzari, ma soprattutto della cessione di Milinkovic-Savic. Poi probabilmente Tare tirerà fuori dal cilindro qualche giocatore sconosciuto di un campionato minore che si trasformerà in fenomeno, ma è ancora presto per parlarne. Per quanto riguarda la Roma, abbiamo una smobilitazione clamorosa: hanno già lasciato De Rossi e Ponce; lasceranno sicuramente la squadra Manolas, Olsen (una volta trovato un acquirente) e Dzeko, mentre i possibili partenti sono Kolarov, Florenzi, El Shaarawy, Fazio, Marcano, Schick, Zaniolo, Coric, Nzonzi, i due Pellegrini. Praticamente una squadra con annessi panchinari. In entrata, si parla di Mancini, Bartra, Pau Lopez, Veretout; potrebbero venire Cutrone, Barella o Higuain, ma non sono per nulla convinti. Il bilancio sembra fortemente negativo a livello tecnico. Per il Torino, in realtà, possiamo dire ben poco, avendo fatto fino ad oggi mercato per una stagione senza coppe, con un DS a mezzo servizio. Di più possiamo dire del Milan, fino a ieri qualificato all'Europa League. La squadra tratta in entrata Ceballos, Hernandez, Fekir, Praet ed Hernandez. Un buon mercato, su cui però pesano le "macchie" della possibile cessione di Donnarumma al PSG e quella di Cutrone. Quello che possiamo notare è che c'è un abisso fra le realtà che giocano la Champions e quelle che non la giocano. In parte è comprensibile, tutte le grandi hanno sempre fagocitato i migliori giocatori di squadre piccole e medio-piccole. Però l'impressione è che la cosa si stia amplificando di anno in anno, e questa non è una buona notizia per il nostro calcio.

La Bundes - "C'era una volta la Serie A delle sette sorelle", direbbero tanti giornalisti, ma la cosa sarebbe fuorviante: quel campionato è morto e sepolto, i presupposti tecnici, economici ed anche culturali per rifare un campionato equilibrato in quella maniera non ci sono. Qualcuno poi parlerebbe della Premier League, dove le piccole posso fare lo sgambetto anche alla prima in classifica, "come succedeva anche da noi in passato". Anche qui, bisogna fermarsi a riflettere: in Premier c'è un giro di soldi pazzesco (e talvolta al limite dell'immorale) che permette alle piccole di vendere giocatori di livello medio-basso a cifre stratosferiche, e finanziarsi il mercato andando a pescare negli altri grandi campionati mondiali, dove di soldi ne girano molti di meno.  Più costruttivo per leggere la situazione attuale senza farsi fagocitare dalla nostalgia del passato è pensare alla Bundesliga del 2012-13, quella in cui Klopp si dava ad una guerra senza esclusione di colpi contro il Bayern di Monaco: in campionato i gialloneri, campioni uscenti, avevano dato più filo da torcere ai bavaresi di quanto la differenza punti lasciava intendere. In Champions, per la prima volta, ci si era trovati in una finale tutta tedesca (dopo diverse finali tutte spagnole) e la Germania ci aveva superato nel ranking UEFA. In quel momento, in tutta Europa si discuteva del modello tedesco, fatto di formazione di grandi giocatori nei vivai, di stadi sempre pieni, di programmazione economica. Chi volesse cercare la parola "modello Bundesliga" si ritroverebbe con decine di articoli entusiasti di giornalisti sportivi che dicevano come "bisognasse fare anche così da noi, per recuperare il ranking perduto". 

Sei anni dopo il Bayern, il Borussia e lo Schalke 04 si sono fermati agli ottavi di finale. Non è passata un'era geologica, il modello Bundes non è cambiato: gli stadi, la programmazione economica e l'investimento sui vivai restano sempre gli stessi. Si sono però modificati i rapporti di forza: i giocatori delle medio-grandi, come Wolfsburg, Schalke, Borussia Monchenglabach, Leverkusen si sono trasferiti in parte verso il Dortmund e soprattutto verso il Bayern. Gli stessi gialloneri hanno fatto una fatica terribile, perché molti dei loro calciatori hanno preso la strada di Monaco di Baviera, salvo poi pentirsi dopo 3-4 anni di militanza fra i biancorossi e tornare nel club renano. E' interessante vedere che tutti questi cavalli di ritorno si sono trasformati in flop clamorosi per il Dortmund, totalmente svuotati dalla militanza nei biancorossi.

Il Bayern, nel frattempo, ha vinto tutti i titoli tedeschi in palio dal 2013 e la Nazionale tedesca (monopolizzata dai bavaresi) ha vinto un mondiale nel 2014. La Bundesliga, fra il 2013 e il 2018, è diventata una formalità per i biancorossi, vincenti con almeno 10 punti di vantaggio. Però, più passavano gli anni, più i risultati internazionali del Bayern peggioravano. Stesso discorso per i giocatori pronti a firmare per loro: i migliori hanno iniziato a considerare l'idea di trasferirsi in un club teutonico una scelta controproducente, in virtù dello strapotere bavarese. Venire in Germania per molti di loro significava vincere ad occhi chiusi il campionato con il Bayern, e dunque non migliorarsi tecnicamente; sennò si poteva andare alle seconde "designate ad inizio campionato", che di solito erano quelle in Champions l'anno prima: il Dortmund, il Leipzig, il Wolfsburg.

Nel 2017 il primo campanello d'allarme, col controsorpasso del nostro campionato su quello tedesco. Poi la Caporetto della Mannschaft nel 2018, incapace di rigenerarsi dopo il ritiro dei campioni del Mondiale precedente. Non a caso, il miglior giocatore di quella nazionale è Sadio Mané, che gioca al Manchester City  Dopo questo disastro sportivo abbiamo assistito ad un 2018-19 più frizzante: il titolo è stato conteso fino all'ultima giornata fra il Borussia convincente di Lucien Favre e il Bayern "irriconoscibile" di Nico Kovac, che si è laureato campione con 2 punti di vantaggio sul rivale. Quest'anno, in più, la distanza fra la prima e la quarta è stata di 20 punti, la stessa che c'era fra la prima e la seconda nel campionato precedente. Anche la Champions, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, è stata "più democratica": negli ultimi anni in Baviera i quarti di finale erano scontati e la semifinale un appuntamento quasi scontato. In compenso, però, negli ultimi due anni, nessun'altra formazione teutonica aveva passato la fase a gironi, con un risultato deleterio sul ranking. 

La Bundes A - Tornando a noi, in serie A un Bayern lo abbiamo già da tempo, e si chiama Juventus. I bianconeri non lasciano nemmeno le briciole dal 2011, addirittura. Nel ruolo di Borussia/Lipsia ci sono il Napoli e la Roma, che hanno molti buoni giocatori, che però spesso passano alla Vecchia Signora. Al contrario però della Bundes, abbiamo avuto un sistema di vivai in crisi fino a un paio di anni fa ed abbiamo ancora degli stadi ben lontani dall'essere pieni. Quindi le possibilità di sviluppo sono legate ai diritti TV e al trading di giocatori. Ora, le vendite di calciatori delle squadre piccole sono spesso indirizzate alle medie del nostro campionato, che a loro volta vendono alle grandi. I diritti TV da quest'anno sono distribuiti con un meccanismo abbastanza cervellotico che premia diversi fattori, in primo luogo i risultati economici dell'ultima stagione e il numero dei tifosi. Un sistema meritocratico che però, unito alle peculiarità del sistema italiano, fa sì che le squadre qualificate in Champions l'anno precedente abbiano molte più possibilità di riqualificarsi l'anno successivo. 

Cosa totalmente diversa per l'Europa League, che in quanto a ricavi da risultati sportivi fa ricavare ai club delle cifre infime rispetto alla sua "sorella maggiore". La riforma dei diritti televisi, quindi, spiega la situazione attuale del calciomercato, dove le squadre fra il 5° e il 7° posto sono costrette a vendere le punte di diamante della propria squadra: la lista l'abbiamo fatta in alto, inutile ripeterci. La cosa più impressionante è la Bayernizzazione della Juve in questo caso: negli ultimi anni sono arrivati gli ex giallorossi Vucinic, Pjanic, Osvaldo, Szceszny, Benatia (indirettamente), a breve potrebbe arrivare Zaniolo e l'ex Roma Marquinhos. Di ex Napoli c'è Higuain "core ingrato" e per qualche anno ci sono stati Pazienza e Quagliarella. Intendiamoci, ingaggiare un giocatore dalla squadra che ti fa concorrenza in campionato non è moralmente sbagliato ed è segno di grandi capacità manageriali. Però sembra un po' fuorviante l'adagio dei tifosi juventini negli ultimi anni, secondo i quali "se la Juve vince ed avanza, il movimento calcistico tutto ne giova". Anche perché in Premier, per esempio, ci siamo trovati 4 squadre finaliste nelle due maggiori competizioni continentali. I campioni del City non erano nemmeno in finale, alla fine la sfida era seconda contro quarta in champions e terza contro quinta in Europa League.

Il nostro campionato meno competitivo, invece, ha visto un calo di competitività delle nostre squadre nelle competizioni continentali: la Juventus è sempre stata la campionessa d'Italia con un distacco impressionante, e l'unica a fare un po' di strada in Champions. L'eccezione è rappresentata dalla stagione 2017-18, l'unica veramente combattuta degli ultimi anni: con il Napoli che puntava il primo posto in classifica, abbiamo avuto una squadra che si è fermata ai quarti di finale ed una in semifinale (i bianconeri e la Roma). Gli azzurri secondi nemmeno hanno passato la fase a gironi, però per il ranking è stata un'annata più positiva di quelle in cui la Juve andava fino in finale. L'evoluzione sembra portare verso una "bundesligazione" sempre più accentuata, ma ci sono alcuni fattori a cui aggrapparsi per sperare in un'evoluzione un po' diversa: in primo luogo, il fatto che la nostra Nazionale e i nostri vivai sono in ripresa dopo anni di sofferenze. Secondo poi, il fatto che anche nelle squadre medie o in decadenza stanno arrivando proprietà con maggiori disponibilità economiche, come quella nuova dei Viola di Comisso e Suning all'Inter. Certo, essere stranieri non significa essere ricchi o voler spendere in maniera scriteriata, ma in queste squadre sembra che ci saranno delle possibilità in più per trattenere i propri talenti.

Sarà il futuro a dirci se il futuro "distopico" di una Serie A dominata da una squadra, con una rosa di due-tre seconde classificate, si avvererà. Intanto, però, c'è qualcuno che propone dei correttivi per rendere il campionato più interessante: per fare un esempio, già da parecchi anni si parla di salary cup. Ma la cosa, senza una riforma a livello UEFA o addirittura FIFA sarebbe solo un boomerang, perché porterebbe ancora più campioni all'estero. Un'altra cosa che servirebbe sarebbe un investimento di imprenditori più solidi nelle squadre più piccole: non parliamo tanto della Serie A, quanto piuttosto della B e della C. Per molte di loro, la retrocessione è una sciagura che costa il fallimento. Per esempio, abbiamo un Palermo che dopo tutta una serie di vicende abbastanza grottesche a livello societario, rischia il fallimento e la retrocessione in Serie D. Si fa il nome di Massimo Ferrero, che così replicherebbe un salvataggio simile a quello del suo omologo De Laurentiis con il Bari. In Serie C, c'è il Foggia che rischia di non riuscire a pagare gli stipendi e fare il doppio salto dalla B al calcio dilettantistico. Una cosa simile a quello che era successo anche al Lecce, ora in A. Un investimento di proprietà straniere nelle serie minori non vi sembra possibile? Allora evidentemente non avete visto gli affari cinesi in Wolverhampton, Leeds, Aston Villa e Murcia.

L'Italia per molti anni è stata ammirata per il suo ruolo di "bottega del calcio": non c'erano tanti soldi, c'erano piccole proprietà che investivano in squadre locali e formavano giocatori pieni di spirito d'appartenenza. Ora, la cosa non è più possibile ora, per ragioni di sistema. Malgrado questo, però, un campionato di Serie A più combattuto e delle serie minori messe in sicurezza aiuterebbero a ritrovare lo slancio che il football sembra un po' aver perso nel Belpaese. E potrebbero anche riportarci a vedere le nostre squadre sul tetto d'Europa, da cui manchiamo da 10 anni. Troppi a questo punto.